Esiste un certo stereotipo della donna bianca razzista americana. Nell'immaginario collettivo è bionda e ha uno specifico taglio di capelli. Che gli stereotipi lascino sempre il tempo che trovano è obbligatorio sottolinearlo, ma è pur sempre vero che in tutti questi anni mi sono imbattuta in così tante donne che rispondevano a quella descrizione che mio malgrado ho sviluppato una sorta di circospezione.
Un paio d'anni fa ho conosciuto una persona che in teoria rispondeva perfettamente alla famigerata descrizione, eppure ci siamo subito state simpatiche. Eravamo a una festa e ci siamo unite nel sentirci un po' sgangherate come mamme, perennemente trafelate e inadeguate fra famiglia e lavoro. Un altro punto in comune era anche il non accettare tanti aspetti e consuetudini della società texana. Mi raccontava di essere nata e cresciuta qui, ma di rifiutare un po' tutto quello in cui crede la sua famiglia.
Fatto sta che un giorno pranzavamo insieme. Come va come non va. Le racconto che abbiamo il giardino sottosopra e gli operai sbucano a tutte le ore entrando e uscendo dal portone esterno (qui).
Non me lo dimenticherò mai quel momento. Dice:
- Io con loro non ci parlo.
- In che senso?
Dovete sapere che qui in Texas ogni volta che si fanno dei lavori, arrivano operai che possono venire dal Messico o da tanti altri paesi, ma che parlano praticamente sempre spagnolo. Lei usava la parola 'workers' in un modo che per me sottintendeva 'messicani'.
- Io con gli operai non ci parlo, mando mio marito.
Faccio la gnorri: - Non sapevo parlasse spagnolo.
- Non parla spagnolo, ma sa che io con loro non ci parlo e quindi...
- Ma scusa... in che senso non ci parli? Cosa vuoi dire?
- Mi rendo conto di avere un grosso pregiudizio, ma sono cresciuta in una città vicino alla frontiera e in quegli anni 'gli operai' rapivano le bambine.
- Come rapivano le bambine?
- Sì. Sono cresciuta con il terrore. Rapivano bambine bionde con gli occhi azzurri quindi io ero considerata un obiettivo ideale.
- Ma da chi?
- Da tutti. Mio padre e mia madre non mi perdevano di vista un secondo.
- C'erano stati dei casi di cronaca? Conoscevate qualcuno che è stato rapito? Mi sembra così strano...
- Sì. Mi rendo conto di avere un pregiudizio, ma
E qui pensavo che dicesse, 'ma mi vergogno tanto, ci sto lavorando, sono in terapia, è più forte di me, non ha senso...'
E invece ha detto:
- Mi rendo conto di avere un pregiudizio, ma il mio non è un pregiudizio nei confronti di tutti i messicani. Ce l'ho solo con gli operai.
Solo con gli operai, hai detto niente. La stragrande maggioranza degli ispanofoni che lei considera indiscriminatamente messicani, fa qualche tipo di lavoro manuale da queste parti.
Ho avuto un attimo di pura incredulità. Diceva quelle cose con la stessa voce e la stessa espressione di quando ha ordinato l'insalata. Un'insalata, grazie. Con gli operai messicani che rapiscono le bambine bionde con gli occhi azzurri non ci parlo.
Qualche anno fa, avrei detto qualcosa di tagliente e me ne sarei andata. Adesso, la voglia di capire e forse anche l'empatia, hanno il sopravvento. Mi stupisco, ma in realtà non mi stupisco più di niente. E sono anche stufa di andarmene sinceramente.
E' indubbio che questa persona abbia subito un trauma. Se insegni a un bambino una fobia, il bambino la fa sua. Però poi si cresce.
A me avevano passato la fobia dei gechi, ad esempio. Appena ho avuto l'età della ragione, ho capito che non aveva senso. Sbarazzarmene? Tutto un altro paio di maniche. Ci sono voluti tantissimi anni e ancora oggi ogni tanto ho qualche piccolissima ricaduta se non ci sto attenta. Però lo so che non ha senso e non è giusto. Non potrei mai ripetere oggi tutte le assurdità che mi venivano dette sui gechi e che poi ho scoperto essere false.
I gechi non ti lasciano una macchia indelebile sulla pelle se ti cadono addosso e gli operai che parlano spagnolo non rapiscono le bambine bionde con gli occhi azzurri.
Ho scelto di pensare che abbia deciso di condividere questa cosa con me in un momento di crescita. Ci sono convinzioni con cui siamo cresciuti che non ci rendiamo conto di avere fino a quando non le esprimiamo ad alta voce e ci rendiamo conto del suono che hanno, della faccia che fanno quelli che le ascoltano. Tante volte è così che si innesca un cambiamento.
Dopo un silenzio che si stava pericolosamente prolungando, mi è venuto da dire qualcosa tipo: beh, rendersi conto di avere un pregiudizio, è il primo passo per superarlo.
Partivo dal presupposto che lei volesse cambiare questo pregiudizio anche se in realtà lei questo non lo aveva mai detto. E' che non potevo prendere in considerazione che a lei questa cosa stesse bene così. Mi sembra una bella persona, non voglio credere che razionalmente possa giustificare un pregiudizio come questo.
Ricordo quel pranzo un po' come un sogno.
Una cosa che so di aver detto è: -A me piace sempre molto parlare con gli operai, dovresti provarci.
Me lo ricordo perchè è una cosa così ridicola da dire. Chi direbbe una cosa del genere? E poi la verità è che probabilmente nemmeno gli operai vorrebbero parlare con lei. Anche loro sono vittime di stereotipi di segno opposto. Maledetti stereotipi.
Per un attimo ho considerato che fosse tutto vero, che magari davvero c'erano stati dei rapimenti in quella città negli anni '80/'90. E' bastata una piccola ricerca per capire che si trattava di quelle cose che si dicono per seminare la diffidenza e la paura. Si trattava di razzismo. Stranger danger.
Negli stessi giorni Joe, che ha 13 anni, è andato a una convention di letteratura per adolescenti da solo. Ce ne ha parlato per un sacco di tempo. C'erano alcuni dei suoi autori preferiti e ci teneva tantissimo, ma si trattava di passare lì l'intera giornata e noi tutta la giornata a disposizione non ce l'avevamo. Questa manifestazione era a un quarto d'ora di strada, ho proposto di accompagnarlo e lasciarlo lì finchè volesse. Con un telefono e venti dollari in tasca non avrebbe avuto problemi.
E' la primissima volta che lo lasciamo da solo in un posto così grande e affollato però non ho avuto dubbi, credo fosse pronto per questa esperienza. Mi fido ciecamente di lui.
E degli altri? Mi fido degli 'altri'?
Mentre mi interrogavo su questa cosa, mi è tornato in mente quel pranzo e il ricordo che all'età di Joe e anche molto dopo, quando uscivo mi sentivo spesso dire queste parole: non parlare con nessuno.
Ecco, io questa è una cosa che non sono mai riuscita a insegnare ai miei figli. Ci hanno sempre parlato con gli sconosciuti, al parco giochi, al supermercato, sull'aereo. Non ci ho mai trovato nulla di sconvolgente.
Cosa vuol dire non parlare con nessuno? Non parlare con gli sconosciuti, certo, ma poi non si finisce sempre per avere determinati tipi di persona in mente? I cosiddetti sconosciuti non sono tutti uguali.
Non credo che sia necessario insegnare a non parlare con gli sconosciuti. Credo che sia necessario insegnare a discernere, a capire le situazioni. Ti sei perso di notte in una strada isolata: non parlare con nessuno. Sei su un treno per sei ore, parla con chi ti pare. Cosa c'è di meglio che parlare con uno sconosciuto su un treno? Non penso ci sia bisogno di spiegarli questi concetti. A me non li ha spiegati nessuno e sono sopravvissuta.
Non parlare con un'intera categoria di persone mi sembra un pessimo modo di stare al mondo.
Mi chiedo se durante il prossimo pranzo, quella persona mi dirà che ci ha pensato su e ne parleremo insieme e la nostra amicizia si farà più intima oppure se comincerò a notare altre piccoli dettagli che mi faranno venire voglia di passare il mio poco tempo libero con qualcun altro.
È possibile che questa conversazione l'abbia messa così a disagio che non vorrà più vedermi. Anche questo è un tratto ricorrente di questo tipo di situazioni. Se ti presenti come liberal, antirazzista, femminista, ecc. e cadi in certe affermazioni, può essere imbarazzante al punto di preferire la fuga. Staremo a vedere.
Spero sempre tanto di essere sorpresa in positivo.
Però uff.
Nessun commento:
Posta un commento