E così l'ho fatto: per una volta nella vita sono stata completamente unapologetic (continua dal post precedente qui).
Un po' di tempo fa ho ascoltato un'intervista che, come qualcuno di voi ricorderà, mi ha scaturito mille riflessioni non tanto sul contenuto in sé, quanto sull'uso della lingua inglese dell'intervistato. Non avevo mai sentito una persona con un inglese peggiore del mio mostrare tale sicurezza. Questa persona, un italiano molto famoso e stimato, costruiva frasi lunghe e complesse e usava termini corretti, ma desueti in inglese, eppure il suo interlocutore sembrava -magicamente- seguirlo alla perfezione.
Lo avevo definito "unapologetic", un termine che tale e quale non esiste in italiano. In questo contesto intendevo dire che era orgoglioso di sé, che non 'si scusava' per il suo accento o per le sue origini, che andava diritto per la sua strada con grande successo e nessuno si sognava di dubitare di lui.
In quell'occasione avevo ragionato sul mio uso della lingua inglese che è sempre stato l'opposto. Mi sono sempre limitata, ho sempre semplificato quello che volevo dire per timore di non essere capita.
Avevo allora battuto il pugno sul metaforico tavolo: voglio essere *unapologetic* anch'io!
Anche perché poi tutto il discorso, soprattutto negli scambi che ne sono derivati con alcuni di voi, aveva presto cominciato a prendere anche una piega legata al posizionamento di questo individuo e al sessismo della società in cui viviamo. È innegabile che le donne in generale si scusino molto di più e vengano anche messe sotto torchio molto di più.
Nel mio ambiente lavorativo, ad esempio, continuo a vedere uomini poco competenti, ma all'apparenza molto sicuri di sé, non solo sgraffignare opportunità che potrebbero essere mie, ma anche fare danni. Se voglio che questo cambi devo essere certamente consapevole dei miei limiti, mai anche del mio valore.
Dopo qualche giorno, nemmeno a farlo apposta, mi chiama una persona molto in vista nel mio campo per un colloquio. È una cosa che in passato mi avrebbe fatto fare i salti di gioia e messo in enorme agitazione. Ora -cioè... dopo il 2020 - no, ora ci vuole ben altro per smuovermi.
Era un semplice colloquio esplorativo ed è nata subito una certa intesa. Si parlava ovviamente di questioni che mi appassionano molto e mi sentivo a mio agio. A un certo punto, mi viene in mente l'espressione latina "forma mentis". Normalmente avrei detto "mindset", ma quel giorno ero in vena di esperimenti. Volevo vedere la reazione della persona che avevo di fronte se mi fossi comportata come il tizio dell'intervista.
Dico la frase e non succede assolutamente nulla. L'interlocutore annuisce e sorride. Non succede davvero niente.
Lì per lì sono soddisfatta, qualche ora dopo però ripassando il colloquio al setaccio nelle mie elucubrazioni, comincio a dubitare di quel passaggio.
Dopo tutto, soprattutto qui al sud, sorridere e non commentare può significare di tutto. Ci sono delle persone che mi hanno sorriso senza commentare e non le ho mai più viste nella vita.
La sera vedo degli amici a cena e gli racconto del colloquio. Chiedo cosa ne pensino di quella frase.
Si capiva?
La reazione è stata abbastanza simile a quella della persona del colloquio. Per loro era tutto chiaro.
Ma come davvero? Allora sto tranquilla?
Ma per niente!
Viene fuori che ognuno in realtà aveva capito una cosa diversa. Quindi insomma: esperimento fallito per quanto mi riguarda.
Vi ho preparato un piccolo schemino di quello che mi hanno spiegato i miei amici madrelingua inglese, così se volete provare sapete a cosa andate incontro:
Facciamocene una ragione, per chi fra noi non ha ancora vinto un Oscar, la vecchia strada dell'umiltà rimane quella vincente.
Anche in inglese si usano espressioni latine ad esempio, ma ben pochi lo hanno studiato e spesso le stesse espressioni hanno sia una pronuncia che un significato diverso.
(-> Quid pro quo ad esempio)
Bisogna capire se si sta parlando per essere capiti o per dare una certa impressione di sé. Se si vuole essere capiti, meglio puntare sulla semplicità. Il malinteso è sempre dietro l'angolo.
Ci pensate a quante volte non ci si capisce perfino parlando la stessa lingua? E di sicuro la maggior parte delle volte non ce ne rendiamo nemmeno conto.
Vedendo il punto di domanda nei miei occhi ripete: "When we go home can we make collard chards?"
Io e la mia amica ci guardiamo perplesse. Accidenti, ha sei anni e ha voglia di verdure, incredibile.
Infatti non era vero. Voleva fare dei "color charts" cosa che mi rende comunque molto felice come insegnante di arte.
Scherzi a parte, non si può cambiare atteggiamento in un attimo. Bisogna trovare una via di mezzo e usare l'intuito.
*Read the room*, come si suol dire in inglese.
5 commenti:
Eh, purtroppo noi italiani non ce la possiamo fare...io ho sempre detestato questo atteggiamento degli anglosassoni che sorridono, dicono che va tutto bene e in realtà è tutto l'opposto.D'altrode mi è anche stato detto che ero "troppo diretta".
Forse un modo carino per definrmi maleducata.
Si tratta di una differenza culturale abbastanza pesante, almeno per me :-)
Non si parla per niente begli Usa della guerra in Ucraina?Per noi ormai è il primo pensiero della mattina, sapere cosa è successo e se e quando finirà. Ovviamente in Europa impatta tanto e i profughi sono già qui da tempo e tanti ne arriveranno.
Non so in inglese, abitando in Italia non lo uso certo quotidianamente, ma anche in italiano mi capita che mi sovvengano (ecco!) termini che scarto in quanto "difficili" per la media delle persone, quindi anche in italiano tendo a semplificare; se parlando mi accorgo che la persona ha una cultura adeguata allora azzardo, se no sto bassa.
Dalle ultime statistiche buona parte delle persone è un analfabeta funzionale, altro che Accademia della Crusca...
Ciao
Betty
Anonimo: Eh sì, dubito fosse un complimento. Se ti dicono "confrontational" poi è la fine ;)
Non si parla d'altro che dell'Ucraina
Betty: è vero, ci sono scelte strategiche da fare anche nella propria lingua.
Posta un commento