sabato 26 marzo 2022

unapologetic/2

E così l'ho fatto: per una volta nella vita sono stata completamente unapologetic (continua dal post precedente qui).

Un po' di tempo fa ho ascoltato un'intervista che, come qualcuno di voi ricorderà, mi ha scaturito mille riflessioni non tanto sul contenuto in sé, quanto sull'uso della lingua inglese dell'intervistato. Non avevo mai sentito una persona con un inglese peggiore del mio mostrare tale sicurezza. Questa persona, un italiano molto famoso e stimato, costruiva frasi lunghe e complesse e usava termini corretti, ma desueti in inglese, eppure il suo interlocutore sembrava -magicamente- seguirlo alla perfezione.

Lo avevo definito "unapologetic", un termine che tale e quale non esiste in italiano. In questo contesto intendevo dire che era orgoglioso di sé, che non 'si scusava' per il suo accento o per le sue origini, che andava diritto per la sua strada con grande successo e nessuno si sognava di dubitare di lui. 
In quell'occasione avevo ragionato sul mio uso della lingua inglese che è sempre stato l'opposto. Mi sono sempre limitata, ho sempre semplificato quello che volevo dire per timore di non essere capita.
Avevo allora battuto il pugno sul metaforico tavolo: voglio essere *unapologetic* anch'io! 
Anche perché poi tutto il discorso, soprattutto negli scambi che ne sono derivati con alcuni di voi, aveva presto cominciato a prendere anche una piega legata al posizionamento di questo individuo e al sessismo della società in cui viviamo. È innegabile che le donne in generale si scusino molto di più e vengano anche messe sotto torchio molto di più. 
Nel mio ambiente lavorativo, ad esempio, continuo a vedere uomini poco competenti, ma all'apparenza molto sicuri di sé, non solo sgraffignare opportunità che potrebbero essere mie, ma anche fare danni. Se voglio che questo cambi devo essere certamente consapevole dei miei limiti, mai anche del mio valore. 
Dopo qualche giorno, nemmeno a farlo apposta, mi chiama una persona molto in vista nel mio campo per un colloquio. È una cosa che in passato mi avrebbe fatto fare i salti di gioia e messo in enorme agitazione. Ora -cioè... dopo il 2020 - no, ora ci vuole ben altro per smuovermi. 
Era un semplice colloquio esplorativo ed è nata subito una certa intesa. Si parlava ovviamente di questioni che mi appassionano molto e mi sentivo a mio agio. A un certo punto, mi viene in mente l'espressione latina "forma mentis". Normalmente avrei detto "mindset", ma quel giorno ero in vena di esperimenti. Volevo vedere la reazione della persona che avevo di fronte se mi fossi comportata come il tizio dell'intervista.
Dico la frase e non succede assolutamente nulla. L'interlocutore annuisce e sorride. Non succede davvero niente.
Lì per lì sono soddisfatta, qualche ora dopo però ripassando il colloquio al setaccio nelle mie elucubrazioni, comincio a dubitare di quel passaggio. 
Dopo tutto, soprattutto qui al sud, sorridere e non commentare può significare di tutto. Ci sono delle persone che mi hanno sorriso senza commentare e non le ho mai più viste nella vita.
La sera vedo degli amici a cena e gli racconto del colloquio. Chiedo cosa ne pensino di quella frase.
Si capiva?
La reazione è stata abbastanza simile a quella della persona del colloquio. Per loro era tutto chiaro.
Ma come davvero? Allora sto tranquilla? 
Ma per niente!
Viene fuori che ognuno in realtà aveva capito una cosa diversa. Quindi insomma: esperimento fallito per quanto mi riguarda.
Vi ho preparato un piccolo schemino di quello che mi hanno spiegato i miei amici madrelingua inglese, così se volete provare sapete a cosa andate incontro:

Facciamocene una ragione, per chi fra noi non ha ancora vinto un Oscar, la vecchia strada dell'umiltà rimane quella vincente.
Anche in inglese si usano espressioni latine ad esempio, ma ben pochi lo hanno studiato e spesso le stesse espressioni hanno sia una pronuncia che un significato diverso. 
(-> Quid pro quo ad esempio)
Bisogna capire se si sta parlando per essere capiti o per dare una certa impressione di sé. Se si vuole essere capiti, meglio puntare sulla semplicità. Il malinteso è sempre dietro l'angolo.
Ci pensate a quante volte non ci si capisce perfino parlando la stessa lingua? E di sicuro la maggior parte delle volte non ce ne rendiamo nemmeno conto.

Prendiamo Woody per esempio. Dice: "When we go home can we make collard chards?"
Vedendo il punto di domanda nei miei occhi ripete: "When we go home can we make collard chards?"
Io e la mia amica ci guardiamo perplesse. Accidenti, ha sei anni e ha voglia di verdure, incredibile.
Infatti non era vero. Voleva fare dei "color charts" cosa che mi rende comunque molto felice come insegnante di arte.
Scherzi a parte, non si può cambiare atteggiamento in un attimo. Bisogna trovare una via di mezzo e usare l'intuito.

*Read the room*, come si suol dire in inglese.

lunedì 7 marzo 2022

unapologetic

Non so dirvi se l'ultimo film di Paolo Sorrentino mi sia piaciuto o no. Forse no.

Però mi ha smosso un sacco di cose quindi forse sì. Se ti scombussola di sicuro è un'opera d'arte.
Per cercare di capire un po' meglio il film, ho recuperato una lunga intervista al regista (qui).
Ciò che mi ha indotto ad ascoltarla tutta con grande interesse e piacere, non è tanto quello che Sorrentino ha raccontato, ma come.
Mi riferisco al suo inglese.
Un inglese comprensibilissimo credo, ma per niente perfetto. E nonostante ciò esibiva una sicurezza strabiliante. Non si è mai mostrato in difficoltà o in imbarazzo.

Era del tutto "unapologetic".

Non saprei come esprimere lo stesso concetto in italiano. Ho chiesto anche a un'amica traduttrice. Ci sarebbero parole tipo "impenitente", "insolente", "sfacciato", ma hanno una connotazione negativa, esprimono un'altra idea.
Lui era "unapologetic" nel senso che era orgoglioso di sé, non si scusava per la persona che è, la sua origine, la sua lingua, il suo accento.
Mi è venuto in mente che forse in italiano non abbiamo un termine identico perché ci scusiamo molto meno. Ci scusiamo quando facciamo un errore, ci costa scusarci. Nella cultura anglosassone invece espressioni come I'm sorry, I apologize o my bad sono ripetute mille volte al giorno in ogni contesto. Le donne poi si scusano ancora di più. E non va bene.
Voglio essere più *unapologetic*.
Non voglio più chiedere scusa per quello che sono. I'm not sorry for my English or for my accent. I'm not sorry for who I am.
La seconda cosa che mi ha colpito è stata la sua grande fiducia verso l'interlocutore.
Gli ho sentito dire parole colte tipo "vitalistic" o "hagiography" che in italiano sono relativamente comuni, ma in inglese no.
Quando parlo con qualcuno in inglese e cerco di tradurre un pensiero dall'italiano evito di usare ogni termine colto. Semplifico all'osso. Frasi corte, termini quotidiani.
Faccio così perché molte volte ho avuto la sensazione che l'interlocutore perdesse dei pezzi altrimenti.
Invece l'interlocutore di Sorrentino sembrava seguire benissimo, non so se per via della sua cultura cinematografica o perché se costruisci le frasi esattamente come faresti in italiano la gente ti capisce e fai anche bella figura.
Voi come vi regolate in inglese?Costruite le frasi come in italiano o semplificate?
Un'altra considerazione che ho fatto dopo aver ascoltato l'intervista è sul modo in cui la lingua influenza il pensiero.
Non so voi, ma a me l'inglese chiarisce le idee. A volte quando ho un pensiero contorto in italiano, lo traduco in inglese e poi lo ritraduco in italiano e diventa più lineare.
Anche voi?
Non sono questioni interessantissime?
Più passano gli anni più mi affascinano tutti quei concetti intraducibili, tutte quelle sfumature di significato che fanno parte di una cultura e non necessariamente di tutte le altre. Il nostro uso delle lingue è in perenne evoluzione.
Cambiano in continuazione le nostre competenze linguistiche e allo stesso tempo cambia il modo in cui percepiamo e veniamo percepiti.

sabato 5 marzo 2022

tanto rumore per nulla, ma tanto rumore

 

Questa settimana a scuola.

Un quattordicenne molto più alto e forte di me va in escandescenze. Si crea una certa confusione. Nessuno come al solito si era preso la briga di avvisare la supplente, ma l'individuo non era nuovo a questi exploit. Un compagno allarmatissimo, ma preparato al peggio, si offre di correre a chiamare la psicologa. Certo, vai pure, gli dico. Arriva la psicologa e insieme a lei un poliziotto armato fino ai denti, sorriso smagliante, tipo Superman. La sola vista di un poliziotto armato in una classe mi ha terrorizzato.

L'ho mandato via immediatamente dicendogli che era tutto sotto controllo (la psicologa si era portata via il ragazzo) e che nessuno era stato violento (vero).

Il fatto è che non riesco più a scacciare quell'immagine dalla mente.

Ieri vado in un'altra scuola a sostituire come sempre un insegnante di arte perché sono un'insegnante di arte. All'ultima ora però hanno un buco da tappare e mi mandano a sostituire quella di matematica. Non mi era mai successo, mi viene quasi da ridere. Non ero mai stata in quella scuola, non conoscevo né i ragazzi né l'edificio tanto è vero che mi sono persa prima di trovare la classe giusta. In qualche modo me la cavo. Mancano 10 minuti, i ragazzi hanno fatto le loro equazioni e si stanno rilassando con la mente già nel fine settimana. Parte un annuncio, ma non riesco a sentire bene, il volume è basso e loro stanno parlando. Capisco solo che dobbiamo chiuderci in classe e che nessuno può uscire o entrare. Gli studenti sembrano tranquilli, mi dicono che è già successo. A me invece mai, fingo ma non sono per niente tranquilla io. Passano i minuti.

Qualcuno fra i ragazzi comincia effettivamente ad agitarsi.

Non posso fare tardi a danza.

Mio padre si preoccuperà se non mi vede uscire.

Voglio uscire.

Quanto possiamo sopravvivere con questo pacchetto di patatine?

Ho paura, moriremo tutti.

Provo a telefonare in segreteria, ma nessuno mi risponde perché sono in lockdown anche loro. Il tempo rallenta. Un genitore manda un messaggio al figlio dicendo che fuori dalla scuola c'è un'ambulanza. Appena fuori dalla porta vedo un poliziotto che entra in una classe. Fuori un ingorgo di macchine, c'è anche il camion dei pompieri e una macchina della polizia. Non mi viene in mente di chiedere cosa sia successo, voglio solo andare a casa.

A giudicare da Google suppongo non sia successo nulla di tragico. L'angoscia non passa del tutto però.

In dodici anni di insegnamento è la prima volta che mi capitano episodi simili e ora nel giro di pochi giorni due.

Di sicuro è stato un caso. Ho insegnato a lungo, ma sempre alle elementari, alle secondarie l'atmosfera è leggermente diversa. Ad ogni modo, non so se mi basteranno due giorni per riprendermi da una settimana come questa.

Tanto rumore per nulla, ma... tanto rumore.

Sigh.

giovedì 3 marzo 2022

non siamo così diversi

 

Vi ho raccontato mille volte di quanto sia divisa la società texana e di come le divisioni emergano anche nelle più piccole interazioni di tutti i giorni, almeno nella mia zona.

Ecco, un altro regalo
bellissimo che mi ha fatto Mimì è darmi la possibilità di interagire con tante persone in modo del tutto rilassato. Persone che non avrei altre occasioni di conoscere. Persone con cui, lo ammetto, non avrei voglia di intrattenermi in altre circostanze. Prima, ad esempio, ho chiacchierato un'ora con un tipico cowboy texano. Mi raccontava di come ha insegnato al suo cane, che è molto simile al mio, ad accudire le mucche. È probabile che le nostre idee politiche, almeno secondo i soliti stereotipi, non siano allineate, ma in quel momento eravamo solo due persone che amano i loro cani.

È necessario in qualche modo tornare alle cose semplici e basilari dell'umanità. Ci piaccia o no, non siamo così diversi.