Una volta quando Woody era molto piccolo e non dormiva mai e diceva sì e no tre parole, si svegliò accanto a me. C'era questo raggio di sole... un momento in po' magico. Mi guardò come mai aveva fatto prima e disse senza smettere di contemplare la mia faccia disfatta dalla notte insonne: "You're SO beautifold".
Da quel momento me lo ha ripetuto tutti i giorni, più volte al giorno. Per me una novità assoluta, Joe non si è mai sognato di farmi un complimento.
Adesso che il suo vocabolario è leggermente più fornito, ogni tanto aggiunge degli aggettivi.
Ad esempio: "Mommy you're so smart, sei così sveglia". Ed è bello perché nessuno dice a un adulto che è sveglio, grazie Woody!
Una volta mi ha detto: "Mommy you're so beautifold, smart and heavy". Pesante? "Sì guarda!". Fa finta di sollevarmi, fa un rumore di sforzo sovrumano e ribadisce: "You're super heavy!". Grazie Woody, nessuno dice a una donna adulta che è pesante, anzi pesantissima. Insomma grazie, si fa per dire...
L'aggettivo preferito, oltre al solito beautifold, in questo periodo è soft, morbida. Però lui dice soff, con due F, e ha un po' il vocione perché ha avuto la bronchite. Così ho questo omino con il vocione da piccolo Louis Armstrong che mi abbraccia sempre e mi dice con sguardo sognante: "You're so beautifold, you're so soff, I like you SO much".
sabato 26 gennaio 2019
martedì 22 gennaio 2019
ancora della roccia e delle vertigini e dell'amicizia
L'altro giorno siamo tornati al parco della roccia, dove ho fatto quello stranissimo incontro con la maestra di Woody.
Joe deve aver avuto uno dei suoi rari momenti di temerarietà perchè in un baleno, dimenticandosi delle sue vertigini paralizzanti, ci è salito sopra.
Un suo compagno di scuola, uno bravo con cui gioca spesso, ha subito capito cosa stava succedendo ed è corso da lui.
- Joe stai bene? Ce la fai? Fai tutto quello che ti dico, non avere paura.
Joe aveva come delle macchie rosse sulle guance, era pallidissimo. La paura fa brutti scherzi.
Mi ha guardato solo per un attimo e con la forza del pensiero mi ha comunicato forte e chiaro una parola: pentimento.
Ero tentata di intervenire, ma non l'ho fatto (pat pat sulla spalla a me). Ho sdrammatizzato. Gli ho detto che era stato bravissimo a salire, che non avrebbe avuto nessun problema a scendere e ho fatto un passo indietro.
Il suo amichetto con tanta, tanta, pazienza gli spiegava dove mettere i piedi e le mani e pian piano l'ha guidato giù.
Mica male come livello di maturità per un bambino di seconda elementare. Che ragazzino stupendo, correre ad aiutare un amico in difficoltà prima ancora di essere chiamato. Pensavo che una volta giù, Joe lo avrebbe ringraziato o gli avrebbe detto qualcosa, invece nulla. L'ha praticamente ignorato.
E' un periodo che ogni giorno torna a casa e mi racconta le piccole angherie di un certo compagno di scuola. Ma lascialo stare, gli dico sempre. E lui invece insiste, vuole essere accettato.
Ho cercato di fargli capire la bellezza del gesto che aveva appena ricevuto.
- Joe è questo è il tipo di persona che vuoi come amico. Guarda che non ce ne sono tanti così in giro.
Sì sì.
E lì come genitore, capisci che davvero ognuno deve vivere la sua vita e sbattere contro i propri muri in totale autonomia.
Del resto, quelli che ti trattano male, da che mondo e mondo, esercitano un fascino particolare e non c'è nulla che possa dire a mio figlio che possa eliminare questo fatto. Deve arrivarci da solo.
Deve capirlo da solo che la cosa forse più importante in assoluto nella vita è circondarsi di persone che ti apprezzino e siano disposte a correre in tuo soccorso.
Quelli che corrono in tuo soccorso perfino prima che tu chieda aiuto poi, bisognerebbe tenerseli stretti stretti per sempre e ringraziarli ogni giorno. In un mondo perfetto, dico.
E' che se sono noiosi...
Joe deve aver avuto uno dei suoi rari momenti di temerarietà perchè in un baleno, dimenticandosi delle sue vertigini paralizzanti, ci è salito sopra.
Un suo compagno di scuola, uno bravo con cui gioca spesso, ha subito capito cosa stava succedendo ed è corso da lui.
- Joe stai bene? Ce la fai? Fai tutto quello che ti dico, non avere paura.
Joe aveva come delle macchie rosse sulle guance, era pallidissimo. La paura fa brutti scherzi.
Mi ha guardato solo per un attimo e con la forza del pensiero mi ha comunicato forte e chiaro una parola: pentimento.
Ero tentata di intervenire, ma non l'ho fatto (pat pat sulla spalla a me). Ho sdrammatizzato. Gli ho detto che era stato bravissimo a salire, che non avrebbe avuto nessun problema a scendere e ho fatto un passo indietro.
Il suo amichetto con tanta, tanta, pazienza gli spiegava dove mettere i piedi e le mani e pian piano l'ha guidato giù.
Mica male come livello di maturità per un bambino di seconda elementare. Che ragazzino stupendo, correre ad aiutare un amico in difficoltà prima ancora di essere chiamato. Pensavo che una volta giù, Joe lo avrebbe ringraziato o gli avrebbe detto qualcosa, invece nulla. L'ha praticamente ignorato.
E' un periodo che ogni giorno torna a casa e mi racconta le piccole angherie di un certo compagno di scuola. Ma lascialo stare, gli dico sempre. E lui invece insiste, vuole essere accettato.
Ho cercato di fargli capire la bellezza del gesto che aveva appena ricevuto.
- Joe è questo è il tipo di persona che vuoi come amico. Guarda che non ce ne sono tanti così in giro.
Sì sì.
E lì come genitore, capisci che davvero ognuno deve vivere la sua vita e sbattere contro i propri muri in totale autonomia.
Del resto, quelli che ti trattano male, da che mondo e mondo, esercitano un fascino particolare e non c'è nulla che possa dire a mio figlio che possa eliminare questo fatto. Deve arrivarci da solo.
Deve capirlo da solo che la cosa forse più importante in assoluto nella vita è circondarsi di persone che ti apprezzino e siano disposte a correre in tuo soccorso.
Quelli che corrono in tuo soccorso perfino prima che tu chieda aiuto poi, bisognerebbe tenerseli stretti stretti per sempre e ringraziarli ogni giorno. In un mondo perfetto, dico.
E' che se sono noiosi...
domenica 20 gennaio 2019
il muscolo dell'empatia
C'è un attore che si chiama Kevin Hart che era stato scelto per presentare la notte degli Oscar, poi qualcuno ha tirato fuori dei suoi vecchi tweet omofobi, lui si è scusato e, a differenza di altri nella stessa situazione, vedendo che le polemiche non si placavano, si è subito dimesso. Qui se n'è parlato moltissimo. Ellen DeGeneres, l'omosessuale più amata di questo paese, l'ha invitato nella sua trasmissione e l'ha scongiurato di tornare sui suoi passi, ma lui non ne vuole sapere. Credo non abbiano ancora trovato un sostituto.
La settimana scorsa è stato intervistato nel mio programma preferito. Aveva detto chiaramente di non volerne parlare, ma l'intervistatrice, una delle donne che stimo più al mondo, ha basato l'intera conversazione su questo. Mi ha stupito perché normalmente lei fa domande anche scomode magari, ma rispetta le persone. Ascolto questo programma dal 2007 e non credo di essere mai stata in disaccordo con lei. E anche in questo caso sono d'accordo con lei nella sostanza. Anch'io penso che quelle battute omofobe siano intollerabili, ma lei insisteva e insisteva, non so cosa volesse sentirsi dire, ho fatto fatica a continuare ad ascoltare.
Lui è rimasto calmo e con una pazienza incredibile ha spiegato e rispiegato di essere cresciuto nel ghetto con mezza famiglia in prigione e un concetto di virilità tossico se non addirittura violento. Suo padre gli tirò un pugno in testa al funerale della madre quando lo vide piangere. Gli uomini non piangono, i gay sono in televisione e fanno ridere. Lui è cresciuto in questo ambiente purtroppo e pensava davvero che le battute sui gay facessero ridere. Del resto, facevano ridere tutti quelli che conosceva, non si è reso conto che potessero fare del male a qualcuno finchè non ha avuto la possibilità di viaggiare, conoscere persone diverse da lui e espandere i propri orizzonti. A quel punto ha cambiato idea. Mi sembra un'esperienza normale, anzi valore al merito di essersi ravveduto.
Comunque, ci penso ancora dopo una settimana, ne parlavo ieri sera con un'amica gay. Anche lei la pensava come l'intervistatrice e avrebbe voluto sentire delle scuse un po' più sincere. Ma Kevin Hart ha detto una cosa importante, che non voglio dimenticare.
Ha detto che adesso tutti pensano che tutti sappiano tutto, ma alcuni NON sanno.
E' una cosa talmente ovvia, ma mi sfugge spesso. Forse è anche per questo che siamo così divisi. Quando sentiamo idee diverse dalle nostre, siamo veloci a condannare chi le esprime.
Il ragionamento di solito è: sei omofobo, sei razzista, sei maschilista, sei una brutta persona e con te non ci parlo nemmeno. E' difficilissimo, almeno per me, fare lo sforzo di pensare che alcune persone sono sì omofobe, razziste e maschiliste, ma non hanno mai avuto una scelta, non hanno mai conosciuto nient'altro. E' ignoranza il più delle volte, non cattiveria.
E' anche vero, però che l'empatia è una specie di muscolo e se rimane fermo troppo a lungo prima o poi si atrofizza.
La settimana scorsa è stato intervistato nel mio programma preferito. Aveva detto chiaramente di non volerne parlare, ma l'intervistatrice, una delle donne che stimo più al mondo, ha basato l'intera conversazione su questo. Mi ha stupito perché normalmente lei fa domande anche scomode magari, ma rispetta le persone. Ascolto questo programma dal 2007 e non credo di essere mai stata in disaccordo con lei. E anche in questo caso sono d'accordo con lei nella sostanza. Anch'io penso che quelle battute omofobe siano intollerabili, ma lei insisteva e insisteva, non so cosa volesse sentirsi dire, ho fatto fatica a continuare ad ascoltare.
Lui è rimasto calmo e con una pazienza incredibile ha spiegato e rispiegato di essere cresciuto nel ghetto con mezza famiglia in prigione e un concetto di virilità tossico se non addirittura violento. Suo padre gli tirò un pugno in testa al funerale della madre quando lo vide piangere. Gli uomini non piangono, i gay sono in televisione e fanno ridere. Lui è cresciuto in questo ambiente purtroppo e pensava davvero che le battute sui gay facessero ridere. Del resto, facevano ridere tutti quelli che conosceva, non si è reso conto che potessero fare del male a qualcuno finchè non ha avuto la possibilità di viaggiare, conoscere persone diverse da lui e espandere i propri orizzonti. A quel punto ha cambiato idea. Mi sembra un'esperienza normale, anzi valore al merito di essersi ravveduto.
Comunque, ci penso ancora dopo una settimana, ne parlavo ieri sera con un'amica gay. Anche lei la pensava come l'intervistatrice e avrebbe voluto sentire delle scuse un po' più sincere. Ma Kevin Hart ha detto una cosa importante, che non voglio dimenticare.
Ha detto che adesso tutti pensano che tutti sappiano tutto, ma alcuni NON sanno.
E' una cosa talmente ovvia, ma mi sfugge spesso. Forse è anche per questo che siamo così divisi. Quando sentiamo idee diverse dalle nostre, siamo veloci a condannare chi le esprime.
Il ragionamento di solito è: sei omofobo, sei razzista, sei maschilista, sei una brutta persona e con te non ci parlo nemmeno. E' difficilissimo, almeno per me, fare lo sforzo di pensare che alcune persone sono sì omofobe, razziste e maschiliste, ma non hanno mai avuto una scelta, non hanno mai conosciuto nient'altro. E' ignoranza il più delle volte, non cattiveria.
E' anche vero, però che l'empatia è una specie di muscolo e se rimane fermo troppo a lungo prima o poi si atrofizza.
sabato 19 gennaio 2019
per vivere la vita, devo avere una vita
Ieri siamo andati a fare una passeggiata nel bosco e c'era un muretto abbastanza alto, ma anche abbastanza largo. Woody, tre anni, ci camminava tranquillo e Joe, otto anni, che soffre di vertigini, ci gattonava. Era un po' ridicolo sinceramente.
- Joe perchè non provi a camminare anche tu? Ce la fai!
- Impossibile. Non accetto questo rischio.
- Ma è un rischio minimo, ogni tanto bisogna anche provare...vivila un po' la vita!
- Per vivere la vita, devo avere una vita.
E' finita così:
- Joe perchè non provi a camminare anche tu? Ce la fai!
- Impossibile. Non accetto questo rischio.
- Ma è un rischio minimo, ogni tanto bisogna anche provare...vivila un po' la vita!
- Per vivere la vita, devo avere una vita.
E' finita così:
venerdì 18 gennaio 2019
un libro con dedica
L'altro giorno ho comprato un libro usato. Ottimo affare, lo cercavo da tempo ed era intonso. Arrivata a casa l'ho aperto e ho visto che nella prima pagina c'era una lunga dedica scritta a penna. Parlava di un viaggio che questi due amici avevano fatto insieme in Europa.
Tutto questo mi ha fatto riflettere sull'amicizia nel mondo dei cosiddetti adulti.
I miei migliori amici in Italia, quelli conosciuti ai tempi della scuola o dell'università, sono più o meno tutti ancora lì. Quelli che fanno fatica a farsi sentire durante l'anno, li rivedo poi di persona ogni volta che torno e grazie al cielo sembra sempre di essersi lasciati la sera prima, rughe a parte.
Per quanto riguarda quelli conosciuti qui, invece il discorso è un po' diverso. Se provo a domandarmi a chi avrei scritto una dedica del genere nel 2010, mi viene in mente qualcuno che non fa più parte della mia vita o non in quel modo almeno. Non so se sia un problema legato al fatto di vivere all'estero o alla vita adulta in generale. Certo qui l'avvicendamento è più spedito vista la tendenza generale al trasferimento, ma potrebbe esserci dell'altro, l'individualismo, una certa scala di priorità in cui l'amicizia non è ai primi posti. So solo che ho sempre tanta paura che le cose cambino e soprattutto che le relazioni cambino, ma poi pensandoci bene tutto cambia in continuazione e non è quasi mai un dramma, le cose vanno come devono andare, si evolvono, prendono la forma che gli diamo.
Le persone che avevo vicino anche solo cinque anni fa, non sono quelle che ho vicino ora. Me lo avessero detto all'epoca, avrei sofferto tantissimo o forse non ci avrei creduto, ma nella realtà tutto è andato come doveva andare e non ho grossissime recriminazioni o rimpianti.
Mi piacerebbe solo che coscienti una volta per tutte del fatto che tutto cambia, la smettessimo di fingerci migliori di quello che siamo, di darci per scontati, di perdere tempo, di rimandare un pranzo o una cena o un viaggio all'infinito perchè tanto siamo sempre qui.
Perchè non far pace con il fatto che l'unica cosa che conosciamo e che abbiamo è il presente? Limitiamoci a collezionare momenti preziosi, trattiamoci bene adesso, oggi, in modo da poterci pensare con affetto domani, ovunque la vita ci porterà.
Il pensiero di una persona che ho frequentato per un periodo fra un trasferimento e l'altro e che non mi ha lasciato conversazioni o esperienze memorabili può essere vagamente deprimente. Il pensiero di una persona che mi è stata davvero cara anche solo per un breve tratto di strada, vicina o lontana che sia adesso, mi fa bene all'anima.
E così tutto ha un senso e prima o poi magari ci si ritrova anche.
Spero che questo libro tenga vivi tutti i nostri bei ricordi. Sei una delle persone MIGLIORI che abbia conosciuto negli ultimi anni. Grazie per essere mio amico. Ti auguro tutto il meglio. Buon 2010!2010. Mi ha preso una grande malinconia, tutto sommato avrei potuto averla scritta io quella dedica, anzi chissà quanti miei libri con dedica ci sono in giro. Questo poveraccio ha regalato un libro al suo amico, un libro italiano che non è facile trovare da queste parti, ci ha pensato su bene, ha scritto una bellissima dedica e l'amico non solo evidentemente non ha mai aperto il libro, ma se lo è anche rivenduto per un dollaro o forse meno, considerato quanto l'ho pagato io. E non è un libro ingombrante, è un libricino che sta nel palmo di una mano. Perchè sbarazzarsene così? Poteva regalarlo a qualcuno.
Tutto questo mi ha fatto riflettere sull'amicizia nel mondo dei cosiddetti adulti.
I miei migliori amici in Italia, quelli conosciuti ai tempi della scuola o dell'università, sono più o meno tutti ancora lì. Quelli che fanno fatica a farsi sentire durante l'anno, li rivedo poi di persona ogni volta che torno e grazie al cielo sembra sempre di essersi lasciati la sera prima, rughe a parte.
Per quanto riguarda quelli conosciuti qui, invece il discorso è un po' diverso. Se provo a domandarmi a chi avrei scritto una dedica del genere nel 2010, mi viene in mente qualcuno che non fa più parte della mia vita o non in quel modo almeno. Non so se sia un problema legato al fatto di vivere all'estero o alla vita adulta in generale. Certo qui l'avvicendamento è più spedito vista la tendenza generale al trasferimento, ma potrebbe esserci dell'altro, l'individualismo, una certa scala di priorità in cui l'amicizia non è ai primi posti. So solo che ho sempre tanta paura che le cose cambino e soprattutto che le relazioni cambino, ma poi pensandoci bene tutto cambia in continuazione e non è quasi mai un dramma, le cose vanno come devono andare, si evolvono, prendono la forma che gli diamo.
Le persone che avevo vicino anche solo cinque anni fa, non sono quelle che ho vicino ora. Me lo avessero detto all'epoca, avrei sofferto tantissimo o forse non ci avrei creduto, ma nella realtà tutto è andato come doveva andare e non ho grossissime recriminazioni o rimpianti.
Mi piacerebbe solo che coscienti una volta per tutte del fatto che tutto cambia, la smettessimo di fingerci migliori di quello che siamo, di darci per scontati, di perdere tempo, di rimandare un pranzo o una cena o un viaggio all'infinito perchè tanto siamo sempre qui.
Perchè non far pace con il fatto che l'unica cosa che conosciamo e che abbiamo è il presente? Limitiamoci a collezionare momenti preziosi, trattiamoci bene adesso, oggi, in modo da poterci pensare con affetto domani, ovunque la vita ci porterà.
Il pensiero di una persona che ho frequentato per un periodo fra un trasferimento e l'altro e che non mi ha lasciato conversazioni o esperienze memorabili può essere vagamente deprimente. Il pensiero di una persona che mi è stata davvero cara anche solo per un breve tratto di strada, vicina o lontana che sia adesso, mi fa bene all'anima.
E così tutto ha un senso e prima o poi magari ci si ritrova anche.
giovedì 17 gennaio 2019
la resilienza degli americani
La reazione calma e razionale dei lavoratori federali al più lungo shutdown della storia mentre sono costretti a stare a casa o a continuare a lavorare senza stipendio da più di un mese, credo abbia molto a che fare con l'ottimismo americano, che è la prima differenza culturale che ho notato quando mi sono trasferita qui.
Ci sono stati mille episodi, ma ne ricordo uno in particolare. Vivevo qui da poco ed era successo un incidente terribile da qualche parte, il crollo di un ponte o qualcosa del genere. La CNN intervistava i parenti dei dispersi. Non dimenticherò mai la figlia di una di queste persone che diceva it's going to be ok, andrà tutto bene, una reazione incomprensibile per me.
Per quanto ho potuto vedere in tutti questi anni, gli americani in genere sono così, non si perdono mai d'animo.
Il disagio causato dallo shutdown è gravissimo a questo punto. Ci sono famiglie già sotto sfratto e non so se avete presente cosa succede quando ti sfrattano qui. Senza tante storie, se non paghi, prendono tutte le tue cose e le buttano per strada. Immagino in Italia manifestazioni, ma anche gente che piange nei talk show politici, i programmi del pomeriggio, i suicidi, gente incatenata davanti a Montecitorio. Nulla di tutto questo qui. Eppure, questi lavoratori hanno tutte le ragioni del mondo, hanno la solidarietà di tutta l'opinione pubblica, ma invece di fare sit-in e manifestazioni, sono andati da un giudice. Il giudice gli ha ordinato di tornare subito al lavoro anche se il governo non li paga. Fine, così è e nessuno si è strappato i capelli (leggete qui).
C'è chi ha chiesto aiuto ai familiari, chi è in fila alla mensa dei poveri, chi si è trovato un lavoretto temporaneo accontentandosi anche solo di spostare pacchi o tagliare l'erba e chi ha aperto pagine su GoFundMe. Non so se questa sia la strategia vincente, ma si muovono, non si rassegnano.
Questa resilienza degli americani è una qualità che ho sempre ammirato. Il senso di ingiustizia, non gli fa perdere la lucidità, lavorano a testa bassa per migliorare la situazione, qualunque sia la situazione. Mi viene in mente quel modo di dire che ho imparato appena arrivata: se ti lamenti fai parte del problema e non della soluzione.
Ci sono stati mille episodi, ma ne ricordo uno in particolare. Vivevo qui da poco ed era successo un incidente terribile da qualche parte, il crollo di un ponte o qualcosa del genere. La CNN intervistava i parenti dei dispersi. Non dimenticherò mai la figlia di una di queste persone che diceva it's going to be ok, andrà tutto bene, una reazione incomprensibile per me.
Per quanto ho potuto vedere in tutti questi anni, gli americani in genere sono così, non si perdono mai d'animo.
Il disagio causato dallo shutdown è gravissimo a questo punto. Ci sono famiglie già sotto sfratto e non so se avete presente cosa succede quando ti sfrattano qui. Senza tante storie, se non paghi, prendono tutte le tue cose e le buttano per strada. Immagino in Italia manifestazioni, ma anche gente che piange nei talk show politici, i programmi del pomeriggio, i suicidi, gente incatenata davanti a Montecitorio. Nulla di tutto questo qui. Eppure, questi lavoratori hanno tutte le ragioni del mondo, hanno la solidarietà di tutta l'opinione pubblica, ma invece di fare sit-in e manifestazioni, sono andati da un giudice. Il giudice gli ha ordinato di tornare subito al lavoro anche se il governo non li paga. Fine, così è e nessuno si è strappato i capelli (leggete qui).
C'è chi ha chiesto aiuto ai familiari, chi è in fila alla mensa dei poveri, chi si è trovato un lavoretto temporaneo accontentandosi anche solo di spostare pacchi o tagliare l'erba e chi ha aperto pagine su GoFundMe. Non so se questa sia la strategia vincente, ma si muovono, non si rassegnano.
Questa resilienza degli americani è una qualità che ho sempre ammirato. Il senso di ingiustizia, non gli fa perdere la lucidità, lavorano a testa bassa per migliorare la situazione, qualunque sia la situazione. Mi viene in mente quel modo di dire che ho imparato appena arrivata: se ti lamenti fai parte del problema e non della soluzione.
mercoledì 16 gennaio 2019
coraggio
Al parco giochi c'è una sorta di roccia per arrampicarsi. E' alta più di due metri. E' la bestia nera di Joe che vuole sempre salirci, ma soffre di vertigini paralizzanti. Una volta è arrivato su senza nemmeno rendersene conto e si è seduto a guardare il tramonto. Aveva cinque anni, abbiamo una foto bellissima. Voleva sedersi a pensare, diceva. Dopo un po' però ha deciso che era ora di scendere e abbiamo scoperto le sue vertigini paralizzanti.
Insomma, c'era un bambino abbastanza piccolo, anche lui sui 5-6 anni l'altro giorno, che era arrivato su e camminava avanti e indietro. Ha attirato la mia attenzione perchè normalmente i bambini arrivano su, si siedono e scendono, non ho mai visto nessuno camminarci così. Mi è venuto spontaneo avvicinarmi non vedendo adulti nei paraggi. Là sotto però ho incontrato la sua mamma. Ci conosciamo e abbiamo cominciato a parlare un attimo. Dico:
- Ma che bravo a salire fin lassù da solo!
- Per lui è normale...
- Mio figlio é più grande, ma ha ancora paura di quella roccia.
- Eh, ma io ai miei figli ho insegnato a non avere paura di niente. Dico sempre se ti fai male, non succede niente, guarisci, ma non bisogna avere paura.
- Al mio devo aver passato la mia di paura.
Intanto il bambino continuava a camminare su e giù. Mi viene un dubbio:
- Ma... sa anche scendere?
- Oh, certo, è saltato giù mille volte.
- Saltato giù? Da quell'altezza?
In quel momento il bambino da sei milioni di dollari comincia a piagnucolare: "Mamma prendimi, ho paura".
La madre lo ignora e continua la sua lezione su come noi genitori non dobbiamo tarpare le ali passando le nostre inutili preoccupazioni ai figli che devono al contrario crescere liberi e felici nella natura. D'accordissimo, solo che il bambino continuava a chiedere aiuto e lei continuava a ignorarlo. Stavano venendo a me le vertigini, così mi sono girata dall'altra parte, ho cominciato a fare un po' finta di niente.
A quel punto la madre ha smesso subito di ignorarlo.
- Coraggio, salta giù!
- Ma ho paura prendimi!
- Non c'è niente di cui avere paura, salta.
- Prendimi!
- Ti rendi conto che ti stai spaventando da solo? Smettila di guardare giù, salta e basta. Sei capace, l'hai fatto altre volte!
- Ma ho paura...
- Dai che ce la fai!
Alla fine, dopo un tempo che a me è sembrato lunghissimo, il bambino salta e appena i suoi piedi toccano terra, cade rovinosamente e scoppia a piangere. La madre lo abbraccia mentre piange disperato e gli ripete:
- Bravissimo, hai visto che ce l'hai fatta? Sei proprio coraggioso!
E' finita così. Non so quanto male si sia fatto, suppongo nulla di grave, ma se ne sono andati via immediatamente, prima che si calmasse, e lei non mi ha salutato, non ha più guardato verso di me. Di sicuro era preoccupata che il figlio si fosse rotto qualcosa, ma non voleva darmelo a vedere dopo tutto quel bel discorso che mi aveva appena fatto sul passare le proprie ansie ai figli.
Ho dimenticato di precisare che questapazza persona è l'attuale maestra di Woody.
#celasifa
Insomma, c'era un bambino abbastanza piccolo, anche lui sui 5-6 anni l'altro giorno, che era arrivato su e camminava avanti e indietro. Ha attirato la mia attenzione perchè normalmente i bambini arrivano su, si siedono e scendono, non ho mai visto nessuno camminarci così. Mi è venuto spontaneo avvicinarmi non vedendo adulti nei paraggi. Là sotto però ho incontrato la sua mamma. Ci conosciamo e abbiamo cominciato a parlare un attimo. Dico:
- Ma che bravo a salire fin lassù da solo!
- Per lui è normale...
- Mio figlio é più grande, ma ha ancora paura di quella roccia.
- Eh, ma io ai miei figli ho insegnato a non avere paura di niente. Dico sempre se ti fai male, non succede niente, guarisci, ma non bisogna avere paura.
- Al mio devo aver passato la mia di paura.
Intanto il bambino continuava a camminare su e giù. Mi viene un dubbio:
- Ma... sa anche scendere?
- Oh, certo, è saltato giù mille volte.
- Saltato giù? Da quell'altezza?
In quel momento il bambino da sei milioni di dollari comincia a piagnucolare: "Mamma prendimi, ho paura".
La madre lo ignora e continua la sua lezione su come noi genitori non dobbiamo tarpare le ali passando le nostre inutili preoccupazioni ai figli che devono al contrario crescere liberi e felici nella natura. D'accordissimo, solo che il bambino continuava a chiedere aiuto e lei continuava a ignorarlo. Stavano venendo a me le vertigini, così mi sono girata dall'altra parte, ho cominciato a fare un po' finta di niente.
A quel punto la madre ha smesso subito di ignorarlo.
- Coraggio, salta giù!
- Ma ho paura prendimi!
- Non c'è niente di cui avere paura, salta.
- Prendimi!
- Ti rendi conto che ti stai spaventando da solo? Smettila di guardare giù, salta e basta. Sei capace, l'hai fatto altre volte!
- Ma ho paura...
- Dai che ce la fai!
Alla fine, dopo un tempo che a me è sembrato lunghissimo, il bambino salta e appena i suoi piedi toccano terra, cade rovinosamente e scoppia a piangere. La madre lo abbraccia mentre piange disperato e gli ripete:
- Bravissimo, hai visto che ce l'hai fatta? Sei proprio coraggioso!
E' finita così. Non so quanto male si sia fatto, suppongo nulla di grave, ma se ne sono andati via immediatamente, prima che si calmasse, e lei non mi ha salutato, non ha più guardato verso di me. Di sicuro era preoccupata che il figlio si fosse rotto qualcosa, ma non voleva darmelo a vedere dopo tutto quel bel discorso che mi aveva appena fatto sul passare le proprie ansie ai figli.
Ho dimenticato di precisare che questa
#celasifa
martedì 15 gennaio 2019
lo shutdown
Trump vuole i soldi per il muro, i democratici si oppongono e la manovra finanziaria non passa. Il problema è che qui se il bilancio non viene approvato il governo chiude. E infatti è chiuso da quasi un mese.
E' il più lungo shutdown della storia.
Centinaia di migliaia di impiegati federali venerdì scorso avrebbero dovuto prendere lo stipendio e invece niente.
Le conseguenze cominciano a farsi sentire un po' in tutti i settori. Dei vandali, ad esempio, hanno abbattuto indisturbati degli alberi rari in un parco nazionale perchè non c'è nessuno a controllare e oggi ho letto anche che qualcuno si è imbarcato su un aereo con una pistola. E' che ci sono sempre meno guardie aeroportuali, stanno cominciando a mettersi in malattia, è l'unica cosa che possono fare. Le guardie aeroportuali sono considerate essenziali e quindi obbligate a lavorare senza paga, ma giustamente sono allo stremo. Ci sono tanti lavoratori federali che vivono esclusivamente dello stipendio e a questo punto non hanno nemmeno da mangiare.
Da straniera, tutta questa situazione, soprattutto il fatto che sia legale che il governo blocchi le attività amministrative e si rifiuti di pagare i suoi dipendenti, mi sembra folle. E mi stupisce ancora di più la reazione dei lavoratori. Non potrei immaginare una cosa simile in Italia.
Lavorare senza stipendio da un mese e chissà per quanto tempo ancora, senza praticamente fiatare, non uno sciopero, niente di niente.
lunedì 14 gennaio 2019
ci si può commuovere per un vecchio albero di Natale?
Dopo un lungo braccio di ferro abbiamo buttato via l'albero di Natale. Mi opponevo perchè ci sono affezionatissima e non mi sembrava poi così malridotto, ma alla fine ho ceduto. Qui le cose ingombranti si mettono davanti a casa e il comune passa una volta alla settimana a ritirarle. Stamattina abbiamo messo fuori il nostro albero. Poco dopo è passato un anziano con un pick-up tutto scassato e l'ha tirato su. Aveva raccolto un sacco di altre cose, un altro albero di Natale, delle sedie, dei giocattoli. Some people's trash is other people's treasure, la spazzatura di qualcuno é il tesoro di qualcun altro.
Chissà cosa succederà al mio alberello. Mi piace pensare che non abbia finito il suo lavoro e che continui a lasciare bambini a bocca aperta ancora a lungo.
Ma ci si può commuovere per un vecchio albero di Natale?
Chissà cosa succederà al mio alberello. Mi piace pensare che non abbia finito il suo lavoro e che continui a lasciare bambini a bocca aperta ancora a lungo.
Ma ci si può commuovere per un vecchio albero di Natale?
venerdì 11 gennaio 2019
variazioni sul tema marie kondo
A capodanno è uscita la serie di Marie Kondo su Netflix e tutti in questo periodo sono tornati a parlare di lei qui, un po' come quando uscí il suo primo libro, che devo confessare, mi stancò ancor prima di leggerlo.
L'organizzazione della casa è un argomento che mi interessa da quando Joe ha cominciato ad avere un paio d'anni e non riuscivo in nessun modo a buttare via o regalare le sue cose. Mi sono messa a studiare a fondo il problema con i suoi diversi approcci (ne ho scritto varie volte qui), ma tutta la ritualità del KonMari non mi attirava per niente. Quell'idea strampalata degli oggetti che dovrebbero sprizzare gioia, troppe regole e troppi precetti per i miei gusti. Non seguo alla lettera neanche le ricette di cucina, figuriamoci.
Poi un giorno per caso, ho ascoltato una lunga intervista a Marie Kondo (la trovate qui completa di transcript se vi interessa) e ho capito che c'é davvero qualcosa che merita riflessione nel suo messaggio. Ascoltare dalla sua voce -quando ancora non era un personaggio pubblico e dava pochissime interviste- come è nata e come si è evoluta la sua filosofia, che è legata fra l'altro allo scintoismo, mi ha fatto guardare oltre il fenomeno commerciale. La cosa che mi ha affascinato di più è il passaggio dall'ossessione minimalista di buttare via tutto all'idea opposta di concentrarsi sulla gioia che danno gli oggetti da tenere.
Si tratta di creare uno spazio in cui vivere che sia pieno di tutte quelle cose che ci fanno stare bene. E' un'idea semplice e geniale al tempo stesso a cui non si pensa mai nella quotidianità finchè non nasce un malessere.
La serie è interessante perchè il metodo viene applicato in modo pratico e si capisce che non è così difficile e ferreo in fondo. Lei sembra una fatina dei cartoni animati, non dà mai giudizi, lascia che i clienti decidano da soli cosa tenere e cosa buttare.
Varie persone che conosco, dopo aver guardato la serie, sono passate ai fatti. Insomma, girano un sacco di foto di cassetti e stanze sottosopra in questo periodo. Anch'io sto cercando di darmi da fare come ogni gennaio. Riorganizzare è il mio proposito costante per il nuovo anno perchè non basta farlo una volta l'anno, è un lavoro sempre in divenire, soprattutto con due bambini. Ieri ho organizzato tutti i loro vestiti, ma so già che fra tre mesi dovrò riconsiderare tutto, si ostinano a crescere a ritmo continuo e costante quei due. Poi fra tre mesi non riorganizzerò e la casa pian piano tornerà nel caos, in modo che a gennaio 2020 possa riprendere in mano il mio solito proposito. Va sempre così, è una delle poche certezze che mi rimangono.
Mi piace l'idea generale del KonMari, ma ho bisogno di farla un po' mia. Ad esempio: per me, per una serie di motivi, buttare è difficilissimo. Negli ultimi anni ho imparato a donare. L'idea che un oggetto che ho amato abbia una sua vita e aiuti qualcun altro dopo di me, mi consola e mi soddisfa, ma ci sono cose che non sono facili da piazzare. Mi sono resa conto di avere troppi asciugamani e cuscini, ad esempio. Mi hanno ingombrato l'armadio per anni finchè finalmente un mese fa non mi è venuto in mente di donarli al canile. Sono stati contentissimi loro e anch'io, soluzione perfetta, deve solo venirti in mente.
Ieri invece, ho deciso di buttare tutti i cibi scaduti. Il problema è che per prima cosa ho trovato un'intera confezione di Brioschi. Vi immaginate il divertimento a vederla frizzare per mezz'ora nell'acqua? Non potevo non farlo vedere ai bambini. E se aggiungessimo un colore? E se mischiassimo i colori primari? E se usassimo i contagocce e le siringhe e...il vulcano e i dinosauri! Altro che riorganizzare la cucina, è venuto fuori un delirio. Però è stato divertente e per me è la cosa più importante.
Ho fatto pace con il fatto che non sarò mai una persona organizzata e precisa, non fa parte di me, però so di avere bisogno di vivere in quella via di mezzo fra il caos e l'ordine che mi permette di non sentirmi sopraffatta. Quando intorno a me c'è troppo disordine, mi sento oppressa e non riesco nemmeno a pensare in modo lucido, mi viene l'ansia. Sembra un problema banale, ma non lo è.
Così continuo a lavorare su me stessa, ci provo almeno.
Marie Kondo nell'intervista raccontava essere svenuta per il troppo organizzare e di avere avuto un'illuminazione al risveglio.
Chissà, magari se smettessi di leggere, scrivere e guardare serie sull'organizzazione e mi mettessi a organizzare sul serio potrei avercela anch'io una qualche illuminazione.
L'organizzazione della casa è un argomento che mi interessa da quando Joe ha cominciato ad avere un paio d'anni e non riuscivo in nessun modo a buttare via o regalare le sue cose. Mi sono messa a studiare a fondo il problema con i suoi diversi approcci (ne ho scritto varie volte qui), ma tutta la ritualità del KonMari non mi attirava per niente. Quell'idea strampalata degli oggetti che dovrebbero sprizzare gioia, troppe regole e troppi precetti per i miei gusti. Non seguo alla lettera neanche le ricette di cucina, figuriamoci.
Poi un giorno per caso, ho ascoltato una lunga intervista a Marie Kondo (la trovate qui completa di transcript se vi interessa) e ho capito che c'é davvero qualcosa che merita riflessione nel suo messaggio. Ascoltare dalla sua voce -quando ancora non era un personaggio pubblico e dava pochissime interviste- come è nata e come si è evoluta la sua filosofia, che è legata fra l'altro allo scintoismo, mi ha fatto guardare oltre il fenomeno commerciale. La cosa che mi ha affascinato di più è il passaggio dall'ossessione minimalista di buttare via tutto all'idea opposta di concentrarsi sulla gioia che danno gli oggetti da tenere.
Si tratta di creare uno spazio in cui vivere che sia pieno di tutte quelle cose che ci fanno stare bene. E' un'idea semplice e geniale al tempo stesso a cui non si pensa mai nella quotidianità finchè non nasce un malessere.
La serie è interessante perchè il metodo viene applicato in modo pratico e si capisce che non è così difficile e ferreo in fondo. Lei sembra una fatina dei cartoni animati, non dà mai giudizi, lascia che i clienti decidano da soli cosa tenere e cosa buttare.
Varie persone che conosco, dopo aver guardato la serie, sono passate ai fatti. Insomma, girano un sacco di foto di cassetti e stanze sottosopra in questo periodo. Anch'io sto cercando di darmi da fare come ogni gennaio. Riorganizzare è il mio proposito costante per il nuovo anno perchè non basta farlo una volta l'anno, è un lavoro sempre in divenire, soprattutto con due bambini. Ieri ho organizzato tutti i loro vestiti, ma so già che fra tre mesi dovrò riconsiderare tutto, si ostinano a crescere a ritmo continuo e costante quei due. Poi fra tre mesi non riorganizzerò e la casa pian piano tornerà nel caos, in modo che a gennaio 2020 possa riprendere in mano il mio solito proposito. Va sempre così, è una delle poche certezze che mi rimangono.
Mi piace l'idea generale del KonMari, ma ho bisogno di farla un po' mia. Ad esempio: per me, per una serie di motivi, buttare è difficilissimo. Negli ultimi anni ho imparato a donare. L'idea che un oggetto che ho amato abbia una sua vita e aiuti qualcun altro dopo di me, mi consola e mi soddisfa, ma ci sono cose che non sono facili da piazzare. Mi sono resa conto di avere troppi asciugamani e cuscini, ad esempio. Mi hanno ingombrato l'armadio per anni finchè finalmente un mese fa non mi è venuto in mente di donarli al canile. Sono stati contentissimi loro e anch'io, soluzione perfetta, deve solo venirti in mente.
Ieri invece, ho deciso di buttare tutti i cibi scaduti. Il problema è che per prima cosa ho trovato un'intera confezione di Brioschi. Vi immaginate il divertimento a vederla frizzare per mezz'ora nell'acqua? Non potevo non farlo vedere ai bambini. E se aggiungessimo un colore? E se mischiassimo i colori primari? E se usassimo i contagocce e le siringhe e...il vulcano e i dinosauri! Altro che riorganizzare la cucina, è venuto fuori un delirio. Però è stato divertente e per me è la cosa più importante.
Ho fatto pace con il fatto che non sarò mai una persona organizzata e precisa, non fa parte di me, però so di avere bisogno di vivere in quella via di mezzo fra il caos e l'ordine che mi permette di non sentirmi sopraffatta. Quando intorno a me c'è troppo disordine, mi sento oppressa e non riesco nemmeno a pensare in modo lucido, mi viene l'ansia. Sembra un problema banale, ma non lo è.
Così continuo a lavorare su me stessa, ci provo almeno.
Marie Kondo nell'intervista raccontava essere svenuta per il troppo organizzare e di avere avuto un'illuminazione al risveglio.
Chissà, magari se smettessi di leggere, scrivere e guardare serie sull'organizzazione e mi mettessi a organizzare sul serio potrei avercela anch'io una qualche illuminazione.
giovedì 10 gennaio 2019
una cosa dovevo fare
Ieri Joe ha portato a casa un'altra pagella praticamente perfetta. Studente positivo e entusiasta che eccede in ogni materia, scrivono sempre. Ha da migliorare giusto il comportamento, ma non è che faccia chissà che, ha la testa troppo per aria e a volte si dimentica di essere in classe. Non sono riuscita a fargli dei grandi elogi. Il mio istinto è quasi di ignorare tutto questo. Non è che abbia un problema a dirgli 'bravo' in generale, anzi, è che glielo dico quando vedo che si impegna. La scuola per lui, per adesso almeno, è una passeggiata.
Mi ripetono che in qualche modo Joe è speciale da quando era piccolissimo e sento di doverlo proteggere da questa cosa, non accentuarla. A cosa serve essere "speciali" se non si è spensierati a otto anni? Lui è sempre stato così serio, riflessivo, non voglio che cominci anche a sentirsi in dovere di avere il voto più alto ogni volta. Non sono i bei voti a scuola che fanno un adulto sereno e questo, in fondo, è tutto quello che mi auguro per lui.
Ad ogni modo, la sua pagella perfetta aveva una pecca: due ritardi.
Una cosa dovevo fare.
Mi ripetono che in qualche modo Joe è speciale da quando era piccolissimo e sento di doverlo proteggere da questa cosa, non accentuarla. A cosa serve essere "speciali" se non si è spensierati a otto anni? Lui è sempre stato così serio, riflessivo, non voglio che cominci anche a sentirsi in dovere di avere il voto più alto ogni volta. Non sono i bei voti a scuola che fanno un adulto sereno e questo, in fondo, è tutto quello che mi auguro per lui.
Ad ogni modo, la sua pagella perfetta aveva una pecca: due ritardi.
Una cosa dovevo fare.
martedì 8 gennaio 2019
la teoria dell'autista
Una delle cose migliori in assoluto del piccolo viaggio in California che abbiamo fatto alla fine dell'anno, è stata parlare con gli sconosciuti. Ognuno ci ha aiutato a capire meglio qualcosa da un punto di vista ogni volta diverso e unico e ci ha fatto divertire o ci ha aiutato. Il surfista de La Jolla, l'uomo d'affari canadese che passava le feste con l'ex moglie e l'attuale marito, l'ex calciatore ex cabarettista al momento autista e scrittore di Manchester, tutti personaggi stupendi. Ce n'è stato uno però che mi è rimasto impresso in particolare.
Era l'ultimo giorno e lui era un autista Uber o Lyft, non ricordo. Ci ha accolti come dei vecchi amici ed è partito subito in quarta a raccontarci la storia fantastica e molto nebulosa di una strana signora, una giocatrice di poker professionista, che è salita in macchina e gli ha chiesto di andare a Las Vegas. Lui ha pensato al ristorante Las Vegas o qualcosa del genere, invece lei voleva andare proprio a Las Vegas in Nevada, che dista ore e ore di strada in mezzo al deserto da San Diego in California, dove ci trovavamo.
- Che dite? Ho fatto bene a rifiutare?
Beh sì dai, sembra la trama di un episodio di Breaking Bad e si sa cosa succedeva ai personaggi secondari.
- Già, forse è stato meglio così. Ma sapete che in realtà da quando faccio questo lavoro ho ritrovato la fiducia nel prossimo? Sembra incredibile, ma la gente non è pazza! Tu guardi le notizie e sembra che ci siano serial killer dietro a ogni angolo invece la maggior parte delle persone sono tranquille, normali, anche buone a volte.
In effetti, la gentilezza dei californiani lì a San Diego è speciale, ti fermi un attimo a ragionarci anche se vieni da un posto come il Texas in cui ti chiedono come stai tesoro? dieci volte al giorno.
Lui aveva una teoria a riguardo.
Secondo lui la gente fa uno sforzo notevole per andare oltre con la cortesia. Diceva che nei posti che frequenta abitualmente -bar, ristoranti, ecc. - adesso tendono a chiamarlo per nome, prima no.
Lui è convinto sia una reazione ai problemi che ci sono al confine e alla demonizzazione dei rifugiati portata avanti dall'attuale governo. A mezz'ora c'è Tijuana e le storie di chi è riuscito in qualche modo a passare da questa parte sono terribili.
L'autista diceva...non ne possiamo più. Vogliamo vivere in pace, non vogliamo vedere gente trattata in questo modo. C'è voglia di civiltà, di capire e di aiutare, di essere normali.
Mi piace la sua teoria e anche la sua idea di normalità e spero che sia come dice lui, anche se come al solito sembra sia necessario toccarle con mano queste realtà per empatizzare, non si può semplicemente credere che se queste persone accettano il rischio di un viaggio di questo tipo, non hanno altra scelta. A Dallas non mi sembra di vedere il cambio di atteggiamento di cui parlava lui, forse siamo troppo lontani dal confine per immedesimarci?
Era l'ultimo giorno e lui era un autista Uber o Lyft, non ricordo. Ci ha accolti come dei vecchi amici ed è partito subito in quarta a raccontarci la storia fantastica e molto nebulosa di una strana signora, una giocatrice di poker professionista, che è salita in macchina e gli ha chiesto di andare a Las Vegas. Lui ha pensato al ristorante Las Vegas o qualcosa del genere, invece lei voleva andare proprio a Las Vegas in Nevada, che dista ore e ore di strada in mezzo al deserto da San Diego in California, dove ci trovavamo.
- Che dite? Ho fatto bene a rifiutare?
Beh sì dai, sembra la trama di un episodio di Breaking Bad e si sa cosa succedeva ai personaggi secondari.
- Già, forse è stato meglio così. Ma sapete che in realtà da quando faccio questo lavoro ho ritrovato la fiducia nel prossimo? Sembra incredibile, ma la gente non è pazza! Tu guardi le notizie e sembra che ci siano serial killer dietro a ogni angolo invece la maggior parte delle persone sono tranquille, normali, anche buone a volte.
In effetti, la gentilezza dei californiani lì a San Diego è speciale, ti fermi un attimo a ragionarci anche se vieni da un posto come il Texas in cui ti chiedono come stai tesoro? dieci volte al giorno.
Lui aveva una teoria a riguardo.
Secondo lui la gente fa uno sforzo notevole per andare oltre con la cortesia. Diceva che nei posti che frequenta abitualmente -bar, ristoranti, ecc. - adesso tendono a chiamarlo per nome, prima no.
Lui è convinto sia una reazione ai problemi che ci sono al confine e alla demonizzazione dei rifugiati portata avanti dall'attuale governo. A mezz'ora c'è Tijuana e le storie di chi è riuscito in qualche modo a passare da questa parte sono terribili.
L'autista diceva...non ne possiamo più. Vogliamo vivere in pace, non vogliamo vedere gente trattata in questo modo. C'è voglia di civiltà, di capire e di aiutare, di essere normali.
Mi piace la sua teoria e anche la sua idea di normalità e spero che sia come dice lui, anche se come al solito sembra sia necessario toccarle con mano queste realtà per empatizzare, non si può semplicemente credere che se queste persone accettano il rischio di un viaggio di questo tipo, non hanno altra scelta. A Dallas non mi sembra di vedere il cambio di atteggiamento di cui parlava lui, forse siamo troppo lontani dal confine per immedesimarci?
Intanto il governo è chiuso da 17 giorni perchè il congresso rifiuta di approvare i fondi per costruire il famigerato muro di Trump. In questo momento ci sono milioni di lavoratori federali obbligati a lavorare senza paga da prima di Natale, tanti si stanno mettendo in malattia, i musei sono chiusi, i parchi nazionali si stanno riempiendo di spazzatura e Trump vuole andare avanti a oltranza perchè dice che tenere i criminali, i terroristi e gli stupratori sudamericani fuori di qui è l'unica vera emergenza. Poco importa se poi in realtà i terroristi arrivino comodamente in aereo e alle frontiere ci siano più che altro famiglie che spontaneamente si consegnano alle forze dell'ordine per chiedere asilo.
lunedì 7 gennaio 2019
il triceratopo che tutte le feste porta via
Non so cosa significhi, ma la notte prima della Befana ho sognato che fosse la festa della mamma.
Ad ogni modo, la Befana ha portato a Woody un piccolo triceratopo. Alla fine della giornata questo triceratopo aveva perso due corni su tre.
- Woody sai cosa è successo al triceratopo?
- Non lo so.
- Per caso l'hai rotto?
- È stato un mostro.
- Davvero? L'hai visto tu?
- Sì era a casa nostra. Prima era sul tetto poi era sul soffitto e poi ha preso il triceratopo e l'ha rotto.
- E di che colore era questo mostro?
- Verde.
- Era grande? Chissà che paura...
- No era piccolo, piccolissimo. Faceva la cacca e la pipì dappertutto.
- Era un mostro appena nato?
- Sì. Ero piccolissimo e non avevo neanche il pannolino.
- Tu?
- Sì!
- Ma per caso l'hai rotto tu il triceratopo?
- Sì, ma quando ero piccolissimo. Mamma!
- Dimmi.
- Tu sei così bella!
Ad ogni modo, la Befana ha portato a Woody un piccolo triceratopo. Alla fine della giornata questo triceratopo aveva perso due corni su tre.
- Woody sai cosa è successo al triceratopo?
- Non lo so.
- Per caso l'hai rotto?
- È stato un mostro.
- Davvero? L'hai visto tu?
- Sì era a casa nostra. Prima era sul tetto poi era sul soffitto e poi ha preso il triceratopo e l'ha rotto.
- E di che colore era questo mostro?
- Verde.
- Era grande? Chissà che paura...
- No era piccolo, piccolissimo. Faceva la cacca e la pipì dappertutto.
- Era un mostro appena nato?
- Sì. Ero piccolissimo e non avevo neanche il pannolino.
- Tu?
- Sì!
- Ma per caso l'hai rotto tu il triceratopo?
- Sì, ma quando ero piccolissimo. Mamma!
- Dimmi.
- Tu sei così bella!
Lui dice "SO beautifold", sbatte le ciglia e io mi sciolgo definitivamente.
Fine del triceratopo che com'è noto, tutte le feste porta via.
Fine del triceratopo che com'è noto, tutte le feste porta via.
domenica 6 gennaio 2019
la befana
- È quasi Natale!
- Woody, mi spiace, purtroppo Natale è passato.
- È finito?
- Sì.
- Lo voglio indietro.
- Ormai è passato, non si può.
- Dai, solo altri cinque minuti! Pleeease!
- Cinque minuti di cosa?
- Di Natale! Pleeease!
- Woody, mi spiace, purtroppo Natale è passato.
- È finito?
- Sì.
- Lo voglio indietro.
- Ormai è passato, non si può.
- Dai, solo altri cinque minuti! Pleeease!
- Cinque minuti di cosa?
- Di Natale! Pleeease!
La Befana conta un po' come cinque minuti in più di Natale, no? Joe però lo ha avvertito: Woody comincia a parlare italiano altrimenti la Befana pensa che sei americano e non ti porta un bel niente.
sabato 5 gennaio 2019
il piccione e il magone
Ieri mi è tornato in mente un episodio piuttosto curioso di un paio d'anni fa, una scena tipo quella di un sogno.
Ero in un edificio bellissimo e in quel momento semi-deserto, progettato da un grande architetto. Osservavo una vetrata altissima che dà su un patio con delle piccole cascate d'acqua e degli alberi. Naso per aria, immersa nei miei pensieri, a un tratto sento un tonfo. Un piccione si era schiantato contro la vetrata. Non l'ha vista, poveraccio, e ci si è spiaccicato sopra, che ne sapeva lui. E' finito a terra stecchito come in un cartone animato.
Sono rimasta impietrita con un enorme nodo in gola. Alle mie spalle è partita una risata fragorosa, amplificata dal rimbombo del corridoio vuoto. Il tipo ha chiamato quello che ho immaginato fosse suo figlio per farsi quattro risate insieme alle spalle di quello scemo del piccione.
Ecco, io posso capire che se fosse davvero un cartone animato o una barzelletta, ci sarebbe da ridere, ma diamine. Quando sono tornata in quell'edificio oggi dopo tutto questo tempo e mi è tornato in mente il piccione svampito, ho sentito lo stesso nodo in gola.
Il mondo va cosí, quelli che si sbellicano dalle risate e quelli che hanno il magone più o meno perenne. Però sono convinta che quelli con il magone più o meno perenne conoscano un livello di gioia e di amore superiore. Per forza.
venerdì 4 gennaio 2019
kundera e noi
Verso la fine de L'Insostenibile leggerezza dell'essere, Kundera scrive questo:
"Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi. A seconda del tipo di sguardo sotto il quale vogliamo vivere, potremmo essere suddivisi in quattro categorie.
La prima categoria desidera lo sguardo di un numero infinito di occhi anonimi: in altri termini, desidera lo sguardo di un pubblico. E’ il caso del cantante tedesco, dell’attrice americana e anche del redattore con il mento grosso. [...]
La seconda categoria è composta da quelli che per vivere hanno bisogno dello sguardo di molti occhi a loro conosciuti. [...] Si tratta degli instancabili organizzatori di cocktail e di cene. Essi sono più felici delle persone della prima categoria le quali, quando perdono il pubblico, hanno la sensazione che nella sala della loro vita si siano spente le luci. Succede, una volta o l’altra, quasi a tutti. Le persone della seconda categoria, invece, quegli sguardi riescono a procurarseli sempre. [...]
C’è poi la terza categoria, la categoria di quelli che hanno bisogno di essere davanti agli occhi della persona amata. La loro condizione è pericolosa quanto quella degli appartenenti alla prima categoria. Una volta o l’altra gli occhi della persona amata si chiuderanno e nella sala ci sarà il buio. [...]
E c’è infine una quarta categoria, la più rara, quella di coloro che vivono sotto lo sguardo immaginario di persone assenti. Sono i sognatori."
La seconda categoria è composta da quelli che per vivere hanno bisogno dello sguardo di molti occhi a loro conosciuti. [...] Si tratta degli instancabili organizzatori di cocktail e di cene. Essi sono più felici delle persone della prima categoria le quali, quando perdono il pubblico, hanno la sensazione che nella sala della loro vita si siano spente le luci. Succede, una volta o l’altra, quasi a tutti. Le persone della seconda categoria, invece, quegli sguardi riescono a procurarseli sempre. [...]
C’è poi la terza categoria, la categoria di quelli che hanno bisogno di essere davanti agli occhi della persona amata. La loro condizione è pericolosa quanto quella degli appartenenti alla prima categoria. Una volta o l’altra gli occhi della persona amata si chiuderanno e nella sala ci sarà il buio. [...]
E c’è infine una quarta categoria, la più rara, quella di coloro che vivono sotto lo sguardo immaginario di persone assenti. Sono i sognatori."
Ognuno sa perfettamente a quale categoria appartiene, giusto? Ne ero convinta. Quando ne ho parlato con alcune persone che mi sono molto vicine però sono venute fuori delle grosse sorprese. Chi metteva in dubbio la premessa, chi sfuggiva le categorie, chi aveva un'immagine di sè completamente diversa da quella che avevano gli altri.
Voi che ne pensate? Tutto questo discorso mi ha affascinato molto, è passato diverso tempo da quando ho finito il libro, eppure ci penso spesso.
giovedì 3 gennaio 2019
maturità
Museo affollatissimo. Perdo di vista Woody e per non rischiare, chiedo subito aiuto al personale. Lo ritrovano dopo cinque minuti di orologio, neanche il tempo di agitarsi per bene. La signora mentre mi accompagna da lui, si raccomanda: "Non lo sgridi, è stato bravissimo!".
Piccolo Woody, tre anni, si perde nel museo (o io mi distraggo e lo perdo...). Vede delle persone con la maglia del museo, dice "Mi sono perso", si siede accanto a loro e mi aspetta.
Sgridarlo? È più maturo di me.
Piccolo Woody, tre anni, si perde nel museo (o io mi distraggo e lo perdo...). Vede delle persone con la maglia del museo, dice "Mi sono perso", si siede accanto a loro e mi aspetta.
Sgridarlo? È più maturo di me.
mercoledì 2 gennaio 2019
studiare il napoletano
Arrivati all'ultima puntata de L'Amica Geniale è successa una cosa fantastica. Mr. J si è convinto di capire il napoletano. Gli dico "ma guarda che ti sembra di capirlo perché ci sono i sottotitoli". Ma va' è facilissimo. Così facile che non esiste una versione senza sottotitoli. Adesso si è messo a studiare il napoletano. Mi spiega regole grammaticali e etimologia delle parole. Tutto interessantissimo per carità, ma un americano che ti spiega il napoletano, è davvero uno spettacolo inconsueto.
E comunque quando l'altra sera non ho capito il cabarettista di Houston, non mi sono nemmeno sognata di mettermi a studiare lo houstonese.
Lui è così, deve vederci chiaro.
E comunque quando l'altra sera non ho capito il cabarettista di Houston, non mi sono nemmeno sognata di mettermi a studiare lo houstonese.
Lui è così, deve vederci chiaro.
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