In questi giorni si e' parlato molto del ventennale della puntata di Ellen in cui la protagonista, Ellen stessa appunto, ammetteva di essere lesbica. Correva l'anno 1997 e all'epoca non avevo assolutamente capito il significato di questo avvenimento. Guardavo Ellen qualche volta distrattamente pensando fosse un programma su una donna buffa e simpaticissima. Il fatto che fosse anche gay non mi faceva impressione. Nella mia ingenuita', gli Stati Uniti erano cosi' avanti.
Tutti siamo cresciuti con i Robinson (The Cosby Show), ad esempio, amando i personaggi e le storie, ma senza farci domande su quanto fosse rivoluzionario quel programma per il solo fatto di mostrare una famiglia agiata e senza particolari problemi, ma nera invece che bianca. I Robinson, pero' non sentivano mai nessuna discriminazione nei loro confronti, non parlavano dei problemi della societa'. Vivevano in un paese che di fatto non esisteva, ma io bambina dall'altra parte del mondo, non lo sapevo. Vi racconto un piccolissimo aneddoto per farvi capire il distacco fra televisione e realta' in quegli anni.
Un amico americano mi ha raccontato che mentre guardava i Robinson da piccolo, suo nonno una volta spense la televisione con rabbia dicendo In casa mia, non entrano negri.
E' strano, ma quel mio amico fino a quel momento era cresciuto guardando i Robinson e pensando di vivere esattamente nello stesso paese che immaginavo io dall'altra parte del mondo.
La sveglia suona per tutti purtroppo e la mia suono' moltissimi anni dopo rispetto alla sua.
Per aggiungere una nota di ottimismo, vi dico che il nonno in questione nel giro di una decina d'anni rinnego' completamente quella brutta uscita e accolse amici e parenti acquisiti di ogni colore e nazionalita' senza nessun fastidio, anzi con enorme curiosita' e voglia di capire. Insomma si', cambio' idea.
Nel 1997, mai avrei immaginato che Ellen avesse ricevuto minacce di morte e avesse rischiato di non lavorare piu' per aver dichiarato di essere omosessuale in un telefilm che oltretutto non avevo idea fosse autobiografico.
Il coraggio di questa donna, adesso che ho capito come sono andate realmente le cose, mi commuove profondamente.
In questo momento Ellen e' uno dei personaggi piu' amati degli Stati Uniti, uno di quei pochissimi che riescono simpatici a tutti. Da molti anni, conduce uno di quei programmi pomeridiani che non causano nessuna controversia particolare. Non ho mai guardato una puntata intera, ma da quanto ho capito si tratta soprattutto di sano divertimento e anche un po' di beneficienza. Ellen e' milionaria, ma esprime una semplicita' e un senso dell'umorismo intelligente che sembra incontrino i gusti di ogni eta' e ceto sociale. Qualche anno fa, ha perfino presentato gli Oscar, l'edizione piu' divertente che ricordi. Pero' ha rischiato, ha rischiato tutto, anche la sua stessa vita per affermare pubblicamente la sua verita' e per lanciare questo suo messaggio di uguaglianza. Un gesto, il suo, che ha fatto progredire un'intera societa' e che ha salvato molte vite.
Dove siamo oggi, dopo vent'anni.
Ecco riflettevo su tutto questo perche' a volte mi sembra che le parti si siano completamente invertite. Ho un'amica lesbica qui, forse e' un caso un po' estremo, ma indicativo. Lei lavora in un'azienda che vende prodotti agricoli, qui in Texas. E' single, ha due bambini e di fatto vive nella menzogna. Sul posto di lavoro lascia credere di essere eterosessuale, e' convinta che se scoprissero la verita', le renderebbero la vita impossibile e a lei questo lavoro serve disperatamente. Non so se esageri, ma mi racconta episodi che mi farebbero propendere per il no. Dice che durante la campagna elettorale, ad esempio, il suo capo ha fatto una cosa scorrettissima, ha distribuito adesivi di Trump facendo battutacce che davano per scontato che tutti nell'ufficio condividessero le sue stesse idee politiche. Lei ha preso l'adesivo ed e' rimasta muta. Trump ha scelto come vicepresidente un uomo che crede nella cosiddetta terapia di coversione, quella che non ha nessuna base scientifica e che si ripropone di guarire i gay. Preciso che conosco altri gay qui che non vivono situazioni cosi' estreme, al contrario, ma diciamo che probabilmente in Texas e' piu' facile essere accettato come omosessuale se fai il parrucchiere e non il meccanico o il mandriano o almeno questa e' l'impressione.
D'altro canto, in Italia conosco diversi omosessuali ed e' tutta un'altra musica. Professionisti affermati che non hanno nessun timore a pubblicare foto di baci e di tenerezze esattamente come fanno tante coppie eterosessuali. Conosco perfino ragazze eterosessuali che pubblicano foto ambigue perche' evidentemente fa chic, per dire.
Di sicuro non e' cosi' ovunque in Italia. Mi rendo conto di aver preso due realta' agli antipodi. Milano e' una grande citta' molto aperta e i contadini texani, al contrario, pur con qualche eccezione, sono l'emblema del conservatorismo piu' bieco, pero' all'improvviso sembra davvero di stare tornando indietro.
Che paura.
domenica 30 aprile 2017
martedì 25 aprile 2017
voli poco pindarici
Ci credete che non riesco a guardare il video virale dello steward di AA che fa piangere la mamma con il bambino in braccio? Troppe brutte esperienze in questi anni di viaggi intercontinentali con i bambini. E una delle peggiori è stata proprio con uno steward AA. Joe era piccolo, ero da sola, su un volo interno, dovevo andare in bagno e non c'era spazio. Ho aperto la porta, ho guardato dentro e ho pensato "dove metto il bambino?". Lo steward era lì, mi è sembrato naturale chiedergli se poteva tenermelo un secondo. Non discuto il rifiuto. Magari ci sono regole, qualcosa che non so che gli impediva di farmi questo piccolo favore. Discuto il modo. A una domanda fatta con il sorriso, ha risposto testualmente (è testuale perché l'avevo scritto in un post):
- Cosa? Vuoi che ti tenga il bambino? Io non tengo bambini e sai perché? Perché non sono miei.
In altre situazioni altri si sono offerti di aiutarmi senza nemmeno che lo chiedessi, ma questo tipo di esperienze sono quelle che ti rimangono più impresse e ti segnano non perché siano tragiche, ma perché denotano una mancanza di empatia a cui sei completamente impreparato. Nella vita di tutti i giorni la gente sorride ai bambini, negli aeroporti invece li investe con le valige come fossero birilli se va di fretta. Idem con i malati o gli anziani. È come se il sottotesto sia: se non sei perfettamente indipendente non devi viaggiare, è colpa tua che ti sei messo in questa situazione e adesso ti arrangi, ma è assurdo. Tutti hanno diritto di poter viaggiare e di farlo in modo dignitoso. Spero che grazie a tutte queste denunce qualcosa cambi prima o poi.
lunedì 24 aprile 2017
il costo delle medicine
E niente. Sto per buttare questa medicina, ma volevo salutarla come si deve. Mi ha dato delle emozioni che non scorderò facilmente. Soprattutto il momento in cui la farmacista mi ha detto "Sono 310 dollari" come se fosse la cosa più normale del mondo. Me lo sono fatto ripetere. Me lo sono fatto anche scrivere, avevo capito bene. Possibile che non ci sia una versione generica? No. Cosa fai? Hai il bambino che sta male, non gli compri la medicina (se puoi)? La compri. "Guardi che è molto amara, le consiglio di farla dolcificare". Ok, altri 3 dollari. Ma sì abbiamo fatto 30, facciamo 31.
Fortunatamente è stato un equivoco e alla fine non ho dovuto pagare quella cifra folle di tasca mia, ma ho avuto un assaggio di una situazione in cui non vorrei trovarmi di nuovo. La cosa che più mi fa infuriare però è che mi hanno venduto due bottiglie. Il medico ha prescritto meno di una bottiglia e loro me ne hanno vendute due, uno spreco inutile. Perché? Perché mi hanno venduto il doppio della medicina a quel prezzo sapendo che avrei dovuto buttarla? Immagino non sia colpa del farmacista, ma è comunque allucinante. Vorrei poterla riportare indietro e che la regalassero al prossimo bambino che ne ha bisogno e non può comprarla. Ma purtroppo non funziona così.
venerdì 21 aprile 2017
l'importanza dello scambio culturale e del piano C
Negli ultimi mesi una delle mie classi ha collaborato
con una classe di una scuola elementare
italiana per un progetto comune. Abbiamo tutti separatamente letto un libro e poi creato immagini e scritto poesie basate su quel libro. E' stata un'esperienza splendida e oggi finalmente dovevamo vederci via Skype. Una videochiamata pianificata nei minimi dettagli, mica facile, anche solo per le sette ore di fuso orario. Era un'occasione unica perche' la loro scuola era eccezionalmente aperta di sera. Oggi o mai piu'. Il collega che si intende di computer mi ha spiegato subito che era necessario collegare il computer a uno schermo in modo che tutti vedessero bene e che ci voleva assolutamente anche un microfono con tutte quelle persone nella stessa stanza. "Ma non ti preoccupare, lo porto io!". Ieri sera ha tirato fuori il microfono per ricordarsi di portarlo e stamattina ha scoperto che durante la notte il suo simpatico gatto lo ha masticato tutto distruggendolo. Il tempo di recuperare un altro microfono, tirare un sospiro di sollievo e arriva un'email. Guasto tecnico: oggi non funziona ne' internet ne' i telefoni in tutta la scuola. Capirete che lavoro in quella scuola da dieci anni e non e' mai successa una cosa simile, pensavo fosse uno scherzo. Che tempismo. Dopo tanta preparazione, la videochiamata e' stata fatta dal mio telefono, la qualita' non era certo il massimo, ma e' stato davvero bello per i bambini vedersi, sentirsi, riconoscersi. Non do mai consigli ai miei studenti tranne quello di viaggiare e se non possono viaggiare fisicamente fare il possibile per conoscere il mondo attraverso un museo, un libro, una conversazione o quello che c'e' senza perdere le occasioni che capitano, come questa ad esempio.
con una classe di una scuola elementare
italiana per un progetto comune. Abbiamo tutti separatamente letto un libro e poi creato immagini e scritto poesie basate su quel libro. E' stata un'esperienza splendida e oggi finalmente dovevamo vederci via Skype. Una videochiamata pianificata nei minimi dettagli, mica facile, anche solo per le sette ore di fuso orario. Era un'occasione unica perche' la loro scuola era eccezionalmente aperta di sera. Oggi o mai piu'. Il collega che si intende di computer mi ha spiegato subito che era necessario collegare il computer a uno schermo in modo che tutti vedessero bene e che ci voleva assolutamente anche un microfono con tutte quelle persone nella stessa stanza. "Ma non ti preoccupare, lo porto io!". Ieri sera ha tirato fuori il microfono per ricordarsi di portarlo e stamattina ha scoperto che durante la notte il suo simpatico gatto lo ha masticato tutto distruggendolo. Il tempo di recuperare un altro microfono, tirare un sospiro di sollievo e arriva un'email. Guasto tecnico: oggi non funziona ne' internet ne' i telefoni in tutta la scuola. Capirete che lavoro in quella scuola da dieci anni e non e' mai successa una cosa simile, pensavo fosse uno scherzo. Che tempismo. Dopo tanta preparazione, la videochiamata e' stata fatta dal mio telefono, la qualita' non era certo il massimo, ma e' stato davvero bello per i bambini vedersi, sentirsi, riconoscersi. Non do mai consigli ai miei studenti tranne quello di viaggiare e se non possono viaggiare fisicamente fare il possibile per conoscere il mondo attraverso un museo, un libro, una conversazione o quello che c'e' senza perdere le occasioni che capitano, come questa ad esempio.
Sono convinta che la maggior parte dei problemi che affliggono questa societa' si sbriciolerebbero grazie alla semplice conoscenza reciproca.
In questo senso apprezzo molto il lavoro che sta portando avanti il Dallas Museum of Art, il nostro museo principale. All'inizio dell'anno hanno inaugurato una bella mostra sull'arte Messicana e fra poco ne apriranno un'altra sull'arte islamica. E ci sono sempre code, segno che la gente gradisce e ha voglia di aprirsi al nuovo e ancora di piu' di capire il diverso anche quaggiu' in Texas.
Comunque, la vera lezione di oggi e' avere sempre non solo un piano B, ma perfino un piano C perche' -Murphy insegna- se qualcosa puo' andare storto, lo fara'.
giovedì 20 aprile 2017
il tallonatore
Ci chiedevamo tutti solo un'unica cosa... perche'? Che cosa avevano cercato di comunicare con quella parola? Cosa era andato cosi' terribilmente storto nella traduzione?
Dopo un paio di giorni, il colpo di scena.
Non era un errore. Hooker e' un termine del rugby, indica il tallonatore. La cosa buffa e' che l'unica ad accorgersene e' stata un'amica italiana. E' stranissimo pensare che persone che parlano la stessa lingua possano non capirsi fino a questo punto. L'americano e l'inglese sono due cose leggermente diverse in effetti.
Resta il fatto che questa bella camicia negli Stati Uniti e' meglio lasciarla nell'armadio.
mercoledì 19 aprile 2017
cose difficili e belle
Un po' di tempo fa mio padre mi raccontava di aver riletto "Il gabbiano Jonathan Livingston" di Richard Bach e così è venuta voglia di rileggerlo anche a me. Ho deciso di rileggerlo insieme a Joe, un paio di pagine a sera prima di andare a dormire. Credo di averlo letto alle elementari la prima volta, così mi è sembrato appropriato. Anche perché quando Joe aveva tre anni abbiamo letto insieme il Pinocchio originale di Collodi senza figure, ora ne ha sei... Le difficoltà le ho avute io. Siamo arrivati a tutti quei discorsi altamente filosofici, la vita, la morte, la solitudine, l'abbandono, la reincarnazione...E ho vigliaccamente cominciato a proporgli altri libri ogni sera pensando che si sarebbe dimenticato presto del gabbiano Jonathan e che ci sarebbe tornato su fra qualche anno per conto suo. E invece stasera, dopo un mesetto che non lo toccavamo, mi ha chiesto se leggevamo "il libro del pellicano". Si parlava del concetto di perfezione, la perfezione che raggiungi solo se sei pienamente dentro al momento che stai vivendo e che ti fa superare lo spazio e il tempo. Abbiamo ragionato insieme, lui più che altro ascoltava. Ci siamo dati la buonanotte su questa immagine meravigliosa di Jonathan che finalmente ha un'illuminazione su come superare le barriere spazio-temporali, apre gli occhi e si ritrova su una spiaggia alberata, in uno strano posto dove in un cielo verde brillano due astri gemelli...Chissà che bei sogni starà facendo.
lunedì 17 aprile 2017
per esempio
Per esempio. C'è un famosissimo presentatore televisivo della Fox, un canale estremamente amato dalla destra, che è in mezzo a uno scandalo enorme. Lui si chiama Bill O'Reilly, se volete cercarvelo. Diverse donne lo hanno accusato di molestie sessuali e lui le ha pagate (la CNN dice 13 milioni di dollari) per mettere a tacere la cosa. Gli sponsor delle sue trasmissioni si sono ritirati uno dopo l'altro. Si parla di grandi compagnie, ne hanno parlato tutti qui. Nessuno vuole avere nulla a che fare con questo individuo dalla condotta quantomeno discutibile.
Ecco, Trump l'ha difeso.
Si è esposto al punto da affermare che il tizio è una brava persona e "non ha fatto nulla di male".
Mah... Ma Trump come fa a saperlo? A pochi fa impressione una cosa del genere in questo momento, ma è veramente una di quelle che ti lasciano a bocca aperta.
Chissà che senso ha.
Chissà che cosa ha quest'uomo nel cervello.
Ecco, Trump l'ha difeso.
Si è esposto al punto da affermare che il tizio è una brava persona e "non ha fatto nulla di male".
Mah... Ma Trump come fa a saperlo? A pochi fa impressione una cosa del genere in questo momento, ma è veramente una di quelle che ti lasciano a bocca aperta.
Chissà che senso ha.
Chissà che cosa ha quest'uomo nel cervello.
domenica 16 aprile 2017
a pasqua...
Sappiamo tutti che quando si vive all'estero qualunque festa comandata e' a rischio malinconia e quest'anno qua siamo davvero soli soli. Joe si e' ammalato e abbiamo dovuto cancellare tutti i piani. E' una giornata un po' grigia, forse piovera'. Ma prima leggevo il pensiero di un'amica che e' in Italia, sta bene, ma e' sola lo stesso per altri motivi e mi sono resa conto che non siamo per niente soli noi. In fondo siamo noi quattro insieme, dopo magari apriremo le uova italiane in diretta skype come ogni anno, mangeremo qualcosa di buono, faremo la caccia alle uova all'americana. Ieri sera, abbiamo perfino fatto la caccia alle uova fosforescenti al buio. I bimbi si sono divertiti tantissimo. Volevo fare qualcosa di speciale perche' avevo paura che fossero tristi essendo costretti a casa da soli e invece sono contentissimi loro. La malinconia e' roba da grandi.
Buona Pasqua.
Buona Pasqua.
giovedì 13 aprile 2017
come non far diventare tuo figlio razzista per sbaglio
Qualche giorno fa ho ascoltato un podcast che parlava di come non far diventare tuo figlio razzista per sbaglio, interessantissimo. A introdurre l'argomento era una danese sposata con un uomo di colore, che trasferitasi qui negli Stati Uniti, come me ha cominciato a notare diverse stranezze. Prima di tutto che gli americani raramente nominano schiavi e diritti civili e se lo fanno e' un po' come se parlassero dei greci o dei romani, di storie vecchie e superate e tu che vieni dall'Europa rimani basito: ma come? Era l'altro ieri. Esistono ancora persone che ricordano perfettamente la vita sotto le leggi Jim Crow (le leggi razziali abolite nel 1965), ogni giorno vengono commessi crimini a sfondo razziale di qualunque tipo, dagli omicidi compiuti dalla polizia al pazzo che due anni fa e' entrato in una chiesa di Charleston in South Carolina e ha fatto fuori nove persone semplicemente perche' non gli piaceva il colore della loro pelle. E poi tutte quelle piccole discriminazioni della vita quotidiana. I bambini neri che vengono sospesi piu' di quelli bianchi, i mutui che non vengono accesi, i curricula che vengono cestinati se presentano un nome afroamericano (qui era dove spiegavo questo fatto dei nomi inventati), il razzismo c'e' e se si ha un minimo di umanita', indipendentemente dal proprio colore, lo si sente credo.
Insomma, questa esperta sosteneva che bisogna assolutamente che si parli di questi temi in famiglia a partire dai tre-quattro anni e questo non mi ha sorpreso. Quello che mi ha sorpreso e allarmato e' invece il fatto che spiegava che diversi studi hanno dimostrato che se non si parla di questi temi, o anche se se ne parla poco e in modo vago come fa la maggior parte dei genitori, c'e' un'alta probabilita' che i nostri figli prendano questo atteggiamento come una sorta di opinione in se': non parliamo di loro perche' sono diversi, non ci interessano. E cosi' sono piu' inclini a bersi le schifezze che vanno tanto in voga ultimamente e che sentono tutti i santi giorni per bocca del presidente in persona (che adesso stanno addirittura pensando di incriminare per incitazione alla violenza) e dei suoi soci (proprio ieri il suo portavoce ha negato che Hitler abbia mai usato armi chimiche 'contro la sua stessa gente').
Non e' possibile svicolare, a quanto pare bisogna parlare e parlare tanto. Tirare fuori l'argomento anche di proposito (difficilissimo, ci penso da una settimana e non l'ho ancora fatto...) e entrare nei dettagli perfino delle sfumature dei colori della pelle.
Noi adulti diciamo bianchi e neri, ad esempio, ma un bambino giustamente ti fa subito notare che in giro ci sono piu' che altro tante tonalita' di marrone e rosa. Come la mettiamo?
Ho parlato di tutto questo con Mr. J, ma lui non drammatizza. Abbiamo affrontato il tema del razzismo con Joe quando se ne e' presentata l'occasione, raramente direi, ma lui non pensa che stiamo sbagliando. Mi ha detto:
- Figurati! Uno dei suoi migliori amichetti ha la pelle scura, gioca con tutti, sta gia' capendo come funzionano le cose, non preoccuparti.
Secondo il podcast (che gli ho subito chiesto di ascoltare), lui starebbe cadendo esattamente nell'errore piu' comune che si fa in questi casi, quello di evitare l'argomento.
Veniva spiegato, infatti, che soprattutto per gli americani bianchi, a causa della storia recente del paese, a prescindere dalle opinioni in merito, generalmente e' imbarazzante parlare del colore della pelle degli altri. Sono cresciuti con quest'idea ed e' difficile estirparla, quindi e' un circolo vizioso.
E poi c'e' un altro fatto. Va bene, Joe ha tanti amici di tutti i colori a scuola, ma noi?
La verita' e' che abbiamo ottimi amici afroamericani, ma vivono lontano. Abbiamo amici latinos o di altre minoranze qui, ma pochissimi conoscenti di colore e nessuno cosi' in confidenza da averci mai invitato o venire a casa nostra. Viviamo e lavoriamo in ambienti quasi interamente bianchi. Anche questo agli occhi di un bambino significhera' qualcosa, no? In fondo contano i fatti.
I libri che studiavo quando pensavamo di adottare un bambino nero (sapevamo il colore perche' ci eravamo trovati nella stramba situazione di sceglierlo dato che erano quelli che avevano piu' difficolta' a trovare una famiglia) dicevano fondamentalmente la stessa cosa, che la famiglia adottiva deve impegnarsi per crescere il bambino circondato da modelli positivi del suo stesso colore e ci si riferiva non solo ad amici, ma perfino a medici e insegnanti se possibile per non creare false impressioni di preferenze e supportare un concetto concreto di uguaglianza.
Eppure riflettevo sui miei dieci anni qui. Le persone di colore che ho avuto la possibilita' di conoscere sono state (le poche in realta') mamme che ho incontrato al parco o all'asilo. Ci ho provato a essere amichevole quando e' capitato, ma nulla, non sono mai scattate affinita' particolari, non e' che posso dire a un essere umano vieni a casa mia cosi' mio figlio non diventa razzista per sbaglio.
Prima guardavo un programma in cui parlavano del cosiddetto barber shop, la bottega del barbiere e mi e' venuta in mente quella volta in cui ci ho portato Joe (qui il post). Non ricordo bene come ando'. Avevo una mezz'ora di tempo, vidi un barbiere, Joe aveva bisogno di un taglio di capelli e mi sembro' logico andarci.
Io non lo sapevo all'epoca, ma il barber shop e' un luogo chiave per gli afroamericani. Loro si ritrovano li' e parlano, si esprimono liberamente, sono a loro agio.
Appena entrai sentii di essere in un posto che non mi apparteneva. Ero l'unica donna e l'unica bianca, ma piu' di tutto, mi colpi' il fatto che il barbiere taglio' i capelli a Joe con una cura infinita, ci mise cosi' tanto tempo che lui si addormento' con la testa fra le sue mani, ma non gli disse una parola e non gli sorrise se non forse un attimo alla fine. Quando Mr. J venne a prenderci fu ancora peggio, in un secondo nel negozio calo' il silenzio, facce lunghe, tensione. Chissa' -mi chiedo adesso- forse pensarono che fosse un poliziotto, del resto era completamente fuori luogo li' dentro.
Solo una persona come me che non conosce certe regole del posto, avrebbe potuto andare al barber shop con tale nonchalance. Un texano bianco, ho imparato dopo grazie a questa esperienza, non lo fa, e' vista come una mancanza di rispetto, credo, un'invasione di campo, un autoinvito. Una di quelle cose che proprio no.
Mr. J, trovandosi suo malgrado in quella bizzarra situazione, cerco' di essere piu' gentile possibile, provo' a fare due chiacchiere e si fece anche tagliare i capelli, ma quella sensazione di disapprovazione immotivata mi e' rimasta sempre addosso come una delle piu' spiacevoli di cui abbia mai fatto esperienza.
Essere trattati diversamente e non sentirsi accettati senza un motivo personale, ma per un qualcosa che va al di la' della tua singola persona e che fa parte della storia, antica o recente che sia, e' questo che ho provato quel giorno. Scommetto qualunque cosa che se avessimo parlato, se ci fossimo conosciuti anche in quel barber shop, si sarebbe subito rotto il ghiaccio, ma non credo che me ne sia stata data l'occasione.
E' per questo che mi preoccupo tanto: questo sistema di cose non ha senso e non mi importa se tanti pensano che esageri o non vedano il problema (c'e' perfino un'espressione per questo atteggiamento in americano, color blindness), io mi sento responsabile.
Voglio impegnarmi al massimo affinche' i miei figli facciano la loro parte per condurre questa societa' a essere un luogo migliore e piu' equo per tutti in futuro.
Insomma, questa esperta sosteneva che bisogna assolutamente che si parli di questi temi in famiglia a partire dai tre-quattro anni e questo non mi ha sorpreso. Quello che mi ha sorpreso e allarmato e' invece il fatto che spiegava che diversi studi hanno dimostrato che se non si parla di questi temi, o anche se se ne parla poco e in modo vago come fa la maggior parte dei genitori, c'e' un'alta probabilita' che i nostri figli prendano questo atteggiamento come una sorta di opinione in se': non parliamo di loro perche' sono diversi, non ci interessano. E cosi' sono piu' inclini a bersi le schifezze che vanno tanto in voga ultimamente e che sentono tutti i santi giorni per bocca del presidente in persona (che adesso stanno addirittura pensando di incriminare per incitazione alla violenza) e dei suoi soci (proprio ieri il suo portavoce ha negato che Hitler abbia mai usato armi chimiche 'contro la sua stessa gente').
Non e' possibile svicolare, a quanto pare bisogna parlare e parlare tanto. Tirare fuori l'argomento anche di proposito (difficilissimo, ci penso da una settimana e non l'ho ancora fatto...) e entrare nei dettagli perfino delle sfumature dei colori della pelle.
Noi adulti diciamo bianchi e neri, ad esempio, ma un bambino giustamente ti fa subito notare che in giro ci sono piu' che altro tante tonalita' di marrone e rosa. Come la mettiamo?
Ho parlato di tutto questo con Mr. J, ma lui non drammatizza. Abbiamo affrontato il tema del razzismo con Joe quando se ne e' presentata l'occasione, raramente direi, ma lui non pensa che stiamo sbagliando. Mi ha detto:
- Figurati! Uno dei suoi migliori amichetti ha la pelle scura, gioca con tutti, sta gia' capendo come funzionano le cose, non preoccuparti.
Secondo il podcast (che gli ho subito chiesto di ascoltare), lui starebbe cadendo esattamente nell'errore piu' comune che si fa in questi casi, quello di evitare l'argomento.
Veniva spiegato, infatti, che soprattutto per gli americani bianchi, a causa della storia recente del paese, a prescindere dalle opinioni in merito, generalmente e' imbarazzante parlare del colore della pelle degli altri. Sono cresciuti con quest'idea ed e' difficile estirparla, quindi e' un circolo vizioso.
E poi c'e' un altro fatto. Va bene, Joe ha tanti amici di tutti i colori a scuola, ma noi?
La verita' e' che abbiamo ottimi amici afroamericani, ma vivono lontano. Abbiamo amici latinos o di altre minoranze qui, ma pochissimi conoscenti di colore e nessuno cosi' in confidenza da averci mai invitato o venire a casa nostra. Viviamo e lavoriamo in ambienti quasi interamente bianchi. Anche questo agli occhi di un bambino significhera' qualcosa, no? In fondo contano i fatti.
I libri che studiavo quando pensavamo di adottare un bambino nero (sapevamo il colore perche' ci eravamo trovati nella stramba situazione di sceglierlo dato che erano quelli che avevano piu' difficolta' a trovare una famiglia) dicevano fondamentalmente la stessa cosa, che la famiglia adottiva deve impegnarsi per crescere il bambino circondato da modelli positivi del suo stesso colore e ci si riferiva non solo ad amici, ma perfino a medici e insegnanti se possibile per non creare false impressioni di preferenze e supportare un concetto concreto di uguaglianza.
Eppure riflettevo sui miei dieci anni qui. Le persone di colore che ho avuto la possibilita' di conoscere sono state (le poche in realta') mamme che ho incontrato al parco o all'asilo. Ci ho provato a essere amichevole quando e' capitato, ma nulla, non sono mai scattate affinita' particolari, non e' che posso dire a un essere umano vieni a casa mia cosi' mio figlio non diventa razzista per sbaglio.
Prima guardavo un programma in cui parlavano del cosiddetto barber shop, la bottega del barbiere e mi e' venuta in mente quella volta in cui ci ho portato Joe (qui il post). Non ricordo bene come ando'. Avevo una mezz'ora di tempo, vidi un barbiere, Joe aveva bisogno di un taglio di capelli e mi sembro' logico andarci.
Io non lo sapevo all'epoca, ma il barber shop e' un luogo chiave per gli afroamericani. Loro si ritrovano li' e parlano, si esprimono liberamente, sono a loro agio.
Appena entrai sentii di essere in un posto che non mi apparteneva. Ero l'unica donna e l'unica bianca, ma piu' di tutto, mi colpi' il fatto che il barbiere taglio' i capelli a Joe con una cura infinita, ci mise cosi' tanto tempo che lui si addormento' con la testa fra le sue mani, ma non gli disse una parola e non gli sorrise se non forse un attimo alla fine. Quando Mr. J venne a prenderci fu ancora peggio, in un secondo nel negozio calo' il silenzio, facce lunghe, tensione. Chissa' -mi chiedo adesso- forse pensarono che fosse un poliziotto, del resto era completamente fuori luogo li' dentro.
Solo una persona come me che non conosce certe regole del posto, avrebbe potuto andare al barber shop con tale nonchalance. Un texano bianco, ho imparato dopo grazie a questa esperienza, non lo fa, e' vista come una mancanza di rispetto, credo, un'invasione di campo, un autoinvito. Una di quelle cose che proprio no.
Mr. J, trovandosi suo malgrado in quella bizzarra situazione, cerco' di essere piu' gentile possibile, provo' a fare due chiacchiere e si fece anche tagliare i capelli, ma quella sensazione di disapprovazione immotivata mi e' rimasta sempre addosso come una delle piu' spiacevoli di cui abbia mai fatto esperienza.
Essere trattati diversamente e non sentirsi accettati senza un motivo personale, ma per un qualcosa che va al di la' della tua singola persona e che fa parte della storia, antica o recente che sia, e' questo che ho provato quel giorno. Scommetto qualunque cosa che se avessimo parlato, se ci fossimo conosciuti anche in quel barber shop, si sarebbe subito rotto il ghiaccio, ma non credo che me ne sia stata data l'occasione.
E' per questo che mi preoccupo tanto: questo sistema di cose non ha senso e non mi importa se tanti pensano che esageri o non vedano il problema (c'e' perfino un'espressione per questo atteggiamento in americano, color blindness), io mi sento responsabile.
Voglio impegnarmi al massimo affinche' i miei figli facciano la loro parte per condurre questa societa' a essere un luogo migliore e piu' equo per tutti in futuro.
venerdì 7 aprile 2017
sospiro
Questa mattina mentre accompagnavo Joe a scuola alla radio hanno cominciato a intervistare un medico che ha assistito le vittime dell'attacco chimico in Siria ed e' rimasto traumatizzato. Ho spento. Mi sembrava veramente un argomento troppo forte per Joe e forse anche per me. Ma lui mi ha chiesto subito di riaccendere, aveva capito che stessero intervistando Dr. Seuss, il suo scrittore preferito.
- Perche' hai spento? Voglio sapere cosa dice Dr. Seuss!
- Ma quello non era Dr. Seuss...
- E chi era?
- Un dottore che ha curato dei bambini che vivono in un paese dove c'e' la guerra.
- Ma i bambini non possono stare dove c'e' la guerra, e' troppo pericoloso!
- Perche' hai spento? Voglio sapere cosa dice Dr. Seuss!
- Ma quello non era Dr. Seuss...
- E chi era?
- Un dottore che ha curato dei bambini che vivono in un paese dove c'e' la guerra.
- Ma i bambini non possono stare dove c'e' la guerra, e' troppo pericoloso!
Sospiro.
lunedì 3 aprile 2017
can't stop the feeling
Stavo pensando che quando Joe aveva l'eta' di Woody lo mandavo all'asilo non solo quando lavoravo, ma anche una mattina in piu' per avere un po' di tempo per me stessa. Potrei fare lo stesso adesso, ma non lo faccio mai. Non riesco a separarmi da Woody, e' terribile. E di tempo per me infatti, non ne ho mai e mi manca da morire, ve lo confesso, ma mi manca di piu' lui quando non e' con me.
Tipo stamattina. Stavo guidando e canticchiando fra me e me. Senza pensarci schioccavo le dita a tempo. Ho dato un'occhiata allo specchietto retrovisore e ho visto Woody con i suoi riccioli da paperino che rideva e cercava di schioccare le dita allo stesso modo. Ho mosso la testa e ha mosso la testa anche lui, per lui era un nuovo gioco, copiare tutto quello che facevo. Cosi' abbiamo improvvisato una piccola coreografia sulle note di Can't Stop the Feeling perche' ci stava troppo e abbiamo riso un sacco.
Ecco ora capite? Sono in macchina di lunedi mattina e rido come una scema. Finisce la canzone e lui non riesce piu' a tenere gli occhi aperti dal sonno dopo tanta euforia.
Il fatto e' che quando Joe era piccolo non pensavo che il tempo corresse cosi' veloce, non come lo penso adesso almeno.
Tipo stamattina. Stavo guidando e canticchiando fra me e me. Senza pensarci schioccavo le dita a tempo. Ho dato un'occhiata allo specchietto retrovisore e ho visto Woody con i suoi riccioli da paperino che rideva e cercava di schioccare le dita allo stesso modo. Ho mosso la testa e ha mosso la testa anche lui, per lui era un nuovo gioco, copiare tutto quello che facevo. Cosi' abbiamo improvvisato una piccola coreografia sulle note di Can't Stop the Feeling perche' ci stava troppo e abbiamo riso un sacco.
Ecco ora capite? Sono in macchina di lunedi mattina e rido come una scema. Finisce la canzone e lui non riesce piu' a tenere gli occhi aperti dal sonno dopo tanta euforia.
Il fatto e' che quando Joe era piccolo non pensavo che il tempo corresse cosi' veloce, non come lo penso adesso almeno.
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