Questo non è un post come gli altri. Dentro c'è più o meno tutto quello che ho capito sul razzismo da quando mi sono trasferita in Texas. E' da mesi che lo scrivo e lo riscrivo. Avevo quasi rinunciato a pubblicarlo perchè ci tengo così tanto che mi fa sentire vulnerabile. Poi recentemente non solo sono successi una serie di fatti legati al razzismo a scuola, ma ho anche rivisto la persona che mi ha detto fai più attenzione, così ho deciso di non tirarmi indietro in suo onore. Combinazione è anche Martin Luther King Day e allora se viva, parliamone.
Appena arrivata a Dallas, nel lontano 2006, mi venne spontaneo ripetere un gesto banalissimo del mio quotidiano milanese: prendere un autobus e fare un giro in centro. Mi accorsi subito che prendere un autobus a Dallas, nel 2006 almeno, era un gesto che di banale aveva ben poco. Ne scrissi in un post che si intitola Come una pagina bianca perchè mi resi conto che se volevo sopravvivere in questo nuovo mondo dovevo tornare a essere come una pagina bianca, cancellare dalla mia memoria quasi tutto quello che sapevo e imparare tutto da capo.
Di quel mio primo viaggio in autobus però evitai di raccontare forse l'aspetto più importante: per la prima volta in vita mia, feci l'esperienza di essere l'unica persona bianca. Appena misi piede su quell'autobus l'autista ispanica ebbe come un moto di allarme e si sentì in dovere di mettermi in guardia: nascondi la macchina fotografica, non guardare nessuno e non parlare con nessuno. Lì per lì pensai che fosse perchè avevo l'aria da turista, ma non era solo questo ovviamente. Ero così disabituata a notare il colore della pelle delle persone che mi ci sono voluti anni a elaborare quella situazione. Sono stata educata fin da piccolissima sia a casa che a scuola a pensare che siamo tutti uguali e questo, in un certo senso può essere vero e sacrosanto, ma è anche una semplificazione eccessiva della realtà, una di quelle che ti fanno sentire a posto con la coscienza, ma che ti impediscono di notare le disparità e soffermarti sui motivi storici per cui nella realtà poi no, non siamo affatto tutti uguali purtroppo. Non abbiamo tutti le stesse opportunità e non veniamo trattati tutti allo stesso modo.
Ragionando su tutto il mio percorso di questi anni, adesso non faccio nessuna fatica a vedere che fu quella la primissima volta in cui mi sono trovata di fronte a uno dei miei più grandi privilegi: non aver mai, mai e poi mai in tutta la mia vita precedente dovuto pensare al colore della mia pelle. Qualunque cosa mi fosse capitata, non aveva nessuna relazione con il colore della mia pelle.
E' un fatto che tanti nella mia vecchia parte di mondo danno per scontato, ma che di scontato non ha proprio niente.
Pian piano cominciai a notare tante piccole cose intorno a me.
Non mi sono mai sentita discriminata in nessun modo in quanto italiana. Ho ricevuto qualche discriminazione positiva al limite.
Quando andai a lavorare alla scuola Flanders, ad esempio, a malapena parlavo inglese, ma mandarono una lettera a tutti i genitori per far sapere in pompa magna quanto fossero orgogliosi di avere assunto una competentissima insegnante italiana. Non ricordo niente di simile per altri nella mia posizione, ma sono cose che realizzi a posteriori, nel mentre ti senti solo apprezzato.
Il momento di svolta nella mia percezione delle questioni razziali è legato alla scelta di adottare un bambino. Come forse qualcuno di voi ricorderà finì che scoprii di essere incinta di Joe il giorno prima di ricevere l'ultimo documento necessario a finalizzare l'adozione (sì, queste cose succedono davvero, qui). Prima di arrivare a quell'epilogo però ci furono molti mesi di studio e autoanalisi. Ci rivolgemmo a una rinomata agenzia specializzata in adozioni interrazziali perchè scoprimmo che i bambini di colore erano quelli che faticavano di più a trovare dei genitori. I corsi preparatori all'adozione erano incentrati sulle differenze culturali e da lì nacque il mio interesse profondo per questi temi anche perché sono argomenti da cui quasi tutti in questo paese e non solo, si tengono allegramente alla larga. Loro, quelli dell'agenzia invece, erano dei carri armati che non usavano mezze misure e non cercavano in nessun modo di addolcirti la pillola. Volevano solo prepararti alla realtà, avvisarti anche, darti eventualmente il tempo di tornare sui tuoi passi. Sembrava non aspettassero altro che radere al suolo le tue poche certezze. Si parlava di questioni pesanti in quegli incontri.
Ci spiegarono, ad esempio, come reagire se in un locale pubblico qualcuno ci avesse insultato in quanto genitori adottivi di un bambino di colore. Resisteva nella comunità nera il pregiudizio che i bianchi rubassero i loro bambini. Ci parlarono di internal bias, quei retaggi razzisti che tutti noi abbiamo senza accorgercene per via soprattutto della nostra educazione e tante altre cose che ci sono capitate nella vita.
Il fascino, la forza e allo stesso tempo la debolezza dei temi legati al razzismo è che se vuoi affrontarli e capirci qualcosa devi essere disposto a metterti in discussione in prima persona e rassegnarti all'idea che tu pure, con tutta la tua buona fede, qualche discriminazione la fai, anche solo con il pensiero, del tutto inconsciamente.
Dopo qualche anno successe un altro evento decisivo. Lavoravo ancora alla Scuola Flanders e mi arrivò all'orecchio la bizzarra voce che una famiglia aveva ritirato entrambi i figli perchè riteneva che la maestra li discriminasse in quanto afroamericani. Figuriamoci! A me sembrò l'idea più assurda del mondo, conoscendo la scuola e i miei colleghi. Però mi rimase impressa questa cosa, chiaramente risvegliò delle altre sensazioni a cui non avevo mai voluto dare peso o credere. Così un giorno parlando del più e del meno con la maestra dell'asilo di Joe, che è nera, le raccontai questo episodio. Probabilmente volevo essere rassicurata mentre affermavo che una cosa simile nella mia scuola fosse impossibile e anche impensabile. Lei invece mi guardò dritta negli occhi e mi disse solo:
- Sei sicura? Queste cose succedono ogni giorno. Fai più attenzione.
Fai più attenzione. Questa sua frase in un certo senso mi ha cambiato la vita. Può sembrare strano, ma solo allora mi resi conto che in quella scuola, a parte pochissimi studenti, erano tutti bianchi, tutto lo staff, tutti gli insegnanti, tutti tranne quelli che pulivano guarda caso.
E il personale delle pulizie ci dava del lei. Chiesi in tutti i modi di essere chiamata per nome, ma non ci fu mai verso. Adesso realizzo che questa ostinazione di persone molto più anziane di me a darmi del lei e a pretendere il tu era un retaggio culturale, una sorta di timore reverenziale.
Una volta mi svegliai nel mezzo della notte.
La lenta scoperta di questi fatti, mi ha spesso tolto il sonno.
Mi venne in mente che a un certo punto, per un paio d'anni c'era stata una maestra nera alla Scuola Flanders. Era bravissima, non solo una delle insegnanti più competenti e qualificate, ma anche una grande persona sul piano interpersonale che mi ha insegnato alcune cose fondamentali che porto con me. Cosa le era successo? Perchè se ne andò di punto in bianco? Dovetti scavare un po', ma alla fine scoprii che dovendo tagliare una classe, le era stata preferita una maestra bianca che non solo aveva molti meno anni di esperienza di lei, ma che si era addirittura offerta volontaria di andarsene perchè aveva deciso di avere un figlio e fare la casalinga. Quando rimase incinta, infatti, mantenne fede al suo proposito di andarsene, ma a quel punto assunsero un'altra insegnante bianca e per di più una persona che non aveva nessuna esperienza in quel campo.
Nell'ultimo periodo entrai un pochino in confidenza con il signore delle pulizie. Mi raccontò molte cose, ad esempio che i bambini che a scuola lo adoravano e lo riempivano di disegni e letterine, in presenza dei genitori lo ignoravano. Un comportamento abbastanza inquietante.
Pian piano mi resi conto di tante di quelle cose, fu come una valanga. La scuola era seggio di voto alle presidenziali del 2016, le televisioni stavano appostate nel nostro parcheggio tutti i giorni, vivevamo dei piccoli disagi concreti legati a questo, eppure non sentii mai un solo commento su quello che stava succedendo, mai una sola parola su o contro Trump e lo trovai incomprensibile dato che i valori che esprimeva erano diametralmente opposti a quelli di cui ci riempivamo la bocca ogni giorno. Ricordo che dopo l'elezione di Trump, la recita di fine anno, che era sempre stata incentrata sulla religione cambiò tema: musical nazionalista, tutti vestiti da zio Sam e come sfondo una di quelle bandiere di dieci metri che qui vedi solo dai concessionari di auto. Può darsi che sia stato un caso certo, ma può anche darsi che sia stato un qualche tipo di segnale.
E' difficile pensare che le stesse persone che ti hanno sempre trattato con i guanti possano comportarsi diversamente con qualcun altro, ma è proprio così che vanno queste cose di solito.
E ancora più difficile è pensare che tu stesso che ce la metti tutta, che non fai altro che leggere e ascoltare chi ne sa di più, possa operare delle scelte inconsapevoli o formarti delle opinioni sulla base di una qualche discriminazione culturale.
Perchè sì, quel discorso delle internal bias che ci avevano fatto al corso sull'adozione è tornato e di sicuro tornerà fuori mille volte. Ed è dura rimettersi continuamente in discussione.
L'ultima volta che mi è capitato è stato qualche mese fa. Mr J mi ha fatto notare che avevo applicato il classico stereotipo della donna afroamericana arrabbiata (qui) a una persona che non conoscevo, solo sulla base di alcune sue caratteristiche esteriori come l'abbigliamento o la pettinatura. Il suo modo di porsi mi aveva intimidito e al momento mi sono sentita un verme per questo, però la verità è che quel tipo di stereotipi dominano il nostro immaginario culturale, è difficile smontarli, sostituire immagini positive a quelle negative. Accorgersi di commettere degli errori come sempre è il primo passo verso il miglioramento. Dopo tutti questi anni di studio del problema, sono sempre sul chi va là, anche per quanto riguarda me stessa e se mi accorgo di aver fatto un errore come in questo caso, mi scuso immediatamente se posso e ringrazio chi me lo ha fatto notare. Quando invece (raramente) capita a me di fare notare una qualche pecca a qualcuno, soprattutto in Italia, sono guai. Mi è capitato di affrontare questi discorsi giusto un paio di volte e solo con amici a cui voglio un mondo di bene. Ancora ricordo la tensione, la paura di aver perso un'amicizia addirittura.
L'anno scorso cercavo di fare capire a una delle mie più care amiche a cui era piaciuto molto il film Il Libro Verde quanta sofferenza quel film avesse causato agli spettatori afroamericani (trovate qualcosa qui e qui se vi interessa la questione). Non ci fu nulla da fare. Bisognò far cadere il discorso per non litigare. Su altre cose è più facile discutere, i discorsi sul razzismo invece implicano un giudizio morale che ci fa tremare, ci fa alzare muri, ci impedisce di accogliere l'obiezione dell'altro serenamente. Sono discussioni che toccano dei nervi scoperti, delle debolezze, delle leggerezze e possono finire molto male.
In conclusione di tutto questo lungo flusso di coscienza, vorrei dirvi solo l'unica cosa che ho capito. Quando c'è di mezzo il razzismo, quasi sempre ci parliamo addosso fra noi che in fondo il problema non ce l'abbiamo, rimbalzano le opinioni, la sensibilità dell'uno o dell'altro, ma questo non deve farci dimenticare che il razzismo non è un'opinione, è un fenomeno che esiste e viene studiato in modo approfondito da diversi decenni almeno qui negli Stati Uniti. Forse solo se vi prenderete la briga di andare a cercarvi i dati e leggere gli studi, vi renderete conto sul serio di cosa sia.
Il razzismo sono le donne di colore che muoiono di parto molto più di quelle bianche. Il razzismo sono le famiglie nere che in circostanze analoghe a quelle delle bianche, non riescono a conservare e a passare la propria ricchezza alle generazioni successive. Il razzismo sono i bambini neri che fin dall'asilo vengono puniti in modo più severo rispetto ai bianchi. Il razzismo inteso come discriminazione quotidiana causa una forma di stress che peggiora le condizioni di salute generali delle persone che lo subiscono.
Il razzismo c'è.
Ricordate che quando dite a qualcuno frasi tipo non tutto è una questione di razzismo o tu vedi il razzismo ovunque, state usando uno gli argomenti tipici usati da sempre per mettere a tacere quelli che il razzismo lo subiscono.
Quando qualcuno tira fuori l'argomento, ascoltiamo molto bene e interroghiamoci sempre su noi stessi per primi.
Decidiamo da che parte vogliamo stare e diciamolo forte e chiaro quando vediamo qualcosa che non va. Spetta soprattutto a chi non è coinvolto direttamente difendere chi ha subito un torto in silenzio e in sostanza... fare più attenzione.
4 commenti:
Che in Italia siamo dei privilegiati é una questione spesso troppo poco sottolineata. La ns società europea solo da poco si deve confrontare con il problema dell'interrazialità permanente (per dire, quando ero bambino io, eravamo tutti bianchi a scuola... Al massimo c'erano i "meridionali"... Sic). E infatti si vedono le barricate, l'hate speech, i profeti dell'invasione, etc...
Che dire? Negli USA é tutto più amplificato ma il problema eaiste eccome ed é giustamente, come dici tu, culturale. Complimenti per il tuo scritto, mi sembri una persona molto attenta, anche se ti dicono di fare più attenzione... Ce ne fossero di gente come te pronte a metterai in discussione...
Grazie, faccio del mio meglio perchè è una questione importante per tutti, per un insegnante davvero vitale, direi.
A Milano all'interno della mostra "Milano anni '60" c'è una galleria di ritratti di famosi musicisti di musica Jazz che in quegli anni erano venuti a suonare a Milano (John Coltrane, Ornette Coleman, Miles Davis, Archie Shepp).
Il curatore ci raccontava che a fine prove gli organizzatori proponevano di andare a bere qualcosa e i Jazzisti di colore non si capacitavano del fatto che da noi non ci fossero problemi che un uomo di colore si sedesse con uno "bianco" al bar, stesso locale, stesso tavolo.
Noi che lo ascoltavamo ci siamo tutti bloccati, non capivamo il problema; solo dopo abbiamo realizzato quali lotte stessero combattendo gli afroamericani negli anni '60.
Quello che non riesco a valutare se adesso, visto l'arrivo di tante persone straniere, siamo diventati più razzisti anche noi.
Anonimo: Beh si, gli afroamericani sono ancora oggi sorpresi dall'accoglienza che ricevono in Europa. James Balwin ha vissuto a lungo in Francia, ad esempio e ne ha parlato già molti anni fa. Come sempre il razzismo è una cosa fluida e segue il corso del denaro più del colore della pelle. In Europa un nero americano può stupirsi del trattamento di favore che gli viene riservato rispetto a un nero africano. Il fatto è che normalmente gli americani che vanno in Europa sono ricchi e colti, mentre gli africani spesso si trovano a scappare da guerre e carestie e attraversano situazioni di estrema difficoltà.
Non credo che l'arrivo degli stranieri causi il razzismo. Credo che ci siano delle questioni irrisolte che l'arrivo degli stranieri mette in evidenza.
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