Perchè le expat non lavorano?
Questa fu una delle mie più grandi domande appena arrivata qui. Non riuscivo a darmi una spiegazione.
Entrai subito in vari giri di cervelli in fuga stranieri di tanti paesi diversi e le mogli non lavoravano quasi mai. Perché? Mi chiedevo. Dopo tutto, erano quasi tutte laureate e abituate a lavorare nei loro paesi. Qui invece al massimo organizzavano eventi mondani per passare il tempo. Io appena arrivata qui ero occupatissima a guardarmi intorno e assaporare tutti i cambiamenti, ma la voglia di tornare al lavoro non mi mancava. All'inizio, non avevo ancora il documento che mi serviva per lavorare e non parlavo inglese, o certamente non abbastanza da fare quello che facevo in Italia, ma volevo buttarmi. Acchiappai al volo la primissima occasione.
La differenza fra me e la maggior parte delle altre expat che non lavoravano era soprattutto una: io non avevo figli.
Quando sono arrivati, sono riuscita a conciliare tutto senza problemi, ma è molto più semplice mantenere un lavoro che trovarne uno nuovo con i bambini piccoli.
Ora, dopo una parentesi di studio, mi trovo nella condizione di cercare un lavoro nuovamente. E mi rendo conto che non è per niente semplice.
Il primo ostacolo è che aspiro a fare qualcosa di molto specifico, l'insegnante di arte in una scuola elementare. In ogni scuola normalmente c'é un solo insegnante di arte, sono posti ambiti.
Nonostante ciò il lavoro l'avevo anche trovato e più o meno subito, ma a quel punto mi sono resa conto che l'ostacolo più grande era un altro: i bambini? Dove li metto? Soprattutto Woody che è ancora piccolo.
Qui gli insegnanti devono essere in classe alle sette del mattino e le distanze sono enormi. Ho calcolato un'ora di strada e il povero Woody, a tre anni, avrebbe dovuto entrare all'asilo alle sei del mattino. Farlo passare di colpo da sempre con la mamma a sempre a scuola, mi spezzava il cuore e così ho deciso di aspettare un'occasione migliore. Intendiamoci: i bambini si adattano benissimo quasi a tutto e anche le mamme in fondo, è che avendo fortunatamente una scelta davanti, ho optato per la soluzione temporanea di aspettare di trovare un posto di lavoro più vicino a casa.
A un certo punto, su Linkedin o non so dove, è apparso il lavoro dei miei sogni, un lavoro nell'ambito della didattica museale che sembrava fatto su misura per me. Si trattava fondamentalmente di inventarsi dei sistemi per coinvolgere le famiglie meno abbienti della periferia di Dallas. Il colloquio in spagnolo è andato molto bene, filava tutto liscio come l'olio. Dieci anni fa, avrei fatto carte false per quel posto, ma ora le cose sono cambiate.
Il tempismo è tutto nella vita, no? Lo penso sempre di più.
All'ultimo minuto dell'ultimo colloquio, dopo aver sognato ad occhi aperti per un mese di lavorare con delle persone interessanti e curiose come quelle che avevo davanti, il tipo di persone che difficilmente incontri nelle scuole purtroppo, ho preso la folle decisione di essere del tutto onesta.
(Ma quanto è difficile essere completamente onesti a volte? E poi ti chiedi sempre...ma devo proprio? Sigh)
Gli ho spiegato la mia situazione: non mi aspetto di essere pagata, ma ho bisogno di tornare in Italia un mese all'anno.
Gasp.
Qui un mese di ferie all'anno è un lusso inaudito.
Ho cercato di convincerli di una cosa a cui credo molto e cioè che un mese in Europa non è assolutamente un mese perso per uno che lavora in ambito culturale in Texas. Ogni volta che torno, imparo tante di quelle cose, ma i tempi qui non sono ancora maturi per questo tipo di mentalità.
Passato lo shock iniziale quelli del museo furono molto carini e comprensivi, dissero che ne avrebbero parlato con il dipartimento delle risorse umane, ma non se ne fece nulla. E così adesso sto cercando di nuovo un lavoro in una scuola perchè l'ho fatto per tanti anni e ancora mi piace moltissimo, ma anche perchè è l'unico lavoro che mi permetta di tornare in Italia, di mantenere un rapporto con la mia famiglia e i miei amici e soprattutto di fare in modo che i miei piccoli texani costruiscano pian piano questo stesso rapporto con la loro origine italiana.
Non sia mai che crescessero pensando che in Italia si mangiano tutti i giorni gli spaghetti con le polpette. Per me è fondamentale che conoscano l'Italia vera nella sua bellezza come nelle sue enormi contraddizioni e c'è solo un modo per conoscere un paese: andarci.
Precisiamo. Non è che la gente non abbia un mese di ferie all'anno qui, in un certo senso è ancora peggio: hanno i giorni, ma non li usano mai tutti insieme. Non conosco nessuno che faccia nemmeno due settimane di fila. E' una cosa che ti fa sembrare poco professionale. Magari ti dicono va bene vai, ma poi quando torni, alla tua scrivania ci trovi qualcun altro (visto succedere).
Ho varie amiche straniere nella mia stessa situazione e ognuna fa quel che può rinunciando sempre a qualcosa di importante purtroppo. C'è chi con un'enorme sforzo economico e personale ha aperto un'azienda in proprio. C'è chi ha scelto il lavoro e nel suo paese non torna quasi più. C'è chi manda i figli da soli. C'è chi sta cercando il coraggio di licenziarsi da un ottimo lavoro per fare l'insegnante, più o meno per i miei stessi motivi. C'è chi ha deciso di lasciare ogni ambizione alla porta per fare fondamentalmente l'autista di figli ingrati che non capiscono che passare da un corso all'altro in teoria è un privilegio e non una tortura. C'è chi ti racconta con gli occhi spalancati: "Ho una bellissima notizia: ho trovato il lavoro dei miei sogni". C'è un piccolo inconveniente: è a tre ore di strada e lei è incinta. Verranno i santi nonni dall'altra parte del mondo ad aiutarla per qualche mese, ma comunque sarà tutto molto complicato. Un marito e una figlia in una città, un neonato e una stanza in affitto durante la settimana in un'altra. D'altra parte, lei dice "Ho aspettato così tanto, è la mia occasione" e la capisco, accidenti se la capisco.
La risposta alla domanda iniziale, dunque, è questa. Tutte le donne fanno fatica a conciliare la vita personale e la professione, ma le expat senza il cosiddetto (agognatissimo!) villaggio, un po' di più.
6 commenti:
...sono expat anch'io ma in un altro posto.
Faccio un lavoro che mi piace (ma non mi pagano troppo, comunque abbastanza da vivere) e ho due figli adesso grandini (ma ho cominciato quando mio figlio piccolo aveva 2 anni e mezzo).
Dopo che hai scritto questo post, penso che davvero io sono stata molto, molto, molto fortunata dal punto di vista del lavoro.
Certo è una situazione diversa, ma il mio lavoro è sotto casa (vado a piedi) e la scuola dei bambini è vicina e pure bilingue in inglese, anche se costa un botto (ma riusciamo a pagarla, e pure anche gli sport per ciascuno dei figli)... insomma: non mi devo lamentare.
Davvero uno deve scegliere, e tante volte si deve sacrificare qualcosa.
Ti auguro di trovare presto un lavoro che faccia al caso tuo... anche io, per esempio, riesco a portare i miei figli un mese in Italia (comunque, loro adesso vogliono stare qui, specialmente la grande, per via dei loro amici... ma almeno entrambi i miei figli parlano italiano, sanno cos'è l'Italia, ecco, almeno un po'... non hanno solamente il passaporto.
Davvero ti auguro di avere tanta, tanta fortuna. Perché alla fine ci vuole anche quella: brava e motivata lo sei, quindi, spero che anche la sorte ti aiuti.
Un abbraccio,
Guarda è così per tutti.
Certo per voi expat è tutto amplificato.
Ma io, a 40 anni, sto pensando di mollare tutto e fare l'insegnante precaria per gli stessi motivi che adduci tu.Anche se, con la scuola che apre alle 7:30 e non prima (e in Italia non esistono strutture che prendono bambini prima di quell'ora,neanceh i nidi), non saprei come fare se trovassi delle supplenze anche a soli 40 km da casa.
Capisco il pronblema del mese di ferie.In Italia è uguale, a parte qualche raro caso di aziende che chiudono 3 settimane in agostoe ti obbligano a ferie blindate, 4 settimane consecutive sono proprio impossibili da prendere, anche legalmente.
simona
Bulutu: un lavoro sotto casa. Non dover guidare...sto sognando!
Le difficoltà sono sempre tante però sei riuscita a conciliare tutto e per me sarebbe una grandissima vittoria fare come te :)
Simona: si,ci ho pensato anch'io. In effetti, basta essere in un'altra città o non avere familiari disponibili. Per semplicità, ho limitato il discorso alle expat, ma certo, è così. Ci sono anche i casi (molto rari) in cui è la madre expat che lavora e il padre sta a casa, quindi vale anche per gli uomini. Mi diceva un'amica che a Londra è abbastanza comune per gli expat prendere un mese per tornare a casa. Qui siano lontano anni luce da quella mentalità.
Anche io feci un colloquio di insegnante in una scuola di lingue, e quando dissi che in estate (qui pieno inverno) tornavo in Italia per un mese la direttrice della scuola sorrise. Le dissi che avevo già chi mi avrebbe "coperto", la mia omologa dello stesso istituto che mi aveva proposto alla direttrice per espandere le ore della sua materia.
Era un venerdì e io avrei dovuto iniziare lunedì, o almeno così eravamo rimaste d'accordo a fine colloquio. Due ore due volte alla settimana, neanche un lavoro a tempo pieno, e parliamo di una scuola di lingue privata. Sabato mattina mi chiama la direttrice per dirmi che aveva preferito un'altra insegnante "che potesse garantire continuità agli alunni". Credo di averle sbattuto il telefono in faccia. Mi sta bene la sua decisione, ma non mi sta bene che mi si dica "inizi lunedì" e dopo neanche 24 ore mi si licenzi per telefono. È davvero poco professionale.
Per questo ho deciso di lavorare in proprio. Se avessi la possibilità di non lavorare, lo farei.
Cara, quando ho letto il titolo mi bolliva il sangue, pensavo facessi un commento sulle expat viziate che non fanno un cavolo tutto il giorno, che è un po' quello che la parola expat fa pensare a chi non ha mai vissuto "fuori". Io sono diventata pazza per 12 anni in cui non potevo lavorare a causa di spostamenti continui, figli piccoli, visti di lavoro (or lack thereof), il fatto che la mia laurea in campo medico non fosse riconosciuta ovunque senza ulteriori esami universitari . Poi ho passato 5 anni diventando pazza a lavorare, perché senza il famoso "villaggio" e con un marito sempre via, la mia vita tra figli e lavoro era come il training dei navy seals. Poi sono tornata all'università e ho fatto un sacco di altre cose spezzettate per ritagliarmi sempre il tempo di stare dietro ai teenagers impestati e nonni vecchietti (ovviamente su continenti diversi). Per me è un dilemma senza soluzione, quello del lavoro delle mamme expat. In qualunque direzione si vada, si mettono in conto enormi rinunce, o familiari o professionali. Gigantesche.
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