Allora. A Washington c'e' un'attivista per i diritti degli afroamericani, tale Rachel Dolezal, che a quanto pare, ha sempre fatto un ottimo lavoro. E' nera. Ci sono molte foto che la ritraggono con il padre, il marito e il figlio di colore e si e' dichiarata anche vittima di discriminazioni razziali.
C'e' solo un piccolo problema, sarebbe tutto falso. L'altro giorno, infatti, una coppia di bianchi ha dichiarato di essere molto preoccupata per la salute mentale della figlia Rachel, nota attivista per i diritti degli afroamericani, che finge da molti anni di essere di colore. La Dolezal avrebbe costruito un vero e proprio castello di bugie. Il presunto figlio sarebbe in realta' il fratello e il padre un impostore. E' tutto molto complesso e poco chiaro, ma avrebbe mentito a tutti.
La notizia e' stata riportata anche dai giornali italiani. Un titolo sembrava avere la soluzione dell'enigma in tasca: Si finge afroamericana per anni per diventare una leader della lotta dei diritti civili dei neri. E i commenti relativi a quell'articolo facevano sorridere per l'ingenuita'. La maggior parte non riuscivano ad andare oltre al fatto che una donna bionda, con le lentiggini e gli occhi chiari fosse riuscita a farsi credere nera.
In realta', come ho spiegato molte volte qui, non tutti i neri sono neri. E' un terreno molto scivoloso, ma e' cosi': ci sono afroamericani dalla carnagione chiara che si dichiarano neri senza sembrarlo e altri che scelgono di passare per bianchi tutta la vita.
Ma l'aspetto interessante della vicenda non e' se questa signora sia pazza, se abbia imbrogliato con un fine e che cosa le sia passato per la testa insomma, ma la reazione della societa' americana a tutto questo.
Il punto centrale del dibattito qui e' subito stato un altro:
perche' se una persona si sente nera, non puo' vivere da nera? Perche' se fa bene il suo lavoro dovrebbe essere penalizzata dall'essere di un colore rispetto a un altro? La nostra societa' non dovrebbe volare al di sopra di queste differenze e guardare alla persona in se'?E tantissimi si sono messi a paragonare Rachel Dolezal a Caitlin/Bruce Jenner, l'ex campione olimpico che proprio pochi giorni fa e' uscita allo scoperto come donna sulla copertina di Vanity Fair.
Devo dire che gia' la storia di Caitlin Jenner mi aveva fatto sentire molto felice di vivere in questo paese. L'idea che qualcuno faccia un gesto simile e venga supportato dall'opinione pubblica nel modo in cui lui lo e' stato, e' meravigliosa. La maggior parte dei commenti che ho letto sia di giornalisti che di persone comuni erano dalla sua parte. E' stato definito ovunque un eroe e un simbolo.
Ora. Anche il caso di Rachel Dolezal e' significativo, ma porta la discussione quasi al paradosso.
Cioe' io potrei dire di sentirmi un uomo asiatico a questo punto ed essere nel pieno diritto di essere trattata come tale? Non so cosa pensare, non ho un'idea, ma adoro il fatto che questo dibattito filosofico esista e che un sacco di gente si stia ponendo come me per la prima volta questo tipo di domande.
6 commenti:
Il punto non è "perché un bianco non possa fare l'attivista per i diritti degli AA", ma perché una persona si finga nera per farlo. Sono sicura che esistono persone che lottano per i diritti altrui anche senza appartenere al loro gruppo.
A me questa tipa ricorda Tania Head, altro che Jenner!
Se hai tempo, guarda l'interessante documentario su di lei "The woman who wasn't there", altrimenti in breve: http://www.dailymail.co.uk/femail/article-1054790/The-fantasist-9-11-The-story-Tania-Heads-escape-Twin-Towers-captivated-America-heroine-survivors--Just-problem--wasnt-day.html
meh. il caso di Caitlyn Jenner credo rientri in quella che viene chiamata disforia sessuale e, tecnicamente, e` una forma di disturbo psicologico, il cui trattamento consiste in una serie di interventi chirurgici e cure ormonali per modellare il corpo alla percezione che ne si ha (btw: in Germania, proprio perche` e` classificato come disturbo, la procedura o parte di essa viene passata da alcune krankenkasse). il tutto non e` ne' semplice, ne' indolore, ne' privo di traumi, ma, a quanto pare, il disagio di vivere con un corpo che non si riconosce come proprio e` tanto e tale che questa ordalia medica risulta preferibile. non stiamo parlando di affermazione di liberta`, stiamo parlando di cessazione di una sofferenza psicologica. quello che voglio dire e` che mi pare che l'opinione pubblica prenda questi casi alla leggera: non si tratta di gente che ha deciso di sentirsi donna o uomo, si tratta di persone che non riescono a sentirsi altrimenti e questo gli causa sofferenza.
ora, a meno che non esista qualcosa tipo "disforia culturale" (visto che quella che chiamaiamo "razza", dal punto di vista biologico, non esiste), direi che i due casi son profondamente diversi.
effettivamente la situazione è molto più complicata di quello che sembra ad una lettura superficiale. Le questioni sull'identità son sempre un gran casino :)
sai mia madre soleva ripetere il detto "el ladròn juzga por su condiciòn" e quando ho letto i titoli dei giornali che per l'appunto davano una chiave di lettura (peraltro plausibile, magari!) precisa, dentro di me pensavo: "ecco, questa è la spiegazione in cui ci si riconosce...in cui per noi c'è una logica che altrimenti ci sfugge".
Chissà qual è la verità.
Sono scoppiata a ridere, non di irrisione, ma di divertimento, di felicità. Che paese fantastico, così retrogrado e fascista, becero e provinciale e contemporaneamente così all'avanguardia, così cosmopolita, così aperto al possibile, alla discussione, all'inventarsi. Fantastico.
Mi piace molto il commento di MarKino, credo metta il tutto nella giusta prospettiva.
Poi, gli U.S. sono la terra in cui si nasce, cresce e invecchia sentendosi ripetere "You can be and do everything", quindi il dibattito ci sta tutto!
Alice lettrice
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