giovedì 1 agosto 2024

tazza riempita

Era una delle prime mattine. Il fuso mi impigriva, ma il tempo era così gradevole rispetto al caldo quasi insopportabile degli ultimi anni che appena sveglia, sono corsa fuori senza nemmeno farmi un caffè.

Ho preso la bici e ho fatto un lunghissimo giro.

Una volta non c'erano tutte quelle piste ciclabili. Adesso invece si può andare ovunque, verso la città oppure verso campi, boschi, borghi storici, fattorie, cimiteri e chiese di campagna. Ci si dimentica di essere alle porte di Milano. Mi sono persa più di una volta, ma come ci si perde in un posto tipo Venezia per dire, con la certezza di poter scoprire qualcosa di magico e segreto dietro l'angolo.

Anche se non mi ha creduto nessuno, giuro di aver visto dei cavalli che pascolavano liberi dalle parti di Garbagnate Milanese. Pazzesco.

Ho incontrato tanti ciclisti e escursionisti solitari e poi gruppi di anziani che sembravano molto organizzati, agricoltori impegnati a lavorare i campi come in un quadro di Fattori che mi facevano segno di spostarmi di mezzo ché non erano mica in vacanza loro. Finchè all'improvviso mi sono ritrovata davanti a quella che a noi che siamo di lì piace chiamare 'piccola Versailles', uno dei posti che frequentavo di più prima di trasferirmi. Ho mandato un messaggio a un'amica che lavora lì solo per dire 'ero qui e ti ho pensata'. Il tempo di inviare e mi si è spalancato davanti il cancello. "Vieni su che ti offro un caffè". Quella gioia inspiegabile di visitare un museo chiuso, sbirciare nel dietro le quinte e poi la nostalgia, la gentilezza e la spontaneità di quel 'ti offro un caffè', che nella mia vita quotidiana attuale, nonostante tutti i miei tentativi, non esiste. Ero al settimo cielo.

Sono tornata a casa e ho raccontato che era tutto fantastico. Tanti cambiamenti positivi: non solo le piste ciclabili, ma adesso anche qui gli estranei ti salutano per strada come in Texas! E' scoppiata una risata generale. No, i milanesi continuano a non salutare gli estranei. L'ipotesi che si è fatta strada è che io sorridessi come faccio qui mentre loro mi salutavano nel dubbio, cercando di ricordare chi fossi.

Bei sorrisi però. Sorridi e la vita ti sorride, dicono, ed è vero, io ci credo fermamente.

D'altra parte, il tempo passa e si cambia. Vivo all'estero da così tanti anni che a volte non capisco cose che altri in Italia danno per scontate e viceversa. Sono immersa in una società e in una mentalità che si basano su principi in alcuni casi sostanzialmente diversi.

Mi è rimasta impressa, ad esempio, tutta una discussione sulle mense scolastiche. Di fronte alle lamentele di una bambina che raccontava di tornare a casa affamata fra lenticchie e spinaci bolliti, mi hanno spiegato che è compito della scuola insegnare l'alimentazione sana. Per questo è vietato portarsi il cibo da casa. Ohibò. Perfino le maestre devono mangiare le stesse cose dei bambini per dare il buon esempio. Doppio ohibò. L'idea che il mio datore di lavoro possa sindacare su cosa debba o non debba mangiare mi crea grande disagio. Ai miei commensali no, tutto normale e logico. Ancora adesso, non me lo so spiegare: ottime le verdurine, ma se i miei studenti hanno lo stomaco vuoto, non imparano. Mah.

Ogni volta che torno, noto quanto in Italia sia comune fare domande indiscrete. Si tirano fuori in pubblico argomenti non solo intimi, ma anche molto divisivi con fare giocoso, con la segreta speranza che ci si divida per il tempo di un'aperitivo e che nasca una conversazione emozionante, anche esplosiva, per poi alzare i calici e tornare amici come prima. Ho perso l'abitudine a tutto questo, lo ammetto, e poi non ho mai apprezzato i toni troppo accesi, ma l'amore per la conversazione è senz'altro l'aspetto della vita in Italia che mi manca più di tutto.

La voglia di parlarsi. Sembra niente la voglia di parlarsi, eppure. Eppure tantissime volte in Texas, ho la sensazione che le persone non abbiano voglia di parlarsi non so se per preservare il quieto vivere o per questioni di tempo. Indubbiamente lavoriamo troppo, le priorità, in generale, sono altre. E poi sembra sempre che si debba fare qualcosa per stare insieme. Un gioco di società, una scampagnata, un karaoke... raramente ci si vede solo per parlare e mangiare e bere come si fa in Italia. Con l'invito a una festa, arriva l'elenco delle attività che ci saranno. Le mie feste invece sono rigorosamente cazzeggio e improvvisazione. Ma a che ora finisce la festa? Mi chiedono puntualmente. La risposta 'quando vuoi' genera sguardi piuttosto confusi.
Quando si dice che la società americana è individualista, uno si immagina chissà che, nella realtà, di questo si tratta: tanta gente (non tutti, eh) che non è più in grado di stare in mezzo agli altri.
Non so se conoscete l'espressione 'fill your cup', significa più o meno prendersi cura di se stessi riempiendosi di nuova energia fisica, emotiva e mentale.
Ecco, io quando torno in Italia riempio la mia tazza.
Mi viene voglia di prendere tutte le cose belle di quel modo di vivere e ricrearle qui per me e per chi come me può capirne il valore. Questi ritorni che sono anche molto faticosi per mille motivi, sono dei nuovi inizi per me, delle spinte. Come quando sei su un'altalena e per un po' vai in alto solo grazie alla spinta. Quando torno dall'Italia, mi sento in alto, mi sento più forte e serena e mi riprometto di non farmi più travolgere dai piccoli e grandi stress di tutti i giorni chè le priorità sono ben altre.
Fra un sorso e l'altro, con la musica nell'aria insolitamente fresca di una sera d'inizio estate, mi sono resa conto di una cosa. A un tratto, non annaspavo, non dovevo giustificarmi, non dovevo rallentare per scegliere con cura le parole. Ero io al 100%, capita e apprezzata sulla fiducia, accolta senza riserve. Avevo quasi dimenticato la dolcezza di questa sensazione.
La solitudine è come la fame: non ti rendi conto di quanto sei affamato fino a quando non inizi a mangiare.  

-Joyce Carol Oates

sabato 11 maggio 2024

non parlare con nessuno

Esiste un certo stereotipo della donna bianca razzista americana. Nell'immaginario collettivo è bionda e ha uno specifico taglio di capelli. Che gli stereotipi lascino sempre il tempo che trovano è obbligatorio sottolinearlo, ma è pur sempre vero che in tutti questi anni mi sono imbattuta in così tante donne che rispondevano a quella descrizione che mio malgrado ho sviluppato una sorta di circospezione. 

Un paio d'anni fa ho conosciuto una persona che in teoria rispondeva perfettamente alla famigerata descrizione, eppure ci siamo subito state simpatiche. Eravamo a una festa e ci siamo unite nel sentirci un po' sgangherate come mamme, perennemente trafelate e inadeguate fra famiglia e lavoro. Un altro punto in comune era anche il non accettare tanti aspetti e consuetudini della società texana. Mi raccontava di essere nata e cresciuta qui, ma di rifiutare un po' tutto quello in cui crede la sua famiglia.

Fatto sta che un giorno pranzavamo insieme. Come va come non va. Le racconto che abbiamo il giardino sottosopra e gli operai sbucano a tutte le ore entrando e uscendo dal portone esterno (qui).

Non me lo dimenticherò mai quel momento. Dice:

- Io con loro non ci parlo.

- In che senso?

Dovete sapere che qui in Texas ogni volta che si fanno dei lavori, arrivano operai che possono venire dal Messico o da tanti altri paesi, ma che parlano praticamente sempre spagnolo. Lei usava la parola 'workers' in un modo che per me sottintendeva 'messicani'.

- Io con gli operai non ci parlo, mando mio marito. 

Faccio la gnorri: - Non sapevo parlasse spagnolo.

- Non parla spagnolo, ma sa che io con loro non ci parlo e quindi...

- Ma scusa... in che senso non ci parli? Cosa vuoi dire?

- Mi rendo conto di avere un grosso pregiudizio, ma sono cresciuta in una città vicino alla frontiera e in quegli anni 'gli operai' rapivano le bambine.

- Come rapivano le bambine?

- Sì. Sono cresciuta con il terrore. Rapivano bambine bionde con gli occhi azzurri quindi io ero considerata un obiettivo ideale.

- Ma da chi? 

- Da tutti. Mio padre e mia madre non mi perdevano di vista un secondo.

- C'erano stati dei casi di cronaca? Conoscevate qualcuno che è stato rapito? Mi sembra così strano...

- Sì. Mi rendo conto di avere un pregiudizio, ma 

E qui pensavo che dicesse, 'ma mi vergogno tanto, ci sto lavorando, sono in terapia, è più forte di me, non ha senso...'

E invece ha detto:

- Mi rendo conto di avere un pregiudizio, ma il mio non è un pregiudizio nei confronti di tutti i messicani. Ce l'ho solo con gli operai.

Solo con gli operai, hai detto niente. La stragrande maggioranza degli ispanofoni che lei considera indiscriminatamente messicani, fa qualche tipo di lavoro manuale da queste parti.

Ho avuto un attimo di pura incredulità. Diceva quelle cose con la stessa voce e la stessa espressione di quando ha ordinato l'insalata. Un'insalata, grazie. Con gli operai messicani che rapiscono le bambine bionde con gli occhi azzurri non ci parlo.

Qualche anno fa, avrei detto qualcosa di tagliente e me ne sarei andata. Adesso, la voglia di capire e forse anche l'empatia, hanno il sopravvento. Mi stupisco, ma in realtà non mi stupisco più di niente. E sono anche stufa di andarmene sinceramente.

E' indubbio che questa persona abbia subito un trauma. Se insegni a un bambino una fobia, il bambino la fa sua. Però poi si cresce. 

A me avevano passato la fobia dei gechi, ad esempio. Appena ho avuto l'età della ragione, ho capito che non aveva senso. Sbarazzarmene? Tutto un altro paio di maniche. Ci sono voluti tantissimi anni e ancora oggi ogni tanto ho qualche piccolissima ricaduta se non ci sto attenta. Però lo so che non ha senso e non è giusto. Non potrei mai ripetere oggi tutte le assurdità che mi venivano dette sui gechi e che poi ho scoperto essere false.

I gechi non ti lasciano una macchia indelebile sulla pelle se ti cadono addosso e gli operai che parlano spagnolo non rapiscono le bambine bionde con gli occhi azzurri.

Ho scelto di pensare che abbia deciso di condividere questa cosa con me in un momento di crescita. Ci sono convinzioni con cui siamo cresciuti che non ci rendiamo conto di avere fino a quando non le esprimiamo ad alta voce e ci rendiamo conto del suono che hanno, della faccia che fanno quelli che le ascoltano. Tante volte è così che si innesca un cambiamento.

Dopo un silenzio che si stava pericolosamente prolungando, mi è venuto da dire qualcosa tipo: beh, rendersi conto di avere un pregiudizio, è il primo passo per superarlo. 

Partivo dal presupposto che lei volesse cambiare questo pregiudizio anche se in realtà lei questo non lo aveva mai detto. E' che non potevo prendere in considerazione che a lei questa cosa stesse bene così. Mi sembra una bella persona, non voglio credere che razionalmente possa giustificare un pregiudizio come questo.

Ricordo quel pranzo un po' come un sogno. 

Una cosa che so di aver detto è: -A me piace sempre molto parlare con gli operai, dovresti provarci. 

Me lo ricordo perchè è una cosa così ridicola da dire. Chi direbbe una cosa del genere? E poi la verità è che probabilmente nemmeno gli operai vorrebbero parlare con lei. Anche loro sono vittime di stereotipi di segno opposto. Maledetti stereotipi.

Per un attimo ho considerato che fosse tutto vero, che magari davvero c'erano stati dei rapimenti in quella città negli anni '80/'90. E' bastata una piccola ricerca per capire che si trattava di quelle cose che si dicono per seminare la diffidenza e la paura. Si trattava di razzismo. Stranger danger. 

Negli stessi giorni Joe, che ha 13 anni, è andato a una convention di letteratura per adolescenti da solo. Ce ne ha parlato per un sacco di tempo. C'erano alcuni dei suoi autori preferiti e ci teneva tantissimo, ma si trattava di passare lì l'intera giornata e noi tutta la giornata a disposizione non ce l'avevamo. Questa manifestazione era a un quarto d'ora di strada, ho proposto di accompagnarlo e lasciarlo lì finchè volesse. Con un telefono e venti dollari in tasca non avrebbe avuto problemi.

E' la primissima volta che lo lasciamo da solo in un posto così grande e affollato però non ho avuto dubbi, credo fosse pronto per questa esperienza. Mi fido ciecamente di lui. 

E degli altri? Mi fido degli 'altri'?

Mentre mi interrogavo su questa cosa, mi è tornato in mente quel pranzo e il ricordo che all'età di Joe e anche molto dopo, quando uscivo mi sentivo spesso dire queste parole: non parlare con nessuno. 

Ecco, io questa è una cosa che non sono mai riuscita a insegnare ai miei figli. Ci hanno sempre parlato con gli sconosciuti, al parco giochi, al supermercato, sull'aereo. Non ci ho mai trovato nulla di sconvolgente. 

Cosa vuol dire non parlare con nessuno? Non parlare con gli sconosciuti, certo, ma poi non si finisce sempre per avere determinati tipi di persona in mente? I cosiddetti sconosciuti non sono tutti uguali.  

Non credo che sia necessario insegnare a non parlare con gli sconosciuti. Credo che sia necessario insegnare a discernere, a capire le situazioni. Ti sei perso di notte in una strada isolata: non parlare con nessuno. Sei su un treno per sei ore, parla con chi ti pare. Cosa c'è di meglio che parlare con uno sconosciuto su un treno? Non penso ci sia bisogno di spiegarli questi concetti. A me non li ha spiegati nessuno e sono sopravvissuta.

Non parlare con un'intera categoria di persone mi sembra un pessimo modo di stare al mondo. 

Mi chiedo se durante il prossimo pranzo, quella persona mi dirà che ci ha pensato su e ne parleremo insieme e la nostra amicizia si farà più intima oppure se comincerò a notare altre piccoli dettagli che mi faranno venire voglia di passare il mio poco tempo libero con qualcun altro.

È possibile che questa conversazione l'abbia messa così a disagio che non vorrà più vedermi. Anche questo è un tratto ricorrente di questo tipo di situazioni. Se ti presenti come liberal, antirazzista, femminista, ecc. e cadi in certe affermazioni, può essere imbarazzante al punto di preferire la fuga.  Staremo a vedere. 

Spero sempre tanto di essere sorpresa in positivo.

Però uff. 

sabato 13 aprile 2024

affacciarsi

Stiamo facendo dei lavori abbastanza importanti di ristrutturazione in giardino e ogni tanto gli operai sbucano a orari inaspettati. Mi sono fatta l'idea che debbano seguire il clima. Quel giorno aveva piovuto molto così sono arrivati nel pomeriggio, appena si è rasserenato, per non perdere tutta la giornata di lavoro. 

Mr. J e io rimaniamo sempre molto affascinati, diciamo così, dalle dinamiche che si creano con queste persone che stanno lavorando per noi. C'è il capo dell'impresa che anche dopo due ore di riunione in tre, si rivolge solo a lui, stringe la mano a lui e parla solo con lui. Io non esisto anche se firmo, decido e pago allo stesso modo. Con gli operai invece è l'opposto. Sembra fingano di non capire Mr. J anche quando gli parla in spagnolo. Poi vedono me e mi fanno domande tecniche a cui non so rispondere e così mi tocca rassicurarli: anche se ha quell'aspetto da gringo e quel vocione, potete parlargli tranquillamente, non morde, io lo trovo anche simpatico. Quando sono presente e posso fare da tramite si apre un minimo di dialogo, ma gli operai rimangono molto diffidenti. Un bicchiere d'acqua, per esempio, lo accettano solo da me. 

Quel giorno, tornata da scuola, volevo portare Mimì al lago. Ero appena uscita di casa quando ho ricevuto una telefonata da Mr. J. Mi  avvisava che era venuto un operaio e si era portato dietro il figlio piccolo. Lo sappiamo fin troppo bene noi due quanto sia difficile e costoso organizzarsi con i bambini piccoli dopo l'orario scolastico senza nonni. L'operaio doveva fare un lavoro manuale non semplicissimo di due o tre ore. C'era polvere e rumore. Avremmo potuto intrattenere noi il bambino senza nessun problema. Mr. J voleva che ci parlassi io per evitare di metterlo a disagio.
Quando mi sono presentata con Woody proponendo che i due bambini giocassero insieme, l'operaio ha sorriso come sollevato e ha accettato l'offerta.
Woody ha quasi nove anni. Gli ho spiegato un attimo la situazione e in sostanza gli ho chiesto di fare da babysitter. Mi è sembrato contento di poter aiutare. Solo dopo un paio d'ore mi ha chiesto per quanto ancora. Gli ho ricordato il discorso iniziale e si è schermito: 'Era giusto per sapere quanto tempo avevamo ancora insieme, mi piace giocare con lui, davvero'. È stato bravo, sta crescendo.
All'inizio sembrava che il bimbo non parlasse inglese. Woody gli parlava in italiano, il suo italiano..., e sembravano capirsi. Li ho lasciati un po' da soli e quando sono tornata, parlavano inglese insieme perfettamente. Il bimbo doveva essersi sentito intimidito da tutte quelle novità e da me.
Indossava una felpa enorme, da adulto, che gli arrivava fino ai piedi e mi ha sbloccato subito tutta una serie di ricordi dei miei vecchi studenti. All'inizio pensi sempre che il papà gli abbia messo addosso la sua felpa all'ultimo minuto poi quella felpa la vedi tutti i santi giorni e capisci che non ce ne sono altre. Ancora adesso non so se fosse questo il caso, ma la mia intuizione mi portava verso quel tipo di conclusione.
Mimì adora giocare con l'acqua. Quando gli operai usano la canna dell'acqua, lui salta da una parte all'altra e non li lascia in pace finchè non lo fanno divertire un po'. Loro stanno al gioco più che volentieri. Lavorano tanto, ma si ritagliano anche tanti piccoli momenti di leggerezza. Mangiano e scherzano tutti insieme e fanno yehaa come i cowboy mentre ascoltano il Tejano.  
Quest'operaio mi raccontava che gli piacciono i cani e che anche lui ha un cane, un dobermann.
- Ieri è scappato, l'ho inseguito. Poi il mio vicino ha cominciato a sparargli...
Mi racconta un po' la storia di questi vicini di casa trafficanti di droga. Mi dice che anche se lui e sua moglie hanno fatto tanti sacrifici per comprare quella casa, non crede che riusciranno a resistere a lungo in quel quartiere. Ha subito vari furti. Ultimamente ha circondato la casa di grossi massi per scoraggiare quelli che fanno i pazzi con le macchine ad avvicinarsi troppo. 
Ogni volta che apre bocca mi porta alla mente un qualche dettaglio della vecchia scuola o del quartiere in cui si trovava. Dettagli a cui francamente cerco di non pensare mai, ma che poi sono sempre fermi lì grattando un po' sotto la superficie.
L'operaio è arrivato in Texas a sedici anni non ho capito bene se dal Messico o da qualche altro paese in cui si parla spagnolo. I suoi fratelli maggiori lo obbligavano ad andare a scuola, ci tenevano molto, ma lui non ne voleva sapere. Voleva lavorare, avere i soldi in tasca. Ora se ne pente amaramente e sta cercando di spingere i suoi cinque figli a proseguire gli studi. La figlia maggiore, di diciassette anni, voleva smettere, ma l'altro giorno gli ha comunicato che vuole 'renderlo orgoglioso' e allora proseguirà gli studi, magari non fino alla laurea, ma qualcosa farà dopo il liceo. Quella di dieci anni invece adora studiare. La sua maestra la aiuta in tutti i modi, le compra anche le scarpe quando vede che ne ha bisogno. 
Oso: "Se non la offende, ci sono tante cose che Woody non usa più e che magari possono andare bene per il piccolino...".  
Mentre lui finiva di lavorare, ho messo insieme tutti i vestiti, le scarpe, i giocattoli, i libri e materiali artistici che potevano andare bene. Quando era pronto per andare via, li abbiamo caricati insieme sul furgoncino senza farci vedere dai bambini.
Qual è il punto?
Ecco, io tutta questa umanità un paio d'anni fa me la sarei persa. 
Non mi sarei accorta di niente, non mi sarei nemmeno affacciata forse. Non per cattiveria, non avrei potuto immaginare.
E' come se l'umanità mi fosse cascata in testa tutta insieme l'anno scorso. L'umanità pesa e la botta è stata forte. Vi dico la verità, per un po' mi ha steso. Mi ha prima demoralizzato e poi ammutolito. Ogni parola in fondo è superflua. Bisogna vedere, ascoltare, fare. 
Alcuni riescono a fare tanto, altri meno. Io? Faccio quello che posso. Sto molto attenta a non esagerare in un verso o nell'altro, ho imparato la mia lezione. Si sbaglia, è inevitabile, ma credo sia meglio sbagliare provando a ascoltare e fare qualcosa che rimanere immobili nel proprio piccolo mondo, qualunque esso sia. 
Continuerò ad affacciarmi.



martedì 19 dicembre 2023

dove mettere i pensieri

In uno splendido pomeriggio di ottobre, dopo il lavoro, ho deciso di portare tutti i miei pensieri a fare una passeggiata al lago con Mimì.
Non ce le volevo a casa tutte quelle preoccupazioni.
Sulla spiaggia ho trovato una statua di terracotta. Era quel famoso dio indiano con la testa di elefante. Mi sono immaginata che qualcuno si fosse messo a pregare in quel bellissimo posto. Solo che oramai la statua giaceva abbandonata e rotta in due pezzi. Trovando triste che qualcuno prima o poi la buttasse in un cassonetto come spazzatura, senza un piano preciso, l'ho portata a casa.
Il giorno dopo ho chiesto consiglio alla mia simpatica collega indiana. Lei per prima cosa mi ha ringraziato profusamente per la gentilezza e questo mi ha dato un senso di sollievo. Fino a quel momento non ero per niente sicura di aver fatto la cosa giusta. 
Poi mi ha raccontato tutto del dio Ganesha. Quella era una statua idrosolubile. Nella sua città, la tradizione comanda di sciogliere la statua nell'acqua affinché Ganesha nella sua immensa benevolenza assorba e dissolva tutte le nostre preoccupazioni e negatività.
La sua ipotesi è che le persone che hanno effettuato il rito nella fretta abbiamo lasciato la statua troppo vicino alla riva e che la corrente l'abbia risputata fuori.
Mi dice "i non indiani non capiscono queste cose, ci prendono per matti...". 
Per questo lei il rito lo fa a casa sua durante una grande festa con tutti gli amici in eleganti abiti tradizionali.
Ganesha, il Dio dalla testa di elefante, è la Divinità della saggezza e dell'acume. È adorato come colui che rimuove gli ostacoli, difende le buone azioni e semina difficoltà sul cammino dei malvagi.
La mia collega mi ha spiegato che la statua è fatta per sciogliersi. Mi ha consigliato quindi di metterla nell'acqua e, una volta sciolta, di buttare quell'acqua intorno alla mia casa in modo che Ganesha possa assorbire le mie preoccupazioni e proteggermi.
Mi colpì questo concetto di qualcosa che "assorbe" le preoccupazioni. Avevo molte preoccupazioni in quel momento. In fondo è per questo che mi ero ritrovata su quella spiaggia.
Poi è successo che la vita continua e non ci ho più pensato. 
Ieri ho rivisto Ganesha in giardino e ho preso un'altra decisione immediata: la cosa più giusta da fare era riportarlo esattamente lì dove avrebbe dovuto essere, dentro al lago.
La mia collega mi ha assicurato che queste statue non inquinano e anzi rendono fertile il terreno. Lei usa l'acqua di Ganesha per crescere le verdure.
Mi ha fatto vedere le foto delle sue strabilianti zucchine. È convinta che Ganesha le faccia diventare così grandi e buone.
Ovviamente io sono al di fuori di tutto questo sistema religioso, ma mi piace pensare che il mio incontro casuale con questo mondo, un significato ce l'abbia.
Innanzitutto mi ha fatto approfondire la conoscenza con questa collega, ci ha dato l'occasione di conoscerci meglio. Mi rallegra incontrarla tutte le mattine e scambiare una battuta.
E poi avevo davvero bisogno di mettere le mie preoccupazioni da qualche parte in quel momento.
Ci sono periodi in cui senti di dover mettere i pensieri fisicamente da qualche parte, fuori da te. 
I pensieri pesano, non puoi portarteli sempre dietro.
Sono successe tante cose in questi due mesi, ma è vero che mi sento alleggerita, diciamo così.
A volte abbiamo bisogno di affidarci a qualcosa, raccontarci una storia. 

sabato 23 settembre 2023

la cosa più segretamente temuta accade sempre

Sono quasi 17 anni che vivo in Texas e ho sempre avuto un timore, un timore così vivido da rasentare la visione.

Un serpente in casa. Mi sono immaginata ogni scenario mille volte.

Vivendo qui capita spesso di sentire storie anche molto bizzarre di serpenti che trovano il modo di intrufolarsi dove non dovrebbero. 

La mia unica esperienza diretta è stata l'anno scorso. A scuola era entrato un serpentello, nessuno ha fatto una piega. Qualcuno l'ha preso e l'ha portato fuori.

L'episodio che invece ha alimentato la mia paura è un altro. Degli amici che vivono in uno stato non poi così lontano, un sacco di anni fa, si erano ritrovati un metro di serpente sulla mensola della cucina.

Ecco quello mi aveva davvero impressionato. Ero appena arrivata, city girl senza nessuna familiarità con la fauna locale, ma con quella casa sì, ci ero stata tantissime volte. Non so come dire, per la prima volta, non era una storia su internet, erano i miei amici, erano posti che conoscevo.

Arriviamo a ieri sera.

Diceva Pavese "la cosa più segretamente temuta accade sempre". Woody va a lavarsi i denti prima di andare a dormire e schizza fuori dal bagno urlando:

- Ho visto una cosa in bagno!

- Che cosa?

- Una cosa nera!

Vado in bagno e vedo una piccola foglia secca incastrata nel tappetino.

- Hai visto? Era solo una foglia. Vai a letto dai.

- Non era una foglia, era una cosa nera!

- Ok, fammi vedere dove l'hai vista esattamente.

Alza il tappetino del bagno e... effettivamente c'era una "cosa nera", o marrone.

Lascia andare il tappetino e schizziamo fuori tutti e due strillando.

Super Mr J entra immediatamente in azione:

- Qualcuno mi passii delle pinze, presto!

Usa le pinze per sollevare il tappetino del bagno (non il serpente come si vede nei film) e con destrezza cattura il serpentello con un bicchiere di plastica e un pezzo di cartone. Faccio una foto al volo per cercare di capire di che serpente si tratti mentre lui va fuori a liberarlo.

Dopo che tutti vanno a letto, mi passano per la mente mille dubbi.

Il più angosciante: come si fa a capire se un serpente è piccolo o e se è un neonato? E se avesse avuto dei fratelli, una mamma? Non se ne va mica in giro da solo un neonato.

Google non ha chiarito per niente i miei dubbi, la mia foto non era un granché, quindi sono corsa sulla mia pagina FB preferita.

Sì, sono tornata a usare FB più di IG. Ho scoperto che ci sono dei gruppi di pazzi che hanno esattamente i miei stessi interessi.

Ad esempio, c'è questa pagina di naturalisti del mio paese, quasi quartiere, dove sto imparando tantissime cose su flora e fauna locale. Ho scoperto che anche se è difficile vederli, soprattutto per me che vado in giro con un cagnone che mette tutto in fuga, ci sono tantissimi animali qui, dai cervi, ai gufi, ai castori, ecc.

In un attimo, mi hanno spiegato che si trattava di un rough earth snake, "one of the good guys" (uno dei bravi ragazzi). Probabilmente è riuscito a entrare perché abbiamo fatto dei lavori e abbiamo lasciato la porta del garage aperta per diversi giorni questa settimana. Mi sono subito tranquillizzata. 

Però guardavo quella foto e non capivo. 

Perchè Woody non aveva avuto paura? Perchè se ne era andato a dormire come se niente fosse mentre io ancora ero abbastanza scossa?

È stato lì che mi sono resa conto che nel mezzo dell'azione, oltre a fare la foto, avevo fatto un breve video. Nel video si capisce che il serpente è piccolissimo e si sente chiaramente Woody dire che all'inizio non sapeva se fosse un serpente o un verme.

Non avessi avuto il video me lo sarei ricordato enorme! E poi la comunità. Dopo un anno intero di isolamento, ultimamente penso spesso che ho voglia di comunità. Per me da sola era 'un serpente in bagno',il preludio di un'invasione. Quando mi sono confrontata con questi altri invece è diventato un serpentello che si mangia gli insetti e non fa nulla di male, anzi. E poi un'altra cosa. Se è vero che la cosa più segretamente temuta accade sempre, è anche vero che il più delle volte, le paure un po' le coltiviamo. Vale per il serpentello come per tante, tante cose...ti informi, ne parli e passa la paura. Knowledge is power.

💪🐍

sabato 16 settembre 2023

una mano sul braccio

E' passato oramai più di un mese dall'inizio della scuola qui in Texas. Non mi sono fatta molto viva su queste pagine. 

Fino a poco tempo fa mi è stato abbastanza difficile mettere in fila i pensieri, dargli una forma linguistica comprensibile. Ultimamente non ho avuto molta voglia di fermarmi a pensare più di tanto o scrivere, mi va semplicemente di essere presente, di gustare ogni cosa che mi succede per quello che è senza distrazioni o elucubrazioni. 

Forse è vero che ci si rende conto di quanto si è sofferto solo quando le cose ritornano in ordine. 

Quella di quest'anno è stata un'estate particolarmente luminosa per me sia in Italia sia poi quando sono tornata qui e ho cominciato di fatto a ricostruire tutta la mia vita riprendendo tante buone abitudini e relazioni che avevo abbandonato per potermi dedicare completamente al lavoro un anno fa.

Quell'esperienza professionale è stata una parentesi tanto dolorosa quanto arricchente. Ho imparato moltissimo sia come essere umano che come insegnante. E tutto quel dolore di seconda mano paradossalmente ha placato la mia perenne inquietudine, mi ha rinsaldato. 

È stato allo stesso tempo soul crushing e life changing. Scusate l'inglese, ma non saprei come dirlo meglio in questo momento, sono mesi che ho in testa queste due parole.

Mi verrebbe da dire che quella è una parentesi chiusa e che ho ricominciato a vivere e in un certo senso è così, ma la verità è che certi ricordi non ci abbandonano, certi sguardi rimangono con noi, si fondono con noi, e non è necessariamente un male. E' un passato che non smette di chiamarti e attirarti a sè come tutto quello che rimane irrisolto. I famigerati fantasmi del passato.

Non ci eravamo ancora presentate, quando una nuova collega mi ha raccontato che il suo ultimo giorno nella scuola precedente a giugno, lo ha passato al funerale di uno studente ucciso da un altro ragazzo. Non credo lo avrebbe raccontato a chiunque, ci si riconosce. C'è chi sa e chi non sa.

La nostra fortuna ora è di trovarci in un ambiente in cui il nostro vissuto viene apprezzato e rispettato. E' un'opinione piuttosto condivisa che nelle scuole che non funzionano ci lavorino insegnanti incapaci, i peggiori insegnanti nelle scuole peggiori. Ci sono anche quelli, nessuno lo nega, ma la realtà è complessa. Le persone con cui lavoro ora mi pare abbiano un grande rispetto delle competenze che si acquisiscono in quelle condizioni al punto che le ricercano nei nuovi assunti. Non sono l'unica a venire da quel mondo infatti.

Sono tornata a fare quello che amo in un ambiente che mi supporta. Il non sentirmi più in pericolo, anche fisicamente, mi ha consentito pian piano di recuperare me stessa. E' una specie di miracolo assistere al ritorno di tutto quello che sembrava perso per sempre. Cose tipo il sonno, la calma, i rapporti umani e poi soprattutto la creatività, le idee che sgorgano di nuovo copiose e accendono l'entusiasmo e la voglia di fare mia e di chi mi sta intorno. Quando guardo i lavori dei miei nuovi studenti con quei colori accesi, quei personaggi sorridenti e quelle idee brillanti o buffe, la prima cosa che penso è...questi bambini stanno bene. Non tutti, non sempre è ovvio, ma in generale stanno bene, sono amati, accuditi. E quando c'è qualcosa che non torna, ora ho molti più strumenti per accorgermene e intervenire o metterli in contatto con chi può offrire un aiuto.

I primi giorni di scuola ho notato qualche viso più disorientato degli altri fra gli studenti. Ho riconosciuto immediatamente lo sguardo timoroso di chi è arrivato dall'estero da poco e non conosce né lingua né consuetudini locali. Ho cercato di tenere d'occhio quei visi da lontano, per capire i bisogni e in caso intervenire. Mi sono preoccupata, ma la sorpresa questa volta è stata vedere la maggior parte di quegli occhi sperduti spalancarsi nel giro di pochissimo tempo e riempirsi di entusiasmo e meraviglia. 

Tutto quello che sto vivendo in queste prime settimane in un certo senso è ritraumatizzante, ma è anche terapeutico. Ti ritrovi nelle stesse identiche situazioni che ti hanno ferito o spaventato a morte, ma questa volta tutto va a buon fine. 

Un giorno il preside ha interrotto le lezioni per fare un annuncio (non un'email, un annuncio) chiedendo a tutti gli insegnanti di fermarsi pochi minuti per una riunione urgente e io ho avuto un momento di sconforto, ho pensato...ci risiamo. L'anno scorso questa cosa succedeva spesso e significava quasi sempre guai. Ricordo una riunione dell'ultimo minuto per discutere di uno studente che aveva cercato di dare fuoco a un computer, ero appena arrivata e mi lasciò piuttosto allibita: era solo la punta dell'iceberg. 

Anche questa riunione è cominciata con il solito preambolo angosciante: "Purtroppo non ci sono buone notizie". Aiuto. La nostra amata segretaria -che lavora lì da tre anni mica trenta- purtroppo è così brava che è stata promossa e ci lascerà presto. Applausi, complimenti, aneddoti, ringraziamenti. Il mio sospiro di sollievo è arrivato su Marte. L'anno scorso ogni giorno qualcuno (preside inclusa) andava via nel silenzio generale. Scomparivano e non venivano mai più nominati, i loro nomi diventavano tabù. 

Nella nuova scuola c'è un clima di solidarietà, ci si aiuta. E non solo questo: ci sono delle figure professionali in sede il cui compito è risolvere situazioni o chiarire dubbi. Non c'è solo il tecnico informatico ad esempio, c'è anche chi ti spiega nello specifico, se ne hai bisogno, che tipo di tecnologia puoi usare per insegnare meglio i tuoi contenuti. Si ride e si scherza anche. Questa cosa l'avevo rimossa. Ci si può fare una sana risata fra colleghi, si può. Non è che nell'altra scuola fossero tutti cattivi e musoni, è che quando stai lottando per arrivare alla fine della giornata non hai voglia di scherzare, non ce la fai. Quanto potere anti stress ha una banale risata invece. Chissà perché sottovalutiamo le valvole di sfogo che sono piú a portata di mano.

L'impressione è di essere in una comunità. In un posto in cui, al contrario dello scorso anno, la sensazione è che tutti abbiano delle idee politiche diverse, ma sono accomunati da una serie di valori fondamentali. Una lezione che ho imparato molto bene è che l'idealismo puro non sempre paga, ci vuole anche pragmatismo, senso della realtà. Quello che veramente importa per fare funzionare le cose, e anche per aiutare il prossimo, sono le azioni, non le idee astratte, i proclami.

Il preside, ad esempio, gli studenti li chiama 'kiddos', con un'accezione affettiva. Normalmente chiami 'kiddos' i tuoi figli. Già solo questo dettaglio trasmette un senso di cura e di affetto che si riflette poi nei fatti devo dire.

Ho notato che i bambini con disabilità, in particolare, vengono trattati con una dolcezza e una pazienza infinite. L'anno scorso, senza che nessuno mi avesse avvertito o preparato in qualche modo, mi sono trovata a gestire, due classi intere di studenti disabili con difficoltà anche molto gravi. C'erano un paio di assistenti, ma si limitavano a intervenire in caso di emergenza. Quest'anno invece gli studenti disabili vengono portati nella mia classe da soli o in gruppi di due o tre a seconda delle difficoltà, solo per pochi minuti o più a lungo in base alla reazione. Sono trattati con attenzione e qualcosa che somiglia all'affetto.

Torno a casa prima, ma non lavoro meno. Di fatto, la mia giornata lavorativa è più lunga perchè questa scuola è all'avanguardia e ha sia un programma di spagnolo che di ingegneria quindi l'orario va un po' oltre. Quando si finisce però tutti vanno via. I termostati sono programmati apposta, sale la temperatura e si spengono le luci. Tutto ti spinge a uscire, a non rimanere. Il preside ripete continuamente di andare a casa, rilassarci e disattivare le notifiche dai cellulari che non c'è niente che non possa aspettare fino al giorno dopo. Ci viene continuamente ricordato di prenderci cura di noi stessi, non solo degli studenti perchè questo è un lavoro duro e se vogliamo farlo bene a lungo dobbiamo mettere il nostro benessere al primo posto.

In tutto questo, c'è stato un piccolo colpo di scena. Non l'avrei mai detto, ma mi sono resa conto che questa scuola è nella stessa categoria di quella dell'anno scorso: significa che almeno il 40% degli studenti vengono da famiglie che hanno un reddito basso.

Quello che mi dà speranza è la stessa cosa che mi spezza il cuore: sapere per certo adesso che esistono sistemi che funzionano ed è difficile ma non impossibile insegnare ad alti livelli e anche allo stesso tempo aiutare e accogliere in un clima di serenità. 

Vi racconto solo un'ultima cosa. In questo nuovo posto di lavoro c'è la mano sul braccio. 

In un ambiente sociale in cui si tende a toccarsi il meno possibile, una mano sul braccio la noti.

Non so se sia istituzionalizzata, ma ogni volta che ho avuto un momento di dubbio o timore, c'è stato qualcuno che mi ha messo una mano sul braccio. Lo stesso gesto fatto da tante persone diverse e accompagnato più o meno dalle stesse parole. 

"Hey, you are going to be happy here, this is a really good place, you'll see".

Lo sto vedendo. 

bell hooks in un libro che è un'altra meravigliosa mano sul braccio per me in questa fase dice: "Quando lavori con amore, rinnovi lo spirito".

venerdì 28 luglio 2023

riflessioni su barbie (senza spoiler)

Dato che sta diventando impossibile schivare gli spoiler, sono corsa anch'io a vedere il film di Barbie. 

Una cosa strana che ho notato in questi giorni è che tanti, anche persone serissime, ne hanno parlato ammettendo di non averlo visto. È un po' assurdo, ma anche questo ci dice qualcosa del fenomeno. 

Stima infinita per le menti dietro al lancio del film che sono riuscite a tenere alta l'attenzione e a fare crescere la curiosità per un anno intero.

L'idea di questo film mi ha entusiasmato fin dal primo momento e non perchè da piccola fossi ossessionata dalle Barbie -ho giocato molto di più con i Lego per dire eppure ho ignorato i vari film- ma perchè avendo amato i film precedenti di Greta Gerwig, ero certa che non potesse essere un prodotto banale. Con Piccole Donne, in particolare, aveva già dimostrato di poter riuscire nell'impresa di rinnovare un classico costruendoci sopra una riflessione contemporanea. In un certo senso, con Barbie ha fatto lo stesso tipo di operazione.

Barbie è sempre stata oggetto di controversie, basti pensare che l'ispirazione originaria arriva pari pari da una bambola sexy tedesca. Rappresenta due cose che come società non siamo abituati a vedere andare di pari passo: la bellezza femminile convenzionale e l'idea che una donna possa riuscire in qualunque impresa professionale. Barbie incapsula tutto.

Ricordo un pomeriggio di qualche anno fa.

 Joe ha sette anni. Si spinge sull'altalena anni e si chiede se esista la Barbie giudice della Corte Suprema (qui). Non aveva mai giocato con una Barbie, non è il suo genere, eppure Barbie come concetto e simbolo, ha aiutato anche lui a quell'età a porsi tutta una serie di domande sulla società e sul ruolo delle donne.

In realtà, Barbie non può fare proprio tutto tutto, non può sposarsi. Su questo punto Ruth Handler, la sua creatrice, è sempre stata inamovibile. Barbie può avere questa sorta di fidanzato che va e viene, Ken, ma non sarà mai ingabbiata nel ruolo di moglie e mamma. Altrimenti poi come fa a diventare presidente, astronauta e tutto il resto? 

I vari femminismi hanno amato e odiato Barbie a fasi alterne.

E' che non si capisce mai davvero quanto anticipi i tempi o si limiti a rappresentarli. Impone un modello, estetico e non, o riflette ciò che va per la maggiore nella società in cui opera? Alla fin fine è un prodotto, deve vendere. C'è un bel documentario che parla proprio di questo. Si intitola Tiny Shoulders: Rethinking Barbie (2018). La domanda che si pone è proprio questa: è giusto caricare le piccole spalle di una bambola di tanti simboli e responsabilità?

Quello che è certo è che prima di Barbie, c'erano i bambolotti e a me i bambolotti non sono mai piaciuti. Il mio istinto materno si è manifestato quasi fuori tempo massimo, quindi l'idea di curare un bambino per gioco o no non mi sfiorava.  Verso i tre o quattro anni avevo una bambolona grande quasi quanto me che stava in piedi e che consideravo una mia amica, più avanti tutta la mia devozione andò a una grossa tigre della Trudi. 

Con le Barbie ci ho giocato. Stimolavano la mia immaginazione, potevano lanciarsi in qualunque avventura. Ci ho giocato per un po' e poi le ho ripudiate per non essere tacciata di superficialità. Il "troppo femminile" è sempre stato considerato frivolo. Il messaggio mi arrivava forte e chiaro: se vuoi essere presa sul serio allontanati da tutto quello che è *rosa*.

Si dice sempre che Barbie promuova un ideale di bellezza irraggiungibile, ma non mi ricordo di essermi mai paragonata a lei in questo senso, era una bambola per la miseria. 

Vedere sempre lo stesso tipo di modelli al cinema, in TV e nella pubblicità, dover subire un certo tipo di linguaggio e giudizi nella mia vita quotidiana... queste sono le cose che mi hanno ferito come donna, non Barbie.

Il film mi è piaciuto. Mi ha fatto ridere molto e sono pochi i film che mi fanno ridere. Una battuta dietro l'altra e anche un paio di momenti da nodo in gola. Mi chiedo come tante battute possano risultare efficaci nelle varie traduzioni e doppiaggi. 

C'è un Ken, ad esempio, che si chiama "Sugar Daddy". Nel linguaggio colloquiale uno "sugar daddy" è un ricco uomo attempato che fa regali in cambio di sesso. La storia di questo Ken non viene affrontata nel film, ma è buffa. Mattel all'epoca del lancio di questo Ken aveva specificato che si chiamava così perchè aveva un cagnolino bianco, Sugar, quindi era il papà di Sugar, il cane. Niente, dovettero ritirarlo lo stesso. Come si fa a rendere tutto questo con un nome equivalente in un'altra lingua? 

Il film dei limiti ce li ha, ma non condivido le critiche che sento ripetere più spesso. Quelli che dicono che sembra una pubblicità, che problema hanno? Il film ha un'estetica originale e potente, è vero. E' chiaro che non sarebbe potuto esistere senza la supervisione di Mattel che ha imposto tutta una serie di limitazioni anche alla trama stessa. Mi dà fastidio anche sentir ripetere che il già famoso monologo di America Ferrera è banale: non è colpa del film se essere una donna ancora oggi è "letteralmente impossibile" (cit.). Questo è il tipo di critiche che sento fare da uomini che chiaramente vogliono sminuire e banalizzare il film.

Mi piacerebbe rivederlo per ragionarci meglio, ma direi che le cose che mi hanno lasciato perplessa  sono soprattutto queste due. 

- La binarietà: nel film le femmine sono così e i maschi cosà, un po' sorpassato come concetto, no? 

- Il fatto che Ken rubi un po' troppo la scena a Barbie. Per essere un film femminista, il protagonista maschile, bravissimo per altro, si prende un sacco di spazio e risate. Si potrebbero dire molte altre cose anche sullo storyline di Ken, ma è impossibile farlo senza spoiler.

Il vero valore del film per me è quello di fare da specchio non solo alla nostra società, ma anche individualmente a tutti quelli che si sono rapportati in un modo o nell'altro a una Barbie.

Impossibile non tornare al proprio vissuto e alla propria infanzia guardando questo film. Il modo in cui Greta Gerwing mette in scena in ogni suo film il rapporto madre-figlia ha qualcosa di struggente. Quando Barbie con i piedi piatti a un certo punto dice qualcosa tipo "se i miei piedi avessero avuto questa forma non avrei mai messo quelle scarpe", ho sospirato.

mercoledì 7 giugno 2023

i postumi di una sbornia emotiva


Non sono di quelli che annunciano che prenderanno una pausa dai social. Ogni tanto, se ne ho voglia, lo faccio e basta. Sicuro che se lo annunciassi cambierei idea immediatamente per puro spirito di contraddizione. 
Dove eravamo rimasti?
L'anno scolastico è finito com'è iniziato, malissimo.
Per quanto mi riguarda, è stata una catastrofe fino all'ultimo secondo.
I bambini che vivono in condizioni sociali difficili, temono la fine della scuola. La scuola dà struttura, prevedibilità, protezione e -non dimentichiamolo- cibo. Alcuni di loro vanno come in tilt prima delle vacanze. L'ho visto prima di ogni ponte o festa comandata, perfino i venerdì qualsiasi sono carichi di una tensione ulteriore. Nonostante ciò, tirando le somme ora che è tutto finito, mi è del tutto chiaro che se la situazione era ingestibile in quella scuola non era per colpa degli studenti, ma degli adulti, e in generale del sistema sociale intorno a loro.
Avevo pensato di raccontarvi un po' che cosa è successo, anche solo per sommi capi, ma i pensieri ancora non hanno un filo logico o cronologico. Non ha senso pensare di spiegare quello che non si è ancora capito o con cui non si è ancora fatto pace fino in fondo. 
Non credo sia utile nascondere o rimuovere le esperienze negative. Vedo un valore enorme sia nell'elaborazione che nella condivisione. Questi sono fatti personali che in modo diretto o indiretto riguardano tutti noi come società. Ma ogni cosa va affrontata al momento opportuno e alcune esperienze hanno bisogno di sedimentare più a lungo di altre.
Come sto?
Da un lato, come dopo una sbornia, con quella tipica nebbiolina in testa. Invece dell'alcol, ho esagerato con le emozioni, sia quelle positive che quelle negative. 
Ho i postumi di una sbornia emotiva.
Però mi sento bene, davvero bene. Quest'anno mi sono tolta di dosso tanti orpelli, tante convinzioni, mi sento cambiata, forse più sola, ma paradossalmente anche più forte e ottimista. Non sono più in una situazione di emergenza continua, adesso posso tornare a vivere. E' come se il mondo si fosse riaperto davanti ai miei occhi, vedo di nuovo i colori, i dettagli più belli e insignificanti
Uscire da una situazione estenuante e complicata come quella che ho vissuto quest'anno, porta con e sé tanti sentimenti contrastanti, ma credo sia soprattutto una liberazione e anche una possibilità di crescita, forse di rinascita, dipenderà da me. 

mercoledì 17 maggio 2023

influenzare, non controllare

E' da un po' che ho smesso di aggiornarvi sulla situazione a scuola. Sono diventata molto più intenzionale nel lasciare i problemi di lavoro al lavoro. Quando esco, torno alla mia vita. Mi concentro sulle cose semplici, disegno molto, sto all'aperto. Ho tagliato tutto quello che non mi è di conforto, anche la scrittura.

Tutti quelli che mi conoscono, i pochi con cui ancora parlo regolarmente, per farmi coraggio mi dicono sempre "dai che ci sei quasi, il grosso è fatto". Io annuisco, ma la verità è che ogni mattina mi sento affranta all'idea di dover tornare là dentro senza sapere cosa succederà, ma con la certezza che qualcosa succederà. Vedendo la situazione dall'esterno, non si capisce quanto male vadano le cose.

Non si capisce perché non lo spiego.

E non lo spiego perché sono questioni di una gravità che la maggior parte delle persone che ho intorno non può -e di solito non vuole credo- conoscere. 

In autunno, raccontai a un'amica che avevo scoperto che a scuola c'erano dei bambini appena arrivati qui in Texas clandestinamente che non avevano nulla, nulla. Stava per arrivare il freddo, servivano urgentemente dei vestiti. Quest'amica in un secondo ordinò vari cappotti e altre cose per loro dimostrando una grandissima generosità che non mi stupì minimamente, conoscendola.

Era l'inizio dell'anno. Successivamente realizzai che accogliamo nuovi studenti in quelle condizioni tutti i santi giorni. 

Da allora, le poche volte in cui ho visto e sentito quell'amica non mi ha mai chiesto nulla di quei bambini o del lavoro. Sono episodi come questo che mi fanno sentire sola, in un mondo a parte.

Non è solo lei. Come ho sempre detto, a scuola non mancano le risorse economiche, mancano le persone. Si staccano assegni, si fanno selfie da postare sui social e poi via di corsa.

Ho visto anche tanti insegnanti andare via quest'anno e non è normale che gli insegnanti se ne vadano nel bel mezzo dell'attività didattica. Ero abituata alle feste di addio. Buona pensione, buon trasferimento, cose così. Qui niente. Perfino il vincitore del prestigioso premio 'maestro dell'anno' è scomparso dall'oggi all'indomani nel silenzio generale.

Per dare un'idea dell'abisso in cui siamo sprofondati, qualche settimana fa è successa la stessa cosa nientemeno che con la preside. Un giorno c'era, il giorno dopo non c'era più. Ad oggi, non è chiaro cosa sia successo, sappiamo che non è morta, ma non l'abbiamo mai più vista né sentita. 

Mancano meno di due settimane, ma questo lavoro continua a essere uno stillicidio.

Ogni giorno è un dramma nuovo, anche per la natura della materia che insegno. Nella classe di arte, specialmente ora che mi conoscono meglio, i bambini esplorano le proprie emozioni. Ci sono dei disegni che sono vere e proprie richieste di attenzione e di aiuto, ma di fatto mi sono resa conto di non avere più strumenti a disposizione per aiutarli, altri adulti a cui indirizzarli. Ci sono io in quel momento, posso solo essere presente e ascoltarli, rassicurarli che hanno tutto il diritto a sentire quello che sentono. 

Quelle dei più grandi sono classi numerose, incontenibili per tanti motivi. Mi fanno sentire- non so come altro spiegarlo- sotto assedio. Un giorno entra una di queste classi e due ragazzi cominciano subito a spingersi petto contro petto in una sorta di rito tribale. Riesco a evitare la rissa convincendo uno dei due a sedersi dall'altra parte della classe. "La accontento, ma guardi che quello lì non mi fa nessuna paura" puntualizza senza spostare lo sguardo dal rivale. L'altro invece è già oltre, ha già trovato un nuovo pretesto per farsi sbattere fuori. Mentre esce mi ringhia addosso una quantità non di insulti, ma di cattiverie che culminano nel classico e poco originale, "ti odio". Non me lo ha mai detto nessuno 'ti odio'. Ho sempre immaginato che me lo avrebbe detto mio figlio in una crisi adolescenziale. Lì per lì ci rido su, è piuttosto ridicolo, che parolone. Ogni volta che lo rincontro nei corridoi però mi fissa sempre con quello sguardo che devo ammetterlo, mi mette soggezione, è carico di qualcosa di molto simile all'odio. Finisce che due notti dopo sogno che entra in classe e mi accoltella. Non chiudo più occhio. Arrivata a scuola ancora scossa dall'incubo, vengo a sapere che avevano già deciso, per ben altri motivi, che quello studente non sarebbe più tornato in classe. Ma la mia giornata oramai era rovinata sia per la mancanza di sonno sia perché detesto l'idea di un ragazzino che non sia in grado di stare fra i compagni, la prendo come una sconfitta del sistema educativo tutto.

La stragrande maggioranza dei miei studenti sono divertenti, teneri e assolutamente brillanti. La verità è che la quantità di violenza che li circonda si porta via tutto il resto. Vivo le mie giornate in allarme, mi concentro soprattutto sui potenziali pericoli. La sicurezza di tutti è la mia priorità.

La ciliegina sulla torta è una cosa che forse non dovrebbe, ma brucia più di tutto: il non sentirmi apprezzata. Fortunatamente per me, andrò a insegnare in un'altra scuola il prossimo anno, ma essere venuta a sapere che il mio lavoro è stato offerto a una persona che non ha mai insegnato la mia materia, mi offende. Non stanno nemmeno cercando una persona qualificata. Il motivo per cui ho accettato questo lavoro era portare la stessa qualità di insegnamento delle scuole più prestigiose anche qui. Ora che ci sono dentro però capisco che è un'impresa insostenibile senza l'appoggio dell'amministrazione. L'unica cosa che viene apprezzata alla fin fine è la disciplina. Tanti bei discorsi sulla giustizia sociale all'inizio dell'anno, ma poi di fatto l'unica richiesta è riuscire a farli stare seduti e zitti. Io che non ho mai cercato di fare stare i miei studenti zitti e seduti, nemmeno in questa scuola, mi sento isolata. E' una divergenza filosofica irrisolvibile. Credo che sia fondamentale avere un'influenza positiva sulle loro scelte, non tenerli sotto controllo con le minacce. Ho bisogno che imparino come stare al mondo da soli perché fuori dalla classe, tutti, loro e noi in realtà, siamo soli e abbiamo davanti mille bivi.Nessuno ti viene a dire che strada prendere nella vita. Il mio metodo richiede tempo, non è immediato, ma funziona e può, nei casi che ho visto quest'anno soprattutto, salvare delle vite.

Poco importa oramai. Me ne andrò anch'io. Sono orgogliosa di essere arrivata fino a qui e so di non avere scelta vista la situazione, ma ripensando a quest'esperienza mi addolorerà sempre l'idea di non essere riuscita a fare di più.  

lunedì 20 marzo 2023

l'ultimo tramonto hawaiano

L'ultima sera, ho preso una pausa dai vari festeggiamenti e saluti per andare a guardare il tramonto dalla spiaggia. Ci tenevo. Guardare il tramonto da una spiaggia di O'ahu è un po' come essere al cinema o a teatro, insomma di fronte a uno spettacolo ben preciso con un inizio e una fine. È un rito collettivo.
Nel giro di pochi minuti si va dalla tipica vita da spiaggia al prendere i posti, mettersi comodi, assicurarsi la vista più scenografica. Chi arriva alla spicciolata quando lo spettacolo sta per cominciare, chi video-chiama casa, chi si mette in posa, chi ordina una cena frugale e romantica.
Mentre mi godevo quell'ultimo tramonto hawaiano, ho avuto un pensiero inconfessabile: mica poi così straordinario questo tramonto.
Voglio dire, in Texas assistiamo quotidianamente a spettacoli meteorologici ben più grandiosi di quel tramonto. Qual è la differenza allora? Perchè ho piantato tutti in asso per essere lì in quel momento e perchè quel momento è stato poi effettivamente così intenso?

È che O'ahu è remota. Chi si trova lì in vacanza sa perfettamente che non sarà semplice tornarci e cerca di rendere ogni istante in qualche modo indimenticabile. Quello che rende unico un tramonto guardato da una spiaggia di Honolulu quindi non è il tramonto in sé, ma le persone che lo guardano. Se in Texas un tramonto anche più straordinario passa completamente inosservato, lì c'è un'attesa palpabile e collettiva, un'intenzionalità tutta diversa. La consapevolezza di vivere un momento unico finisce per crearlo quel momento unico. Ma non sono poi tutti unici i momenti della nostra vita? Non c'è un tramonto uguale all'altro ovunque nel mondo. Ecco, questo vorrei portarmi via da questo viaggio, il proposito di essere meno distratta, più presente, più intenzionale nel tentativo di assorbire tutto quello che di bello e buono ho intorno. 

sabato 25 febbraio 2023

non sei nutella

Questa settimana ho comunicato ufficialmente che alla fine dell'anno, me ne vado da scuola.

Ho sempre raccontato che lo avrei fatto, ma ho sempre anche continuato a sperare di poter rimanere. A un certo punto bisogna essere realisti.

Come mi disse un'amica una volta "non puoi fare felici tutti, non sei un barattolo di Nutella".
Anche questa settimana ci sono stati i soliti drammi, eppure ho attraversato la *palude della tristezza* con passo più sicuro.
Aver messo nero su bianco la mia intenzione, mi ha spronato.
Se pensi che è tutto temporaneo, puoi affrontare difficoltà inimmaginabili.
Se prendi in mano la situazione e fai delle scelte tue, ragionate e consapevoli, invece di affidarti a qualcun altro, tutto è più sopportabile.
Mi dispiace tanto non poter fare di più, ma so che sto facendo tutto, proprio tutto quello che io da sola, con le mie forze, posso.

giovedì 23 febbraio 2023

willy wonka e joe

Volevo raccontarvi un piccolo episodio di qualche anno fa.

Una volta in libreria mi sono imbattuta in Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolato di Roald Dahl. Sull'onda della nostalgia, l'ho subito comprato.
Ero entusiasta di poter leggere una storia che avevo amato da bambina con il mio bambino. Dopo qualche pagina Joe si interruppe. Aveva solo 6 o 7 anni. "This is so mean!"
Effettivamente, rileggendolo oggi, ci sono parecchie cose che lasciano a desiderare.
L'ha mollato lì e non l'ha mai più voluto toccare. Lo abbiamo addirittura lasciato in Italia. Mi fece quasi vergognare di avergli detto che era uno dei miei libri preferiti.
Cose simili sono successe tantissime volte.
A me e Mr J torna in mente qualcosa che ci era piaciuto da morire da piccoli, lo proponiamo a Joe e Woody e loro rimangono molto, molto perplessi.
Non si contano le volte in cui ci è toccato spegnere al volo film e cartoni invecchiati malissimo.
Quello che voglio dire è: censura o non censura, se tiriamo su i nostri bambini con una certa mentalità di inclusione verso il prossimo è ovvio che nel momento in cui si imbattono in un narratore che -in perfetto accordo con la sua epoca- si esprime in modo divergente, se ne sentano respinti.
Peccato perché credo che quella di Willy Wonka sia una grande storia, ma a ognuno il suo.
I tempi cambiano.

martedì 21 febbraio 2023

la palude della tristezza

Tante persone in questo periodo mi hanno chiesto come sto e io rispondo sempre che sto bene perché sto bene, è la verità. La verità però è anche che sto bene quando non lavoro.

Il contrasto fra tutto quello che vivo fuori e dentro le mura di quella scuola è sempre più stridente.
Non vedo quasi più i miei amici, esco raramente. Cerco di conservare tutte le mie energie per sopravvivere a quelle ore che sono ore drammatiche. Ogni giorno succede qualcosa che non dovrebbe succedere purtroppo.
Siamo entrati in una spirale così negativa che sempre più persone esasperate si stanno licenziando. Il problema è che non vengono rimpiazzate.
Siamo in caduta libera e siamo sempre meno.
I grandi capi rimescolano le classi e spostano gli insegnanti da un grado all'altro in una sorta di lotteria disperata: magari una volta o l'altra azzecchiamo la combinazione vincente. Quella maestra di seconda è brava, facciamole fare il cambio con quell'altro di quinta. Cose così.
Ogni giorno mi si presentano almeno un paio di studenti nuovi (di solito vengono dall'estero, non parlano inglese e sono visibilmente disorientati). Alcuni si ritirano da scuola all'improvviso, altri vanno via per un periodo e poi tornano, non so perchè succeda questo. Un bambino è stato via vari mesi e mi ha raccontato di non essere andato a scuola in quel periodo. Tutti questi cambiamenti, rendono ogni mio sforzo di stabilire una qualche sorta di normalità pressoché vano.
Non fraintendetemi, non voglio dire che sia tutto negativo. Lo vedo bene che per certi versi sto facendo tantissimo. Li vedo i progressi, ma sono una goccia nel mare. Nella sostanza purtroppo, se non c'è nessun tipo di continuità, se cambiano le classi, gli studenti e gli insegnanti tutti i giorni, non può cambiare niente.
Recentemente ho scoperto che ci sono bambini che frequentano quella scuola da vari anni e non parlano una parola di inglese.
Come è possibile? Non ha nessun senso.
Un insegnante mi ha spiegato che alle elementari gli esami possono essere fatti in spagnolo. Visto che l'obbiettivo è passare gli esami, alcuni preferiscono insegnare solo in spagnolo per aumentare le possibilità.
Sono successi episodi gravi che sto cercando di dimenticare, ma mi agitano anche avvenimenti piccoli e per me poco comprensibili.
Per caso un giorno ho realizzato che la classe che mi è stata presentata all'inizio dell'anno come una seconda in realtà è un misto di prima e seconda. Dice che siccome ne avevano troppi in prima e troppo pochi in seconda, hanno preso i migliori di una e i peggiori dell'altra e hanno fatto una classe unica. Mai sentito nulla di simile, ma Google mi spiega che è una cosa possibile e legale. Peccato che nessuno si sia preso la briga di avvertirmi.
Qualche volta mi viene in mente la palude della tristezza de La Storia Infinita.
Sto attraversando la mia personale palude della tristezza. Non posso fare altro che andare avanti se non voglio fare annegare qualcun altro.
Non preoccupatevi mi immedesimo con Atreyu e non con Artax. Il mio talismano è la mia vita fuori, i miei affetti e la mia casa verso cui sento una riconoscenza infinita. Sono arrivata alla conclusione che non farsi trascinare giù con le risorse che ho a disposizione è estremamente difficile, ma possibile.
Sto facendo tanta fatica. Non ho mai fatto così fatica.

domenica 29 gennaio 2023

un chiarimento

Tutti i messaggi che ho ricevuto rispetto all'ultimo post (qui) erano di solidarietà, stima e affetto come sempre e questo è un grande conforto.

Ogni volta che racconto della nuova scuola, però viene sempre fuori una certa opinione.
Ogni volta mi riprometto di trovare il tempo di spiegare bene la questione, ma poi il tempo passa.
Chiarisco un attimo adesso, ci provo.
Chiedetemi pure se avete dei dubbi.
L'opinione sostanzialmente è "incredibile o vergognoso che in uno dei paesi più ricchi del mondo succedano queste cose".
Ecco, sì però anche no.
Cioè, è complicato.
Come ho già spiegato in passato, la mia scuola è come sotto una lente di ingrandimento da parte di tutte le autorità. La mobilitazione per migliorare la situazione è reale.
Innanzitutto, la scuola in sé come edificio è nuova e all'avanguardia. Abbiamo tutto e noi insegnanti siamo ben pagati. Durante l'ultima riunione, ad esempio, è stato comunicato che chi vuole lavorare dopo scuola oppure il sabato per fare ripetizioni agli studenti che ne hanno bisogno verrà pagato una certa cifra all'ora. C'è stato un gasp generale, la cifra era alta. Poi però quelli che hanno alzato la mano per dichiararsi interessati alla proposta sono stati pochissimi. La mia sensazione è che non sia una questione di soldi o risorse: il problema è che nessuno vuole fare questo lavoro. Avere a chè fare con un contesto di povertà estrema (si parla di persone traumatizzate e che spesso e volentieri non hanno beni primari come cibo e vestiti) è difficilissimo.
Perché queste persone sono in una situazione di povertà estrema? Ci sono mille circostanze diverse ovviamente, ma nel caso della nostra scuola, tantissimi studenti sono appena arrivati dai vari paesi del Centro -Sud America. Letteralmente ogni giorno conosco uno o due studenti nuovi che sono appena arrivati da Honduras, Guatemala, Messico, ecc. che non parlano inglese e non hanno niente tranne uno sguardo pieno di domande e paura che non ti fa dormire la notte.
Avete presente i telegiornali? Quelle persone che attraversano il deserto, la giungla, guadano i fiumi per arrivare negli Stati Uniti? I media non raccontano mai cosa succede dopo. Il dopo lo si vede in scuole come la mia. Ognuno con una cultura e un trauma diverso e noi facciamo il possibile per aiutarli.
Per questo non riesco a condividere l'indignazione. Questo paese come tutti gli altri ha mille difetti, ma data la situazione, mette risorse e persone a disposizione dei nuovi arrivati.
Tanti mi hanno scritto in questi mesi per raccontarmi di situazioni simili in altri paesi, anche in Italia.
Questa scuola per me è stata come una doccia fredda. Un risveglio improvviso su una realtà di degrado che io non conoscevo, ma che c'è sempre stata qui e io suppongo, in ogni grande città del mondo. Cosa credete? Anche i miei conoscenti americani rimangono basiti dai racconti sulla mia scuola. È che stiamo tutti nel nostro.
Uno dei motivi per cui sto condividendo questa esperienza difficilissima per me è che spero che chi mi legge, possa allargare anche solo di qualche millimetro il proprio orizzonte come ho fatto io. Facendolo si scopre che la povertà, il degrado e il trauma sono lì a portata di mano, ma a volte scegliamo di non vederli perché ci fanno sentire a disagio, impotenti.
Solo quando finalmente vediamo, prendiamo coscienza, possiamo -nei tempi e modi che riteniamo opportuni- scegliere di agire.

sabato 28 gennaio 2023

only love can break your heart

 A un evento ho incontrato una vicina di casa con cui non avevo mai parlato. Facciamo quattro chiacchiere e si scusa -pensa te- perchè davanti al suo garage c'è sempre una macchina parcheggiata. Non ci avevo mai, ma proprio mai e poi mai, fatto caso. Dice: "E' imbarazzante, ma d'altra parte... ti danno una promozione, ti offrono una macchina, ti pagano tutto, cosa fai? Rifiuti?". Direi proprio di no. Le chiedo che lavoro fa. Lavora nelle risorse umane, la sua specializzazione è licenziare. Mi racconta che i suoi figli, che hanno la stessa età dei miei, l'hanno soprannominata 'the axe', la falce. 

E niente, lei parlava e io pensavo che una che di lavoro dà brutte notizie è ben più pimpante della sottoscritta. 
Sono così stanca che una mattina ho dimenticato di mettermi le lenti a contatto. Come si fa a dimenticare le lenti a contatto? Sono miope, per la miseria. 
Queste ultime settimane a scuola sono state intense, piene fino all'orlo di gioia e dolore. 
Il dolore fa più rumore. Ha un'eco che sembra non finire mai, ma mi costringo sempre a ricordare che ci sono state anche una quantità notevole di progressi e soddisfazioni. Ogni giorno, anche in quelli più drammatici, è successo qualcosa che mi ha riempito almeno per un secondo, non molto di più, di una felicità immensa.
Mi viene in mente il bambino che aspettava di entrare nella classe di arte con un biscotto mezzo sciolto nella manina per me. L'altro che mi ha lasciato il suo dinosauro. Sarà più contento qui, ha detto, e lo ha piazzato sotto al filodendro che ho portato ad agosto che era un ramoscello e oramai è assurto agli onori di Jurassic Park scolastico. Tutte le letterine, i disegni, i "ti voglio bene", i "mi sei mancata", i "quando vengo qui è il mio giorno preferito". Un'intera parete di messaggi di affetto. Li appendo quasi tutti, ho finito lo spazio, mi danno coraggio e mi rassicurano quanto le foto della mia famiglia che tengo sempre a portata di mano.
Guardavo i piccolini dipingere, lavare diligentemente i loro bicchierini, preparare i materiali per i compagni della classe successiva e sorridevo.
Siete stati proprio bravi, datevi una bella pacca sulla spalla. Anzi, diamocela tutti quanti, dai. 
Ho imparato a diversificare le mie lezioni. C'è chi dipinge e lava anche i pennelli e c'è chi deve ancora imparare cose tipo chiedere e non strappare di mano, non picchiare, ascoltare. Una grande parte della mia giornata consiste nel facilitare conversazioni ovvie. 
Tu vuoi questo e anche tu vuoi questo, come si fa? Lo dividiamo in due? Lavoriamo insieme? Ci inventiamo un gioco nuovo? Uno dei due rinuncia? 
Dopo tutti questi mesi, mi sento di dire che il problema vero è la violenza. Ne ho vista molta all'inizio dell'anno, poi le cose si erano calmate. Subito prima delle vacanze di Natale c'è stata una ripresa che non si è ancora placata. Va a ondate. Recentemente si sono verificati episodi che sto ancora cercando di elaborare.
Vengo da una famiglia non perfetta, ma piena di amore. Non ho mai visto così tanta brutalità nella vita come da quando lavoro in questa scuola. Violenza verbale, fisica, razzismo, bullismo, omofobia, maleducazione, discriminazioni di ogni tipo. È una violenza che non è mai -mai- rivolta verso di me e questo è fondamentale, ma che vedo, sento, mi spaventa, mi traumatizza. 
Gli studenti più grandi, in particolare, mettono a dura prova la mia speranza. Ogni volta che vengono in classe, non so come altro dirlo: ho paura. 
Dalla settimana scorsa per loro c'è un metal detector, controlli e zaini trasparenti. Non hanno più nemmeno il permesso di allacciarsi le felpe. 
Un pomeriggio sembrava tutto sotto controllo. A un certo punto vola un aereo di carta coperto di svastiche. Fermo tutto. Non si capisce bene chi sia stato, ma non importa. Parliamo, ragioniamo. Che simbolo è, cosa rappresenta. In fondo sono in prima media, magari non sanno, non capiscono. Successivamente lo racconto alla loro maestra e mi risponde con assoluta normalità: "Certo, oggi abbiamo parlato dell'Olocausto". Non sapevo se ridere o piangere. Gli spieghi l'Olocausto e loro parteggiano per Hitler? Allucinante.
Come facciamo noi insegnanti a insegnare *tutto*? Dall'igiene personale alla matematica. Questa è la domanda che mi assilla ogni giorno.
Sono in uno stato di perenne tensione. Da un momento all'altro può succedere -e purtroppo qualche volta è successo- di tutto. Sono così tesa che anche a casa basta un niente, un ritardo, una chiamata senza risposta, per farmi entrare nel panico. 
Non so più cosa fare per evitare i conflitti in classe. Ho cominciato perfino a sperimentare con qualche tecnica di teatro improv. Ho pensato che magari se riescono a ridere insieme, non gli viene troppo da picchiarsi. 
Con i più piccoli, diciamo fino alla quarta elementare, più volte mi sono messa fisicamente in mezzo a due litiganti. Nei momenti più drammatici, il mio unico istinto è proteggerli, tutti, quelli che le danno e quelli che le prendono. Voglio solo prevenire. Nel momento in cui qualcuno si fa male, il danno è irreparabile per tutti.
Mi metto in mezzo quando sento fiducia nella relazione con la persona infuriata: so che non farebbero mai del male a me. E infatti, si calmano. Tante volte scoppiano a piangere perché poi quei comportamenti violenti sono chiaramente un sintomo del loro dolore. Bisogna solo capire come accidenti farlo uscire senza fare danni quel maledetto dolore che si portano dentro. 
Tanti dei bambini che mi dicono essere più violenti altrove vedono la classe di arte come la loro oasi felice, al punto che quando hanno dei momenti difficili, i loro maestri a volte li mandano da me. 
Cerco di non parlare più di tanto con loro, non sono una psicologa. Il bambino che all'inizio dell'anno, lasciato libero di scegliere, aveva dipinto per un'ora sangue, solo sangue, una mattina mi ha preso da parte e mi ha detto solo: "I feel like I don't matter". Sono rimasta senza parole mentre lo guardavo andare via. Ho avvertito la sua insegnante, è importante mettere insieme i pezzi, credo. Il giorno dopo per la prima volta quando mi ha vista mi ha abbracciata e mi ha detto che sono la sua migliore amica. Non sono la tua migliore amica, sono la tua maestra. 
Ho sempre paura di dire la cosa sbagliata. Comunichiamo attraverso i colori, le linee, il gioco. 
Dipingendo, disegnando, costruendo, non si può mai sbagliare. 
Ricordo un pomeriggio.  Si è presentato alla porta uno studente in difficoltà, occhi lucidi, sguardo pieno di rabbia. Non ho idea di cosa fosse successo. L'ho invitato a sedersi insieme alla classe che era lì in quel momento. Senza dare spiegazioni, si è calmato.
La sua maestra alla fine della giornata mi ha ringraziata e mi ha abbracciata. Mi ha chiesto il permesso (qui il consenso non viene mai dato per scontato) e mi ha dato un abbraccio vero, non alla texana. Per me quello è stato uno dei momenti più significativi di questo anno scolastico. Sentire di portare il peso insieme, cercare di non farsi schiacciare anche se la fatica è tanta.
Con i grandi, per tanti, tanti, motivi, tutto questo non funziona.
Non sono capace. 
Canta Neil Young:
Only love can break your heart. 
What if your world should fall apart?
Il mio mondo, la mia visione del mondo, quello che credevo fosse il mondo prima di iniziare quest'esperienza, sta cadendo a pezzi, è vero. Non sarò più quella di prima dopo quello che ho visto. 
Conto i giorni che mi separano dalla fine dell'anno scolastico. Vorrei scappare via, ma non posso. Non posso avere questo peso sulla coscienza. Ho visto troppi bambini piangere. Quando un insegnante se ne va nel mezzo dell'anno, nella mia scuola non ne arriva un altro. Se ne stanno andando in tanti ultimamente e ogni volta è una valanga di conseguenze negative per tutti.
Non avevo mai sentito tutta questa sofferenza e tutto questo amore intorno a me. 
Pura vita.


P.S. Ieri dopo aver postato, ho spento tutto.
La situazione che vi ho raccontato richiede tantissima energia. Anche condividere richiede tantissima energia.
La cosa fondamentale è mettere il proprio equilibrio al primo posto. È stato bello stamattina svegliarmi e trovare tutti i vostri messaggi. Tutti i messaggi che ho ricevuto erano di solidarietà, stima e affetto come sempre e questo è un grande conforto.
Ogni volta che racconto della nuova scuola, però viene sempre fuori  una certa opinione. 
Ogni volta mi riprometto di trovare il tempo di spiegare bene la questione, ma poi il tempo passa.
Chiarisco un attimo adesso, ci provo.
Chiedetemi pure se avete dei dubbi.
L'opinione sostanzialmente è "incredibile o vergognoso che in uno dei paesi più ricchi del mondo succedano queste cose".
Ecco, sì però anche no. 
Cioè, è complicato.
Come ho già spiegato in passato, la mia scuola è come sotto una lente di ingrandimento da parte di tutte le autorità. La mobilitazione per migliorare la situazione è reale. Innanzitutto, la scuola in sé come edificio è nuova e all'avanguardia. Abbiamo tutto e noi insegnanti siamo ben pagati. Durante l'ultima riunione, ad esempio, è stato comunicato che chi vuole lavorare dopo scuola oppure il sabato per fare ripetizioni agli studenti che ne hanno bisogno verrà pagato una certa cifra all'ora. C'è stato un gasp generale, la cifra era alta. Poi però quelli che hanno alzato la mano per dichiararsi interessati alla proposta sono stati pochissimi. La mia sensazione è che non sia una questione di soldi o risorse: il problema è che nessuno vuole fare questo lavoro. Avere a chè fare con un contesto di povertà estrema (si parla di persone traumatizzate e che spesso e volentieri non hanno beni primari come cibo e vestiti) è difficilissimo.
Perché queste persone sono in una situazione di povertà estrema? Ci sono mille circostanze diverse ovviamente, ma nel caso della nostra scuola, tantissimi studenti sono appena arrivati dai vari paesi del Centro -Sud America. Letteralmente ogni giorno conosco uno o due studenti nuovi che sono appena arrivati da Honduras, Guatemala, Messico, ecc. che non parlano inglese e non hanno niente tranne uno sguardo pieno di domande e paura che non ti fa dormire la notte. Avete presente i telegiornali? Quelle persone che attraversano il deserto, la giungla, guadano i fiumi per arrivare negli Stati Uniti? I media non raccontano mai cosa succede dopo. Il dopo lo si vede in scuole come la mia. Ognuno con una cultura e un trauma diverso e noi facciamo il possibile per aiutarli. 
Per questo non riesco a condividere l'indignazione. Questo paese come tutti gli altri ha mille difetti, ma data la situazione, mette risorse e persone a disposizione dei nuovi arrivati. 

Tanti mi hanno scritto in questi mesi per raccontarmi di situazioni simili in altri paesi, anche in Italia. 

Questa scuola per me è stata come una doccia fredda. Un risveglio improvviso su una realtà di degrado che io non conoscevo, ma che c'è sempre stata qui e io suppongo, in ogni grande città del mondo. Cosa credete? Anche i miei conoscenti americani rimangono basiti dai racconti sulla mia scuola. È che stiamo tutti nel nostro.
Uno dei motivi per cui sto condividendo questa esperienza difficilissima per me è che spero che chi mi legge, possa allargare anche solo di qualche millimetro il proprio orizzonte come ho fatto io. Facendolo si scopre che la povertà, il degrado e il trauma sono lì a portata di mano, ma a volte scegliamo di non vederli perché ci fanno sentire a disagio, impotenti. 
Solo quando finalmente vediamo, prendiamo coscienza, possiamo -nei tempi e modi che riteniamo opportuni- scegliere di agire.