martedì 16 novembre 2021

l'accento

Che rapporto avete con il vostro accento quando parlate una lingua straniera o anche solo in italiano?
Io, di insicurezze ne ho, ma il mio accento non è una di queste. In italiano, non parlando dialetti, non ci ho mai fatto caso più di tanto.
In Spagna l'accenno alla mia italianità era immancabile, ma non lo vivevo come un problema. Qui in Texas, per via dei miei colori mediterranei, mi capita spesso che mi si rivolgano in ma molto raramente qualcuno si prende la briga di chiedermi di dove sia. Non ho ancora capito se diano per scontato che sia argentina o se semplicemente non importi: ci sono talmente tanti accenti in spagnolo qui che uno vale l'altro, basta capirsi.
In inglese, sono consapevole di avere un forte accento italiano e lo accetto.
Ho sofferto molto il non capire e il non potere esprimermi come volevo i primi tempi, ma risolto quell'aspetto, l'accento non mi ha mai creato disagi particolari.
Ce l'ho, è mio e lo rivendico quasi: fa parte della mia storia e della mia identità.
Oltretutto nessuno me lo ha mai fatto pesare. Per prima cosa, é comprensibile. Il vantaggio dell'accento italiano rispetto ad altri come quello francese, ad esempio, è che è chiaro, si capisce. E poi ho sempre avuto l'impressione che fosse una caratteristica simpatica, i commenti se ci sono stati, sia in ambito personale che professionale, sono sempre stati benevoli, gioviali.
Insegnando, mi è capitato credo una volta sola - e ancora dopo tanti anni lo ricordo con divertimento- che uno studente, un bambino con i capelli rossi di 5 anni (di origini italiane tra l'altro) mi squadrasse dal suo banco il primo giorno di scuola e dichiarasse con uno sguardo indagatore alla Arnold: 'Tu non parli come noi'.
Nelle ultime settimane, da quando ho cominciato a fare la supplente, episodi di questo tipo e anche di questo tipo, ma senza bonarietà, sono all'ordine del giorno.
Adesso per prima cosa quando entro in classe, mi presento.
"Come potete notare, ho un accento. E' perchè sono nata in un altro paese dove si parla un'altra lingua. Lo sapete che anche voi avete un accento nella mia lingua?"
Scrivo il mio cognome alla lavagna e chiedo: siete capaci a dirlo come faccio io? Dai, provateci. E ci provano e ridiamo insieme perché cercare di arrotare le 'erre' per un madrelingua inglese è divertente e buffo.
Da piccoli impariamo a parlare e ci abituiamo a pronunciare i suoni che sono propri della nostra lingua. E' molto difficile imparare a pronunciare suoni di altre lingue alla perfezione da adulti.
L'accento quindi non ha nulla a che vedere con il quoziente intellettivo né con le competenze di una persona, nemmeno quelle linguistiche.
È una questione fisiologica. Non è giusto farsi gioco di qualcuno per caratteristiche che non dipendono dalla sua volontà.
L'altro giorno, ho dimenticato di fare il mio piccolo preambolo e un bambino di seconda elementare, ha interrotto la mia spiegazione urlando "mamma mia!" e affermando che *loro* non mi capivano. Gli altri bambini lo hanno subito contraddetto: ovviamente mi capivano, loro.
Come mi sono sentita?
Benissimo.
Un incidente di questo tipo è un'opportunità rara e preziosa di mostrare il valore della diversità nella vita reale.
E' quello che in inglese viene definito 'teachable moment'.
Questi incidenti mi stanno succedendo nelle scuole quasi completamente bianche dei quartieri più ricchi, dove i bambini sono abituati ad interagire con insegnati tutti uguali: 99% donne e di solito bionde, texane e cristiane, ho notato. Io non corrispondo a questa descrizione e in qualcuno creo curiosità, in qualcun altro (forse troppo inesperto per esprimere questa curiosità?) disagio.
Poter fare questo tipo di riflessioni in classe -quando è necessario- dà ulteriore significato al mio lavoro di supplente.
Quella contrapposizione noi-voi che ho avvertito tante volte mi preoccupa molto e sono convinta che nasca dalla mancanza di dialogo e di modelli di comportamento positivi.
Agli adulti piace tanto pensare che i bambini non vedano le differenze. Che per loro il colore della pelle sia indifferente, così come l'accento o la qualità dei vestiti o dei giochi dei compagni di scuola, ma non è così. Esplicitando i non detti, si finisce su un terreno molto scivoloso soprattutto in una realtà come la mia.
Ci vuole prudenza e bisogna fare attenzione a come ci si esprime, ma girandosi dall'altra parte quando si sente qualcosa, si rischia di fare molto peggio. Se i pregiudizi che avverti nell'aria non li smonti, li alimenti.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

In realtà secondo me i bambini notano tutto, ma è solo dopo una certa età (credo dopo i 6 anni almeno) che quanto vedono si trasforma in "differenza" vera e propria. Lo vedo con il mio bimbo..da piccolo mi diceva che un suo amichetto di classe era "marrone" ,o guardando uan donna velata in tv dicesse : la mamma si ...ma lo diceva comese fosse una sua caratteristica intriseca,come essere grande,piccolo, con gli occi blu o marroni. Adesso che ha 8 anni a volte dice "i marroni" per indicare un gruppo, cosa che non ha mai fatto prima Sta a no adulti (genitori intendo) stare attenti che il dividere le persone in "gruppi" ,a prescindere dal criterio di suddivisione , crei un "noi" e "loro". Ovviamente un genitore che vede il mondo diviso e che non si è mai trovato "dall'altra parte", cioè dalla parte della minoranza etnica, linguistica culturale o religosa, presterà poca attenzione alla cosa.

Nonsisamai ha detto...

Non credo ci sia niente di male a chiamare i neri neri, gli asiatici asiatici e via dicendo. L'importante è usare termini non offensivi. Non è semplicissimo perché a volte non c'è accordo nemmeno all'interno delle comunità stesse, però ci si prova. Bisogna informarsi, leggendo e soprattutto ascoltando.

Kiara ha detto...

...ti leggo da poco e sono già conquistata.
Per come tratteggi, con lucidità e senza sconti, la realtà americana, ma anche per gli utili spunti in veste da genitore.
Sono una mamma che sul lavoro ha a che fare tutti i giorni con colleghi d'oltreoceano e mi spiace dirlo, ma alcune differenze (stavo per scrivere limiti ma mi son trattenuta;-) culturali e sociali pesano, pesano eccome.
Un'univocità di pensiero che non riscontro con nessun altro.
A mia figlia cerco di trasmettere tutt'altro, ma non è facile - questo, né nel Belpaese né da nessuna parte, mi sa...

PS. Ho già detto che ti ho scoperta da poco a sono già addicted..? Ah, sì :-D

Nonsisamai ha detto...

Kiara Mi piacerebbe capire meglio a che tipo di limiti o differenze ti riferisci, comunque grazie per il commento e per essere qui!