Il bigino di Non Si Sa Mai.

giovedì 1 agosto 2024

tazza riempita

Era una delle prime mattine. Il fuso mi impigriva, ma il tempo era così gradevole rispetto al caldo quasi insopportabile degli ultimi anni che appena sveglia, sono corsa fuori senza nemmeno farmi un caffè.

Ho preso la bici e ho fatto un lunghissimo giro.

Una volta non c'erano tutte quelle piste ciclabili. Adesso invece si può andare ovunque, verso la città oppure verso campi, boschi, borghi storici, fattorie, cimiteri e chiese di campagna. Ci si dimentica di essere alle porte di Milano. Mi sono persa più di una volta, ma come ci si perde in un posto tipo Venezia per dire, con la certezza di poter scoprire qualcosa di magico e segreto dietro l'angolo.

Anche se non mi ha creduto nessuno, giuro di aver visto dei cavalli che pascolavano liberi dalle parti di Garbagnate Milanese. Pazzesco.

Ho incontrato tanti ciclisti e escursionisti solitari e poi gruppi di anziani che sembravano molto organizzati, agricoltori impegnati a lavorare i campi come in un quadro di Fattori che mi facevano segno di spostarmi di mezzo ché non erano mica in vacanza loro. Finchè all'improvviso mi sono ritrovata davanti a quella che a noi che siamo di lì piace chiamare 'piccola Versailles', uno dei posti che frequentavo di più prima di trasferirmi. Ho mandato un messaggio a un'amica che lavora lì solo per dire 'ero qui e ti ho pensata'. Il tempo di inviare e mi si è spalancato davanti il cancello. "Vieni su che ti offro un caffè". Quella gioia inspiegabile di visitare un museo chiuso, sbirciare nel dietro le quinte e poi la nostalgia, la gentilezza e la spontaneità di quel 'ti offro un caffè', che nella mia vita quotidiana attuale, nonostante tutti i miei tentativi, non esiste. Ero al settimo cielo.

Sono tornata a casa e ho raccontato che era tutto fantastico. Tanti cambiamenti positivi: non solo le piste ciclabili, ma adesso anche qui gli estranei ti salutano per strada come in Texas! E' scoppiata una risata generale. No, i milanesi continuano a non salutare gli estranei. L'ipotesi che si è fatta strada è che io sorridessi come faccio qui mentre loro mi salutavano nel dubbio, cercando di ricordare chi fossi.

Bei sorrisi però. Sorridi e la vita ti sorride, dicono, ed è vero, io ci credo fermamente.

D'altra parte, il tempo passa e si cambia. Vivo all'estero da così tanti anni che a volte non capisco cose che altri in Italia danno per scontate e viceversa. Sono immersa in una società e in una mentalità che si basano su principi in alcuni casi sostanzialmente diversi.

Mi è rimasta impressa, ad esempio, tutta una discussione sulle mense scolastiche. Di fronte alle lamentele di una bambina che raccontava di tornare a casa affamata fra lenticchie e spinaci bolliti, mi hanno spiegato che è compito della scuola insegnare l'alimentazione sana. Per questo è vietato portarsi il cibo da casa. Ohibò. Perfino le maestre devono mangiare le stesse cose dei bambini per dare il buon esempio. Doppio ohibò. L'idea che il mio datore di lavoro possa sindacare su cosa debba o non debba mangiare mi crea grande disagio. Ai miei commensali no, tutto normale e logico. Ancora adesso, non me lo so spiegare: ottime le verdurine, ma se i miei studenti hanno lo stomaco vuoto, non imparano. Mah.

Ogni volta che torno, noto quanto in Italia sia comune fare domande indiscrete. Si tirano fuori in pubblico argomenti non solo intimi, ma anche molto divisivi con fare giocoso, con la segreta speranza che ci si divida per il tempo di un'aperitivo e che nasca una conversazione emozionante, anche esplosiva, per poi alzare i calici e tornare amici come prima. Ho perso l'abitudine a tutto questo, lo ammetto, e poi non ho mai apprezzato i toni troppo accesi, ma l'amore per la conversazione è senz'altro l'aspetto della vita in Italia che mi manca più di tutto.

La voglia di parlarsi. Sembra niente la voglia di parlarsi, eppure. Eppure tantissime volte in Texas, ho la sensazione che le persone non abbiano voglia di parlarsi non so se per preservare il quieto vivere o per questioni di tempo. Indubbiamente lavoriamo troppo, le priorità, in generale, sono altre. E poi sembra sempre che si debba fare qualcosa per stare insieme. Un gioco di società, una scampagnata, un karaoke... raramente ci si vede solo per parlare e mangiare e bere come si fa in Italia. Con l'invito a una festa, arriva l'elenco delle attività che ci saranno. Le mie feste invece sono rigorosamente cazzeggio e improvvisazione. Ma a che ora finisce la festa? Mi chiedono puntualmente. La risposta 'quando vuoi' genera sguardi piuttosto confusi.
Quando si dice che la società americana è individualista, uno si immagina chissà che, nella realtà, di questo si tratta: tanta gente (non tutti, eh) che non è più in grado di stare in mezzo agli altri.
Non so se conoscete l'espressione 'fill your cup', significa più o meno prendersi cura di se stessi riempiendosi di nuova energia fisica, emotiva e mentale.
Ecco, io quando torno in Italia riempio la mia tazza.
Mi viene voglia di prendere tutte le cose belle di quel modo di vivere e ricrearle qui per me e per chi come me può capirne il valore. Questi ritorni che sono anche molto faticosi per mille motivi, sono dei nuovi inizi per me, delle spinte. Come quando sei su un'altalena e per un po' vai in alto solo grazie alla spinta. Quando torno dall'Italia, mi sento in alto, mi sento più forte e serena e mi riprometto di non farmi più travolgere dai piccoli e grandi stress di tutti i giorni chè le priorità sono ben altre.
Fra un sorso e l'altro, con la musica nell'aria insolitamente fresca di una sera d'inizio estate, mi sono resa conto di una cosa. A un tratto, non annaspavo, non dovevo giustificarmi, non dovevo rallentare per scegliere con cura le parole. Ero io al 100%, capita e apprezzata sulla fiducia, accolta senza riserve. Avevo quasi dimenticato la dolcezza di questa sensazione.
La solitudine è come la fame: non ti rendi conto di quanto sei affamato fino a quando non inizi a mangiare.  

-Joyce Carol Oates