Dato che sta diventando impossibile schivare gli spoiler, sono corsa anch'io a vedere il film di Barbie.
Una cosa strana che ho notato in questi giorni è che tanti, anche persone serissime, ne hanno parlato ammettendo di non averlo visto. È un po' assurdo, ma anche questo ci dice qualcosa del fenomeno.
Stima infinita per le menti dietro al lancio del film che sono riuscite a tenere alta l'attenzione e a fare crescere la curiosità per un anno intero.
L'idea di questo film mi ha entusiasmato fin dal primo momento e non perchè da piccola fossi ossessionata dalle Barbie -ho giocato molto di più con i Lego per dire eppure ho ignorato i vari film- ma perchè avendo amato i film precedenti di Greta Gerwig, ero certa che non potesse essere un prodotto banale. Con Piccole Donne, in particolare, aveva già dimostrato di poter riuscire nell'impresa di rinnovare un classico costruendoci sopra una riflessione contemporanea. In un certo senso, con Barbie ha fatto lo stesso tipo di operazione.
Barbie è sempre stata oggetto di controversie, basti pensare che l'ispirazione originaria arriva pari pari da una bambola sexy tedesca. Rappresenta due cose che come società non siamo abituati a vedere andare di pari passo: la bellezza femminile convenzionale e l'idea che una donna possa riuscire in qualunque impresa professionale. Barbie incapsula tutto.
Ricordo un pomeriggio di qualche anno fa.
Joe ha sette anni. Si spinge sull'altalena anni e si chiede se esista la Barbie giudice della Corte Suprema (qui). Non aveva mai giocato con una Barbie, non è il suo genere, eppure Barbie come concetto e simbolo, ha aiutato anche lui a quell'età a porsi tutta una serie di domande sulla società e sul ruolo delle donne.
In realtà, Barbie non può fare proprio tutto tutto, non può sposarsi. Su questo punto Ruth Handler, la sua creatrice, è sempre stata inamovibile. Barbie può avere questa sorta di fidanzato che va e viene, Ken, ma non sarà mai ingabbiata nel ruolo di moglie e mamma. Altrimenti poi come fa a diventare presidente, astronauta e tutto il resto?
I vari femminismi hanno amato e odiato Barbie a fasi alterne.
E' che non si capisce mai davvero quanto anticipi i tempi o si limiti a rappresentarli. Impone un modello, estetico e non, o riflette ciò che va per la maggiore nella società in cui opera? Alla fin fine è un prodotto, deve vendere. C'è un bel documentario che parla proprio di questo. Si intitola Tiny Shoulders: Rethinking Barbie (2018). La domanda che si pone è proprio questa: è giusto caricare le piccole spalle di una bambola di tanti simboli e responsabilità?
Quello che è certo è che prima di Barbie, c'erano i bambolotti e a me i bambolotti non sono mai piaciuti. Il mio istinto materno si è manifestato quasi fuori tempo massimo, quindi l'idea di curare un bambino per gioco o no non mi sfiorava. Verso i tre o quattro anni avevo una bambolona grande quasi quanto me che stava in piedi e che consideravo una mia amica, più avanti tutta la mia devozione andò a una grossa tigre della Trudi.
Con le Barbie ci ho giocato. Stimolavano la mia immaginazione, potevano lanciarsi in qualunque avventura. Ci ho giocato per un po' e poi le ho ripudiate per non essere tacciata di superficialità. Il "troppo femminile" è sempre stato considerato frivolo. Il messaggio mi arrivava forte e chiaro: se vuoi essere presa sul serio allontanati da tutto quello che è *rosa*.
Si dice sempre che Barbie promuova un ideale di bellezza irraggiungibile, ma non mi ricordo di essermi mai paragonata a lei in questo senso, era una bambola per la miseria.
Vedere sempre lo stesso tipo di modelli al cinema, in TV e nella pubblicità, dover subire un certo tipo di linguaggio e giudizi nella mia vita quotidiana... queste sono le cose che mi hanno ferito come donna, non Barbie.
Il film mi è piaciuto. Mi ha fatto ridere molto e sono pochi i film che mi fanno ridere. Una battuta dietro l'altra e anche un paio di momenti da nodo in gola. Mi chiedo come tante battute possano risultare efficaci nelle varie traduzioni e doppiaggi.
C'è un Ken, ad esempio, che si chiama "Sugar Daddy". Nel linguaggio colloquiale uno "sugar daddy" è un ricco uomo attempato che fa regali in cambio di sesso. La storia di questo Ken non viene affrontata nel film, ma è buffa. Mattel all'epoca del lancio di questo Ken aveva specificato che si chiamava così perchè aveva un cagnolino bianco, Sugar, quindi era il papà di Sugar, il cane. Niente, dovettero ritirarlo lo stesso. Come si fa a rendere tutto questo con un nome equivalente in un'altra lingua?
Il film dei limiti ce li ha, ma non condivido le critiche che sento ripetere più spesso. Quelli che dicono che sembra una pubblicità, che problema hanno? Il film ha un'estetica originale e potente, è vero. E' chiaro che non sarebbe potuto esistere senza la supervisione di Mattel che ha imposto tutta una serie di limitazioni anche alla trama stessa. Mi dà fastidio anche sentir ripetere che il già famoso monologo di America Ferrera è banale: non è colpa del film se essere una donna ancora oggi è "letteralmente impossibile" (cit.). Questo è il tipo di critiche che sento fare da uomini che chiaramente vogliono sminuire e banalizzare il film.
Mi piacerebbe rivederlo per ragionarci meglio, ma direi che le cose che mi hanno lasciato perplessa sono soprattutto queste due.
- La binarietà: nel film le femmine sono così e i maschi cosà, un po' sorpassato come concetto, no?
- Il fatto che Ken rubi un po' troppo la scena a Barbie. Per essere un film femminista, il protagonista maschile, bravissimo per altro, si prende un sacco di spazio e risate. Si potrebbero dire molte altre cose anche sullo storyline di Ken, ma è impossibile farlo senza spoiler.
Il vero valore del film per me è quello di fare da specchio non solo alla nostra società, ma anche individualmente a tutti quelli che si sono rapportati in un modo o nell'altro a una Barbie.
Impossibile non tornare al proprio vissuto e alla propria infanzia guardando questo film. Il modo in cui Greta Gerwing mette in scena in ogni suo film il rapporto madre-figlia ha qualcosa di struggente. Quando Barbie con i piedi piatti a un certo punto dice qualcosa tipo "se i miei piedi avessero avuto questa forma non avrei mai messo quelle scarpe", ho sospirato.