Vi parlo di nuovo di Joe, ma non solo. E' stato scelto per rappresentare la sua classe allo Spelling Bee. Lo Spelling Bee è una competizione in cui i concorrenti sono invitati a compitare parole. Le parole devono essere pronunciate in modo lento e spezzate lettera per lettera per indicarne la corretta grafia che in inglese si differenzia molto dalla pronuncia.
Dicevo ieri nelle storie che non sapevo prevedere se questa esperienza avrebbe danneggiato o migliorato la precaria vita sociale scolastica di Joe.
E' stato un bambino molto ansioso, ma pare che a undici anni quel tipo di insicurezza se la sia lasciata davvero alle spalle. Dopo l'anno e mezzo passato a casa, non ha mai più avuto ansie da prestazione scolastica. L'anno scorso è tornato a scuola solo due volte per sostenere un esame e faceva i salti di gioia. Adesso é felice di essere a scuola, mentre prima giustamente lo dava per scontato e forse nemmeno gli piaceva più di tanto. Per lui, come immagino per tanti altri bambini, dopo la pandemia la percezione di molte cose è cambiata. A questo si aggiunge il fatto che il nostro Joe è sprovvisto del benché minimo spirito competitivo. Insomma, ha fatto un po' lo snob su questo Spelling Bee. Mentre ad altri bambini tremava la voce, lui è andato lì sicuro di sè e senza esitazioni. Se devo dirla tutta mi è sembrato che si annoiasse. Si è classificato settimo e visto che non ha studiato, penso possa essere soddisfatto.
Per lo Spelling Bee bisogna studiare perché accanto a parole di uso comune, vengono chieste parole difficilissime, termini arcaici e perfino stranieri. Una delle parole, ad esempio era "Fata Morgana", scritto proprio come lo scriviamo noi. In inglese indica un particolare tipo di miraggio, non ne avevo idea.
Il motivo di questo post però è soprattutto una cosa che è successa durante la gara e che mi ha dato da pensare. Un concorrente ha commesso un errore abbastanza macroscopico e nessuno dei quattro giudici se n'è accorto. E' stato piuttosto surreale.
A noi l'errore è sembrato palese, ma nessuno ha fiatato.
Non è successo, ma se quel ragazzino avesse vinto, sarebbe stata una grande ingiustizia. E non vale dire che era una competizione senza importanza. Avreste dovuto vedere l'emozione di quei bambini, tutto è importante e formativo a quell'età. Oltretutto i primi due classificati andranno avanti a sfidare altre scuole chissà magari fino al campionato nazionale e poi suppongo, borse di studio, contatti, chi lo sa. Come sempre nella vita, da cosa nasce cosa.
Secondo il regolamento letto prima della gara, i genitori presenti in teoria possono fare appello anche se non ho capito esattamente con che modalità. Il fatto è che non tutti i genitori erano presenti.
Io, ad esempio, per essere lì, ho dovuto perdere un intero giorno di lavoro. Non tutti possono farlo. Ecco quindi che gli studenti più abbienti hanno la possibilità di essere difesi in un caso come questo, gli altri no.
Questo mi ha portato a fare anche altre considerazioni. I ragazzi che vanno a fare lo Spelling Bee sono quelli che amano leggere. Più leggi, più impari a scrivere. L'amore per la lettura nasce nei primi anni di vita, ma come? Di solito i bambini si appassionano quando ci sono degli adulti che leggono ad alta voce per loro. L'età dagli zero ai tre anni è cruciale in questo senso. I bambini che hanno avuto la possibilità di ascoltare dei libri negli anni dell'asilo arrivano alle elementari con un vocabolario maggiore rispetto agli altri e imparano anche a leggere più velocemente. Leggere ai propri figli non è sempre una scelta però. Ci sono situazioni (famiglie monoparentali, straniere, lavori usuranti...) in cui non è possibile prendersi tutti i giorni il bimbo sulle ginocchia e divorare libri felicemente.
Fare fatica a leggere implica una cascata di ripercussioni negative. Come fa un bambino a risolvere un problema di matematica se non capisce le istruzioni? Se un bambino non riesce a leggere in modo adeguato rimane indietro in ogni materia e la scuola diventa un ostacolo quotidiano, un motivo di frustrazione.
Sto allargando troppo il discorso? Non credo.
Da quando giro così tanto per le scuole, mi sono resa conto che la vera separazione della società americana non è creata né dalla politica né dal razzismo, ma dal classismo.
Gli studenti poveri non hanno le stesse possibilità di quelli ricchi quindi la meritocrazia -lo vedo tutti i giorni- di fatto non esiste e probabilmente non è mai esistita.
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