sabato 27 novembre 2021

mixed feelings

Mi piace molto l'espressione "mixed feelings".

Il Giorno del Ringraziamento mi ha sempre suscitato sentimenti molto contrastanti.

Da una parte, c'è tutto il discorso della gratitudine che così per come è strutturato, per me quando sono venuta a vivere qui, era completamente nuovo. La gratitudine è un valore che è diventato in realtà uno stile di vita e mi ha arricchito infinitamente.

Poi però Thanksgiving non si ferma a questo.

Il giorno prima si sta insieme per la gioia di condividere un pasto. Le famiglie, riconoscenti, macinano miglia su miglia solo per rivedersi, senza nemmeno lo scambio dei regali come a Natale. E il giorno dopo è il delirio consumistico con gente che fino a poco tempo fa, rischiava letteralmente la vita per entrare nei negozi prima degli altri.

E una parola bisognerebbe spenderla anche per la positività tossica. Ci sono tante persone che non trovano molti motivi per essere riconoscenti e sono sole o non vanno d'accordo con la famiglia. Ecco, in questo periodo non se la passano benissimo.

C'è la retorica del tacchino che oramai mi disturba. Non sono vegetariana o vegana, ma penso che soprattutto con i bambini si esageri. La sistematica trasformazione del tacchino, che è un essere vivente con tutta la sua dignità, in uno scherzo è terribilmente diseducativo, oltre che di cattivo gusto. A scuola, ad esempio, un progetto che ho visto assegnare mille volte è quello in cui i bambini creano un travestimento per il tacchino che così riesce a scappare e non farsi mangiare. 


"Sono un piccolo tacchino spaventato. Indosso questo travestimento così non mi mangerai!".

Nell'indifferenza generale vengono lanciati dei messaggi molto contraddittori a livello etico.

Queste sono riflessioni che richiedono una certa fiducia per essere condivise, quasi nessuno le vuole ascoltare, nemmeno chi fondamentalmente è d'accordo.

Una volta ne feci parola con una collega con cui mi trovavo in sintonia su tante cose. Mi disse che per lei era completamente normale, che era cresciuta in una fattoria e a cena i genitori le dicevano il nome dell'animale -perché nominavano tutti gli animali - che stavano mangiando.

Fa ridere.

Oppure no.

Poi ogni volta cala il silenzio oppure mi dicono che non capisco perchè sono una "city girl".

E poi ovviamente c'è il problema principale. Il nostro cosiddetto Giorno del Ringraziamento coincide con la giornata di lutto dei nativi (qui) perché tutta questa tradizione è basata su un clamoroso falso storico.

Come fai a festeggiare sapendo che il tuo festeggiamento in sé apre delle ferite?


Semplice: molti non lo sanno perché a scuola viene insegnato altro. Alle elementari viene ancora raccontata la storiella degli indiani e dei pellegrini che mangiavano insieme allegramente (questo post molto brevemente vi dà un'idea di come davvero andarono le cose). Per dirlo in modo semplice: per i nativi festeggiare il Giorno del Rigraziamento sarebbe come per i non nativi festeggiare l'11 settembre (qui). Io dico solo: ascoltiamo le persone coinvolte, educhiamoci (io per prima). 
 
Se fai presente tutto questo, ti dicono che tanto nessuno sa più la storia e che quello che si celebra è la gratitudine, lo stare insieme, la famosa gioia di condividere un pasto. 
Io dico va bene. Ma non è un privilegio enorme anche questo? 
I nativi non possono farlo questo ragionamento, non gli si può chiedere di dimenticare. E allora come la mettiamo? 
Se vogliamo festeggiare la gratitudine dobbiamo anche conoscere e insegnare come sono andate realmente le cose e soprattutto dare una mano economicamente ai nativi che ancora subiscono le conseguenze di quegli eventi storici. 
Un po' di equilibrio. 

martedì 16 novembre 2021

l'accento

Che rapporto avete con il vostro accento quando parlate una lingua straniera o anche solo in italiano?
Io, di insicurezze ne ho, ma il mio accento non è una di queste. In italiano, non parlando dialetti, non ci ho mai fatto caso più di tanto.
In Spagna l'accenno alla mia italianità era immancabile, ma non lo vivevo come un problema. Qui in Texas, per via dei miei colori mediterranei, mi capita spesso che mi si rivolgano in ma molto raramente qualcuno si prende la briga di chiedermi di dove sia. Non ho ancora capito se diano per scontato che sia argentina o se semplicemente non importi: ci sono talmente tanti accenti in spagnolo qui che uno vale l'altro, basta capirsi.
In inglese, sono consapevole di avere un forte accento italiano e lo accetto.
Ho sofferto molto il non capire e il non potere esprimermi come volevo i primi tempi, ma risolto quell'aspetto, l'accento non mi ha mai creato disagi particolari.
Ce l'ho, è mio e lo rivendico quasi: fa parte della mia storia e della mia identità.
Oltretutto nessuno me lo ha mai fatto pesare. Per prima cosa, é comprensibile. Il vantaggio dell'accento italiano rispetto ad altri come quello francese, ad esempio, è che è chiaro, si capisce. E poi ho sempre avuto l'impressione che fosse una caratteristica simpatica, i commenti se ci sono stati, sia in ambito personale che professionale, sono sempre stati benevoli, gioviali.
Insegnando, mi è capitato credo una volta sola - e ancora dopo tanti anni lo ricordo con divertimento- che uno studente, un bambino con i capelli rossi di 5 anni (di origini italiane tra l'altro) mi squadrasse dal suo banco il primo giorno di scuola e dichiarasse con uno sguardo indagatore alla Arnold: 'Tu non parli come noi'.
Nelle ultime settimane, da quando ho cominciato a fare la supplente, episodi di questo tipo e anche di questo tipo, ma senza bonarietà, sono all'ordine del giorno.
Adesso per prima cosa quando entro in classe, mi presento.
"Come potete notare, ho un accento. E' perchè sono nata in un altro paese dove si parla un'altra lingua. Lo sapete che anche voi avete un accento nella mia lingua?"
Scrivo il mio cognome alla lavagna e chiedo: siete capaci a dirlo come faccio io? Dai, provateci. E ci provano e ridiamo insieme perché cercare di arrotare le 'erre' per un madrelingua inglese è divertente e buffo.
Da piccoli impariamo a parlare e ci abituiamo a pronunciare i suoni che sono propri della nostra lingua. E' molto difficile imparare a pronunciare suoni di altre lingue alla perfezione da adulti.
L'accento quindi non ha nulla a che vedere con il quoziente intellettivo né con le competenze di una persona, nemmeno quelle linguistiche.
È una questione fisiologica. Non è giusto farsi gioco di qualcuno per caratteristiche che non dipendono dalla sua volontà.
L'altro giorno, ho dimenticato di fare il mio piccolo preambolo e un bambino di seconda elementare, ha interrotto la mia spiegazione urlando "mamma mia!" e affermando che *loro* non mi capivano. Gli altri bambini lo hanno subito contraddetto: ovviamente mi capivano, loro.
Come mi sono sentita?
Benissimo.
Un incidente di questo tipo è un'opportunità rara e preziosa di mostrare il valore della diversità nella vita reale.
E' quello che in inglese viene definito 'teachable moment'.
Questi incidenti mi stanno succedendo nelle scuole quasi completamente bianche dei quartieri più ricchi, dove i bambini sono abituati ad interagire con insegnati tutti uguali: 99% donne e di solito bionde, texane e cristiane, ho notato. Io non corrispondo a questa descrizione e in qualcuno creo curiosità, in qualcun altro (forse troppo inesperto per esprimere questa curiosità?) disagio.
Poter fare questo tipo di riflessioni in classe -quando è necessario- dà ulteriore significato al mio lavoro di supplente.
Quella contrapposizione noi-voi che ho avvertito tante volte mi preoccupa molto e sono convinta che nasca dalla mancanza di dialogo e di modelli di comportamento positivi.
Agli adulti piace tanto pensare che i bambini non vedano le differenze. Che per loro il colore della pelle sia indifferente, così come l'accento o la qualità dei vestiti o dei giochi dei compagni di scuola, ma non è così. Esplicitando i non detti, si finisce su un terreno molto scivoloso soprattutto in una realtà come la mia.
Ci vuole prudenza e bisogna fare attenzione a come ci si esprime, ma girandosi dall'altra parte quando si sente qualcosa, si rischia di fare molto peggio. Se i pregiudizi che avverti nell'aria non li smonti, li alimenti.

martedì 9 novembre 2021

distinguere un problema da una soluzione


Ho ricevuto la terza dose del vaccino tre giorni fa e ho anche prenotato la prima dose per Joe e Woody. Sono molto felice e riconoscente.
Sono felice anche di dover aspettare qualche giorno in più e dover fare qualche km in più per loro se significa che tanti genitori hanno immediatamente e con grande entusiasmo prenotato l'appuntamento.
Adesso che ho la possibilità di vedere dall'interno così tante scuole, ho la prova che tutti i miei timori erano più che fondati. Gli studenti e i lavoratori della scuola che indossano la mascherina in Texas sono una sparuta minoranza. A questo si aggiunge il fatto che incredibilmente molti di loro non sappiano ancora indossarla correttamente.
Mi è già capitato varie volte, ad esempio, di incontrare insegnanti che si abbassano la mascherina per parlarti. Non vi dico cosa combinano gli studenti.
Insomma, grazie al cielo adesso abbiamo la possibilità di vaccinarci e proteggerci quasi tutti.
Per alcuni questo è un tema controverso, per me no.
So distinguere un problema da una soluzione.

venerdì 5 novembre 2021

è una bella giornata per avere una bella giornata?

Una cosa che mi aveva molto infastidito l'anno scorso durante la scuola online, era il progetto di cosiddetto "giro del mondo" della maestra di Woody in cui dava un'enorme attenzione a piccoli paesi europei come l'Italia, la Svezia o la Germania e allo stesso tempo trattava tutta l'Africa che è un continente come una nazione mischiando informazioni che non si capiva a quale stato si riferissero. Adesso che sto girando varie scuole vedo che purtroppo quel progetto è abbastanza in voga.

Nella classe in cui mi trovo in questo momento, c'è un'enorme bandiera della Francia sulla lavagna e un planisfero sovrastato dalla scritta "dov'è l'Africa?", tutta l'Africa. Attraversando i corridoi di questa scuola ti sembra di essere alla conferenza mondiale di Pinterest. 
Ci sono interi corridoi a tema: Grecia, Inghilterra, Germania, Polonia, Portogallo, Svezia...e poi sporadicamente Messico, Taiwan, Brasile: la sproporzione fra paesi europei, Texas (il famoso orgoglio texano, non è un luogo comune) e resto del mondo è lampante. Tra l'altro indovinate quale è l'unico paese africano che hanno scelto di rappresentare?
Già, proprio il Sudafrica, il più bianco di tutti. 
Non che le conseguenze cambino, ma sono convinta che non ci sia cattiveria.
La mia ipotesi è che la causa sia la consuetudine. Il fare sempre le stesse lezioni. L'essere sempre fra simili. 
Essere sempre fra simili manda a dormire lo spirito critico.
Del resto tutte le scuole che sto vedendo hanno classi fatte così: 
- quelle in cui gli studenti parlano fra loro e a volte ti si rivolgono direttamente in spagnolo
- quelle con un solo studente bianco
- quelle con un solo studente nero
Ieri in questa scuola dove l'Africa è una nazione (oppure il Sudafrica) è arrivata una classe di quinta elementare con una sola bambina afroamericana alta 1.70. Fuori dal gruppo in ogni senso.
Non la conosco, ma a dieci anni piombando nella sua vita in un giorno qualunque l'ho vista molto silenziosa, riflessiva, con uno sguardo tutt'altro che allegro. Posso solo immaginare come si possa sentire tutti i giorni in questo ambiente in cui va da sé, non c'è un singolo insegnante che non sia bianco.
Come se non bastasse, il messaggio che le viene passato ovunque in questa scuola è che bisogna sempre essere felici. Ovunque ci sono scritte che dicono cose tipo "è una bella giornata per avere una bella giornata!".
In questa classe, all'ingresso c'è una grande bandiera che dice solo "no bad days no bad days no bad days no bad days no bad days no bad days no bad days..." all'infinito. 
C'è da impazzire.
Un'altra parete invita alla riflessione. Un cartello dice: "come ti senti?" E una lista di emozioni positive e negative e poi:

Mi sento..... perché... 

Fosse semplice questo livello di consapevolezza, e alle elementari poi. Ma ammesso che lo fosse, giochiamo:
"Sono felice perché ho preso un bel voto". Facile.
"Mi sento sola perché nella mia scuola non c'è nessuno che somigli a me". Difficilissimo.
Dovrebbe dirlo all'insegnante? C'è qualcuno che le darà sostegno? A scuola c'è sempre almeno uno psicologo, ma ha questo tipo molto specifico di competenza? E' come sganciare una bomba nella vita di qualcuno e andare avanti con la propria come se niente fosse.
Alla mia veneranda età, immersa in questo tipo di comunicazione, sono rimasta molto perplessa, sconcertata quasi. Mi chiedo che messaggio arrivi ai piccoli, come possano sentirsi in una scuola che li spinge a essere "felici" quasi in modo competitivo, ma taglia fuori ogni complessità del mondo reale e soprattutto non li ascolta.

martedì 2 novembre 2021

per capire bisogna partecipare

La magia di Halloween è che fa uscire un gran bel senso di comunità.

Chi sta a casa a distribuire caramelle e chi va a fare dolcetto o scherzetto.
Ognuno fa la sua parte per creare l'atmosfera e per favorire soprattutto il divertimento altrui, il resto per una sera non conta.
I primi anni non lo capivo.

Per capire non basta guardare, bisogna partecipare.

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