Uno dei motivi per cui per molto tempo non sono riuscita a pubblicare il post precedente -forse il motivo principale, a dire il vero- è una conversazione che ho avuto con un'amica messicana all'epoca dell'uscita del film Roma di Alfonso Cuaròn, un paio d'anni fa ormai.
Ne parlavano tutti in quel periodo e una sera a cena per caso qualcuno tirò fuori il discorso. Era la prima volta che un regista importante faceva un film su un'indigena messicana, cioè su qualcuno che in fondo somigliava abbastanza alla mia amica, anche fisicamente. La protagonista, Yalitza Aparicio, in quel periodo era lodata e celebrata ovunque e questa cosa mi commuoveva. Mi sembrava un segno di progresso che per la prima volta nell'immaginario collettivo ci fosse uno spazio dignitoso anche per quella parte della società messicana e per quel particolare modello estetico. Devo ammettere che davo quasi per scontato che alla mia amica fosse piaciuto. Invece era furiosa.
Per lei quel film era solo un'operazione commerciale molto furba e ben studiata. Il regista aveva fatto finta di raccontare la storia di una balia indigena. In realtà -si lamentava- il personaggio non aveva profondità psicologica e il vero protagonista era lui, il solito uomo bianco ricco con tutti i suoi inutili sensi di colpa. Non salvava nemmeno la Aparicio, sostenendo che non è una vera attrice e non meritava di vincere l'Oscar. Non so se questa sia un'opinione dominante in Messico, certamente non immaginavo che esistesse questo tipo di lettura prima di ascoltare lei. Le sue osservazioni mi hanno aperto gli occhi su un mondo che non conoscevo per niente. Ho cominciato a guardare le cose dal suo punto di vista e mi sono accorta che effettivamente era Cuaròn quello al centro dell'attenzione, quello che nelle interviste parlava lungamente dei suoi privilegi e dei suoi terribili sensi di colpa facendo sempre una bellissima figura. Non aveva tutti i torti la mia amica.
A volte non si dà peso alle cose, soprattutto le cose che per noi non hanno peso, quelle che non ci riguardano da vicino. E' solo un film, si dice, come nel caso di Green Book o A Spasso con Miss Daisy o Roma. Il fatto è che un film in cui ti senti rappresentato male, dove vedi la tua storia, la tragedia della tua famiglia, trasformata in un qualcosa che può intrattenere e far sentire a posto con la coscienza le masse occidentali contribuendo a creare in giro per il mondo un'impressione di realtà in cui non ti riconosci, diventa una sorta di menzogna che come tale può ferire e indignare.
Ognuno dovrebbe essere libero di raccontare la propria storia. Una regista indigena messicana in grado di raggiungere il pubblico mondiale, purtroppo ancora non c'è, ma il personaggio chiave della mia piccolissi(missimissi)ma storia, la maestra dell'asilo di Joe che mi aveva detto di fare più attenzione, era tutto sommato a portata di mano ed era giusto che dicesse la sua e che sapesse anche quanto il suo gesto avesse significato per me.
Non ci si pensa mai, ma il razzismo implica anche una stranissima gerarchia dei sentimenti per cui quando se ne parla, il punto di vista è quasi sempre quello di chi ne è al di fuori e a chi lo subisce spesso tocca pure preoccuparsi di non mettere troppo a disagio o consolare chi l'osserva dall'esterno o addirittura lo porta avanti. Deve sempre esserci un lieto fine o qualcosa che addolcisca una realtà che altrimenti risulta insopportabile.
Non volevo che la mia piccola storia fosse solo mia, volevo condividerla con lei e dirle grazie.
Ci ho pensato per anni a questa cosa, sul serio. Qui non si parla di argomenti così delicati fra semplici conoscenti, non sai mai come le persone possano reagire, puoi toccare dei nervi scoperti e fare molto male. C'è voluto coraggio a invitarla a bere un caffè, però ho pensato che se io fossi stata al posto suo avrei voluto sapere.
Mi ero preparata una sorta di discorso, ma una volta lì, come durante un'esame importante, l'emozione ha avuto la meglio. Non sapevo da che parte cominciare. Le ho chiesto a bruciapelo:
- Ti ricordi quella volta che hai insegnato a Joe la storia di Ruby Bridges?
Ruby Bridges è stata la prima bambina nera a frequentare una scuola bianca in Luisiana nel 1960. Joe aveva cinque anni, ora ne ha nove. Era tornato a casa sconvolto un pomeriggio. "Mamma, lo sai che in un tempo lunghissimo (la sua traduzione di a long time ago) le persone bianche non volevano stare con le persone nere?
- Certo che mi ricordo! - e si è come illuminata- mi hai scritto una lettera e mi hai fatto un regalo. In tutta la mia carriera mai nessuno mi ha fatto un regalo per avere insegnato qualcosa. Parlo ancora di Joe ai bambini, ogni volta che leggo la storia di Ruby.
Lo so che è assurdo, ma avevo completamente dimenticato questa parte della storia. Sono negata con i biglietti di buon compleanno e tutte le feste comandate, ma ho sempre avuto l'abitudine di scrivere agli estranei che mi aiutano o che in qualche modo mi colpiscono. Lo faccio d'istinto e me ne dimentico perchè chiaramente non mi rispondono (di solito non possono nemmeno volendo) e finisce lì. Sono un po' fuori, ma in fondo, non faccio nulla di male, no? Nemmeno lei mi aveva risposto, nemmeno un grazie, ed è piuttosto insolito nel paese delle thank you cards. Dopo qualche tempo qualcuno mi raccontò che era andata a mostrare la lettera con le lacrime agli occhi a tutti i colleghi. Lo so perchè controllando bene ho visto che ovviamente anche allora ne avevo scritto da qualche parte.
Lei non se ne rendeva conto, ma mi aveva fatto un favore inestimabile. E' stata la prima insegnante ad aver parlato a Joe di quello che è stato questo paese fino a pochi decenni fa, ad averlo davvero fatto riflettere, ad aver aperto la porta all'empatia. E non solo questo. Joe ha insegnato la storia di Ruby Bridges a me e io a mia volta la sto insegnando a centinaia di studenti da anni. Ho provato in tanti modi a fare passare il messaggio dell'eguaglianza a scuola, ma finora non ho trovato nulla che faccia breccia nel cuore dei bambini piccoli come questa vicenda. L'altro giorno c'è stata una bambina a scuola, l'unica nera della sua classe, una bambina che purtroppo a sei anni ha già capito come vanno queste cose, che quando ha scoperto con immensa sorpresa che Ruby è ancora viva e vegeta (tendono sempre a immaginare che si parli di secoli fa, sigh...) le ha scritto un biglietto di ringraziamento.
Tutta questa cascata di eventi positivi, non ci sarebbe stata se quella maestra quel giorno di qualche hanno fa non avesse letto quel libro.
Il ghiaccio si è sciolto in un secondo e abbiamo parlato per un paio d'ore buone. E' stata un'esperienza particolarissima. Ci siamo fatte delle confidenze molto intime, senza essere amiche, senza esserci mai nemmeno viste per anni. Ho sentito tanto, tantissimo dolore nelle sue esperienze, nelle sue piccole lotte quotidiane, un giorno scriverò anche di questo forse. Lei pensava di parlare ai muri in tutti questi anni, invece ora sa che tutto quello che fa, in parte almeno, arriva a destinazione. Joe non sarà certo stato l'unico bambino a rimanere colpito, probabilmente i genitori bianchi americani non hanno trovato il coraggio per parlarle e per ringraziarla come ho fatto io che in questo senso, rimango sempre un outsider, non ho quel senso di vergogna che hanno spesso loro.
Abbiamo pianto anche. Io non avevo mai capito quanto il mio gesto avesse significato per lei e lei non aveva mai capito quanto il suo gesto avesse significato per me. E' stato bello dirselo, ringraziarsi, spronarsi a continuare così a dispetto delle circostanze.
Ci siamo un po' cambiate la vita a vicenda.
Più passano gli anni e più mi convinco che guardare certe persone negli occhi, o scrivere se si è poco coraggiosi come la sottoscritta, e ringraziarle o scusarsi in certi casi, sia la cosa più difficile, ma anche più importante della vita.
Dopo la parata per Martin Luther King, la settimana scorsa, c'è stata una celebrazione. Qualcuno dal palco, ha detto qualcosa tipo:
- Vogliamo una vita piena di successo o piena di significato?
Ecco questo.
1 commento:
Grazie per aver condiviso questa parte della tua storia, che fa riflettere e crescere.
Mi hai fatto venire in mente il calciatore Balotelli. Siamo tutti lì a criticarlo per i suoi atteggiamenti esagerati, però mi chiedo se c'è mai stato qualcuno che l'abbia mai davvero ascoltato?Qualcuno che lo ha fatto parlare senza dovergli insegnare qualcosa. Qualcuno che abbia compreso il suo dolore profondo.
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