Vado nel mio negozio di scarpe preferito con in mano (cioe' sul telefono perche' me lo avevano mandato via email...) un buono sconto di quindici dollari scaduto da qualche settimana. In questo negozio come in tanti altri, la scadenza non importa, ma chiedo conferma alla commessa giusto per sicurezza e mi dice che invece no, da un paio di mesi non accettano piu' buoni sconto scaduti perche' c'era chi se ne approfittava e cercava di usare sconti scaduti da anni. Le dico scherzosamente va bene, ma guardi qui, ho appena avuto un bambino, mi sembra di avere una buona scusa per non essere venuta a usare il mio sconto, no?
Mi risponde che e' vero e che chiede subito al suo capo se si puo' fare un'eccezione. Comincio il mio giro fra gli scaffali e dopo un po' vengo raggiunta da un'altra commessa che mi dice che e' tutto a posto e posso usare il mio buono. Come al solito, quando hai uno sconto non trovi nulla che ti piace. Cerco e ricerco e alla fine mi imbatto in un paio di scarpe che possono andare, ma non c'e' il mio numero. Chiedo se possono dare un'occhiata in magazzino e mi dicono che quel numero non c'e', ma possono spedirmele a casa gratuitamente e arriveranno fra due giorni.
La cosa piu' bella in tutto questo e' stata l'espressione sbalordita della mia mamma.
Ci sono tanti pro e contro nel vivere qui o in Italia. Sulla gentilezza dei negozianti, pero' non c'e' davvero paragone, gli U.S. vincono a man bassa.
lunedì 22 giugno 2015
lunedì 15 giugno 2015
di caitlin jenner e rachel dolezal
Non pensavo di farlo cosi' presto, ma torno gia' sul tema del razzismo perche' e' successa una cosa davvero troppo interessante per ignorarla.
Allora. A Washington c'e' un'attivista per i diritti degli afroamericani, tale Rachel Dolezal, che a quanto pare, ha sempre fatto un ottimo lavoro. E' nera. Ci sono molte foto che la ritraggono con il padre, il marito e il figlio di colore e si e' dichiarata anche vittima di discriminazioni razziali.
C'e' solo un piccolo problema, sarebbe tutto falso. L'altro giorno, infatti, una coppia di bianchi ha dichiarato di essere molto preoccupata per la salute mentale della figlia Rachel, nota attivista per i diritti degli afroamericani, che finge da molti anni di essere di colore. La Dolezal avrebbe costruito un vero e proprio castello di bugie. Il presunto figlio sarebbe in realta' il fratello e il padre un impostore. E' tutto molto complesso e poco chiaro, ma avrebbe mentito a tutti.
La notizia e' stata riportata anche dai giornali italiani. Un titolo sembrava avere la soluzione dell'enigma in tasca: Si finge afroamericana per anni per diventare una leader della lotta dei diritti civili dei neri. E i commenti relativi a quell'articolo facevano sorridere per l'ingenuita'. La maggior parte non riuscivano ad andare oltre al fatto che una donna bionda, con le lentiggini e gli occhi chiari fosse riuscita a farsi credere nera.
In realta', come ho spiegato molte volte qui, non tutti i neri sono neri. E' un terreno molto scivoloso, ma e' cosi': ci sono afroamericani dalla carnagione chiara che si dichiarano neri senza sembrarlo e altri che scelgono di passare per bianchi tutta la vita.
Ma l'aspetto interessante della vicenda non e' se questa signora sia pazza, se abbia imbrogliato con un fine e che cosa le sia passato per la testa insomma, ma la reazione della societa' americana a tutto questo.
Il punto centrale del dibattito qui e' subito stato un altro:
Devo dire che gia' la storia di Caitlin Jenner mi aveva fatto sentire molto felice di vivere in questo paese. L'idea che qualcuno faccia un gesto simile e venga supportato dall'opinione pubblica nel modo in cui lui lo e' stato, e' meravigliosa. La maggior parte dei commenti che ho letto sia di giornalisti che di persone comuni erano dalla sua parte. E' stato definito ovunque un eroe e un simbolo.
Ora. Anche il caso di Rachel Dolezal e' significativo, ma porta la discussione quasi al paradosso.
Cioe' io potrei dire di sentirmi un uomo asiatico a questo punto ed essere nel pieno diritto di essere trattata come tale? Non so cosa pensare, non ho un'idea, ma adoro il fatto che questo dibattito filosofico esista e che un sacco di gente si stia ponendo come me per la prima volta questo tipo di domande.
Allora. A Washington c'e' un'attivista per i diritti degli afroamericani, tale Rachel Dolezal, che a quanto pare, ha sempre fatto un ottimo lavoro. E' nera. Ci sono molte foto che la ritraggono con il padre, il marito e il figlio di colore e si e' dichiarata anche vittima di discriminazioni razziali.
C'e' solo un piccolo problema, sarebbe tutto falso. L'altro giorno, infatti, una coppia di bianchi ha dichiarato di essere molto preoccupata per la salute mentale della figlia Rachel, nota attivista per i diritti degli afroamericani, che finge da molti anni di essere di colore. La Dolezal avrebbe costruito un vero e proprio castello di bugie. Il presunto figlio sarebbe in realta' il fratello e il padre un impostore. E' tutto molto complesso e poco chiaro, ma avrebbe mentito a tutti.
La notizia e' stata riportata anche dai giornali italiani. Un titolo sembrava avere la soluzione dell'enigma in tasca: Si finge afroamericana per anni per diventare una leader della lotta dei diritti civili dei neri. E i commenti relativi a quell'articolo facevano sorridere per l'ingenuita'. La maggior parte non riuscivano ad andare oltre al fatto che una donna bionda, con le lentiggini e gli occhi chiari fosse riuscita a farsi credere nera.
In realta', come ho spiegato molte volte qui, non tutti i neri sono neri. E' un terreno molto scivoloso, ma e' cosi': ci sono afroamericani dalla carnagione chiara che si dichiarano neri senza sembrarlo e altri che scelgono di passare per bianchi tutta la vita.
Ma l'aspetto interessante della vicenda non e' se questa signora sia pazza, se abbia imbrogliato con un fine e che cosa le sia passato per la testa insomma, ma la reazione della societa' americana a tutto questo.
Il punto centrale del dibattito qui e' subito stato un altro:
perche' se una persona si sente nera, non puo' vivere da nera? Perche' se fa bene il suo lavoro dovrebbe essere penalizzata dall'essere di un colore rispetto a un altro? La nostra societa' non dovrebbe volare al di sopra di queste differenze e guardare alla persona in se'?E tantissimi si sono messi a paragonare Rachel Dolezal a Caitlin/Bruce Jenner, l'ex campione olimpico che proprio pochi giorni fa e' uscita allo scoperto come donna sulla copertina di Vanity Fair.
Devo dire che gia' la storia di Caitlin Jenner mi aveva fatto sentire molto felice di vivere in questo paese. L'idea che qualcuno faccia un gesto simile e venga supportato dall'opinione pubblica nel modo in cui lui lo e' stato, e' meravigliosa. La maggior parte dei commenti che ho letto sia di giornalisti che di persone comuni erano dalla sua parte. E' stato definito ovunque un eroe e un simbolo.
Ora. Anche il caso di Rachel Dolezal e' significativo, ma porta la discussione quasi al paradosso.
Cioe' io potrei dire di sentirmi un uomo asiatico a questo punto ed essere nel pieno diritto di essere trattata come tale? Non so cosa pensare, non ho un'idea, ma adoro il fatto che questo dibattito filosofico esista e che un sacco di gente si stia ponendo come me per la prima volta questo tipo di domande.
domenica 14 giugno 2015
nonni e nonni
Se e' perfettamente appurato che non tutti tengono a diventare genitori, e' altrettanto appurato che quasi tutti a una certa eta', vogliono fare i nonni. Lo dico perche' i piccoli Johnson hanno schiere di pretendenti: nonni e bisnonni veri e acquisiti, amici di famiglia e insegnanti che fanno viaggi per vederli, gli comprano giocattoli, li viziano, gli scrivono lettere e pretendono di essere chiamati nonni o come si usa qui Mimi, Cici, Pa Pa, ecc. Pero' poi ti accorgi che e' proprio un gioco. La verita' e' che dopo un pomeriggio con i bambini, un paio d'ore a dir tanto, la maggior parte dei nonni, non ne puo' piu'. Amano l'idea di essere nonni, ma non poi cosi' tanto sorbirsi i nipoti con tutti i lati negativi che la realta' comporta (funzioni corporali, capricci, notti insonni, impossibilita' di spegnerli...).
Ecco, in questo la Nonna Squalo e' davvero una voce fuori dal coro. Quando le togli un nipotino per farla riposare un attimo, ti sembra quasi di farle un torto.
La Nonna Squalo viene dall'altra parte del mondo per vedere i suoi nipoti e non per modo di dire. 24 ore su 24 sempre con loro.
Gioca, canta, coccola, fa qualsiasi cosa per loro e con loro. Non sta ferma neanche a legarla.
Ecco, in questo la Nonna Squalo e' davvero una voce fuori dal coro. Quando le togli un nipotino per farla riposare un attimo, ti sembra quasi di farle un torto.
La Nonna Squalo viene dall'altra parte del mondo per vedere i suoi nipoti e non per modo di dire. 24 ore su 24 sempre con loro.
Gioca, canta, coccola, fa qualsiasi cosa per loro e con loro. Non sta ferma neanche a legarla.
giovedì 11 giugno 2015
l'incidente di mckinney
McKinney e' una cittadina qui vicino. Forse per questo l'incidente del poliziotto Rambo che viene chiamato a risolvere una banale lite durante una festa di ragazzini (quasi tutti di colore) e dopo una rocambolesca entrata in capriola finisce per puntare la pistola e bloccare una pericolosissima quindicenne in bikini sedendocisi sopra, mi ha colpito tanto. Avrebbero potuto essere i miei studenti, i figli dei miei vicini di casa.
Mi ha colpito la violenza, il sessismo, il razzismo e soprattutto la stupidita' che poteva facilmente causare ancora una volta la morte di qualche innocente (come spiega Steven W Thresher nell'editoriale piu' appassionato che abbia mai letto su un giornale come il Guardian).
La notizia ha fatto subito il giro del mondo e la condanna e' stata pressoché unanime. L'agente e' stato definito indifendibile dai suoi stessi colleghi e alla fine si e' dimesso. Ha poi spiegato attraverso il suo avvocato di aver agito in maniera avventata perche' ancora sconvolto dopo essere intervenuto sulla scena di un suicidio e di un tentato suicidio quello stesso giorno.
Umanamente lo si puo' anche capire al limite - io mi sconvolgo per molto meno - ma se scegli di fare quel mestiere devi avere i nervi piu' saldi del cittadino comune, altrimenti non ha senso, peggiori solo le situazioni.
A me e' sembrato, leggendo quella dichiarazione dell'avvocato, che il poliziotto non si rendesse conto di far parte della storia di questa societa'. E' un momento molto particolare, contrassegnato da enormi tensioni razziali e le ragioni personali -ho avuto una giornata no- in una prospettiva simile contano zero perche' la tua cosiddetta giornata no ora come ora, puo' scatenare una rivolta senza precedenti, basti pensare a Ferguson.
Poche settimane fa, a Waco, sempre qui in Texas, due bande di motociclisti si sono affrontate in pieno giorno, davanti a un ristorante affollato, uccidendosi a vicenda. Nove morti. Anche quella notizia ha oltrepassato i confini nazionali, ma la polizia e' intervenuta in modo completamente diverso. Nelle foto che giravano ovunque si vedevano questi pericolosi energumeni accusati di omicidio seduti tranquillamente ad aspettare che li portassero via senza nemmeno le manette, quasi annoiati. Quindi tu che osservi, e nel mio caso da molto vicino, hai questa sensazione netta e avvilente di ingiustizia: la polizia si accanisce con una violenza spaventosa contro degli adolescenti neri a una festa in piscina in un quartiere residenziale perche' teme per la propria incolumita', ma tratta questi motociclisti bianchi, assassini dalla pistola ancora fumante con i guanti, li lascia perfino liberi con in mano cellulare a giocare per ingannare il tempo.
In questo paese, e in Texas sicuramente piu' che altrove, c'e' un problema razziale, e' evidente, ma qualcuno si ostina a non vedere.
martedì 9 giugno 2015
dare un nome alle cose
Gli americani a volte sono un po' strani. Puo' darsi che si offendano se gli fai una domanda sulla politica o sulla religione, ma poi magari ti raccontano esperienze personali privatissime senza nessun tipo di pudore. Mi e' successo molte volte, anche con persone che non conoscevo bene o addirittura in ambito lavorativo. Nessun problema a tirar fuori volontariamente le proprie dipendenze, arresti, molestie subite, esaurimenti nervosi, fantasie di suicidio. Sembra non esistere un argomento che non si possa affrontare in tutta normalità e scioltezza.
Un giorno, in ospedale, dopo aver avuto Woody, ero piena di dolori e avevo anche la febbre alta. E mi sentivo inconsolabilmente triste. E piangevo, come una fontana. Senza pensare a niente o capire perche' o potermi fermare. In quel momento e' entrata un'infermiera a controllarmi, anziana, un po' accigliata. Non si e' scomposta per niente.
- Ascoltami bene, honey. Ci sono un paio di cose che devi sapere adesso. E' normalissimo nella tua situazione sentirsi triste e avere voglia di piangere. Si chiamano baby blues e passano e non c'e' niente di cui preoccuparsi. Ma fai attenzione. Se invece ti senti incapace di prenderti cura del tuo bambino, se non riesci nemmeno a prenderlo in braccio o a cambiargli un pannolino, devi cercare subito aiuto. Questi sono i segni della depressione post parto.
Beh, mi ha aiutato. Con il suo pragmatismo ha riportato tutto in una dimensione di normalità e mi ha rassicurato. Il messaggio per come l'ho interpretato io era: in entrambi i casi, e' tutto sotto controllo.
Parlare chiaro e dare un nome alle cose aiuta sempre.
Parlare chiaro e dare un nome alle cose aiuta sempre.
giovedì 4 giugno 2015
il turbinoso arrivo di woody
Si sente sempre dire: il giorno piu' bello della mia vita e' stato quello in cui mi sono sposato o quello in cui e' nato mio figlio. Ecco. Sono felicemente sposata, ho due figli adesso, eppure se penso a un ipotetico giorno piu' bello della mia vita, ammesso che ci sia, mi vengono in mente soprattutto giorni normali, in cui non e' successo nulla di speciale. Quelli in cui hai il tempo di guardarti intorno e assaporare la tua vita, cosa che, devo ammettere, un po' mi manca in questo periodo.
Woody e' nato pochi giorni fa e certo, il momento in cui l'ho visto per la prima volta, e' stato fortissimo, indimenticabile e perfetto, ma la verita' e' che quasi tutto quello che c'e' stato prima e anche dopo e' stato ed e' ancora, piuttosto difficile. In tutta la vita, non credo di aver mai sofferto tanto fisicamente e per quanto tu possa essere razionale e determinato e straentusiasta di una situazione, che tra l'altro hai desiderato con tutte le tue forze, dopo un po' succede che dal corpo il malessere passi allo spirito. E' fatale forse, mettiamoci anche gli ormoni impazziti. Ti manca l'energia, hai cosi' tante limitazioni che praticamente tutto quello che amavi fare prima ti e' precluso. Ci vuole tanta pazienza, una qualita' di cui non sono mai stata molto provvista purtroppo.
Eppure quando nasce un bambino, si dice mamma e bambino stanno bene e sembra sempre finisca tutto li', come nelle favole. Una specie di e vissero felici e contenti prima che tutto cada nell'oblio.
Allora, vado un po' controcorrente e vi racconto come qualche volta vanno davvero le cose.
Quando e' nato Joe, c'e' stato un grande problema durante il parto. Ho rischiato grosso, ma non lo sapevo prima e l'incoscienza mi ha aiutato ad affrontare la situazione. Questa volta invece, e' stata tutta un'altra storia. Mi hanno spiegato che succede molto raramente, ma per mia immensa (s)fortuna, ho avuto di nuovo lo stesso identico problema e con rischi perfino piu' gravi essendo la seconda volta. Quello che mi faceva piu' impressione nelle ultime settimane prima del parto era il modo in cui mi parlavano i medici. Non erano mai di fretta. Mi chiamavano anche a casa e mi spiegavano tutto nei minimi dettagli. Le visite potevano durare intere ore ed ero sempre io a decidere quando era abbastanza. Non so come funzioni in Italia o nemmeno se sia normale qui, ma il problema in questo mio caso particolare, era che toccava a me, una volta compresi i rischi, decidere che tipo di intervento volevo. Ho sentito mille pareri, ma era proprio uno di quei casi in cui non c'e' solo un modo di operare oppure, come disse una volta il mio fantastico e super rassicurante ginecologo asiatico traducendo letteralmente dalla sua lingua credo, there is not just one way to kill a chicken, non c'e' un solo modo di uccidere una gallina.
Dopo essere finita in ospedale un mese prima del parto, dal mio lettuccio, a riposo forzato, ho cominciato a fare dei pensieri strani. Sulla mia sopravvivenza, soprattutto. Anche in questo caso, come con Joe, sapevo che il rischio era tutto mio e che il bimbo stava bene e questo mi aiutava moltissimo, certo, ma sostenere tutte quelle conversazioni su quanti litri di sangue avrei potuto perdere e su cosa era andato storto alle madri che prima di me non ce l'avevano fatta, mi aveva provato emotivamente. Alla fine avevo scelto la strada che diminuiva al minimo il mio rischio di perdere la vita, ma che portava con se' tanti altri rischi, come quello di tornare in sala operatoria dopo qualche giorno o perfino di subire qualche danno permanente.
Il giorno dell'operazione le infermiere mi dicevano che un caso come il mio capitava si e' no una volta l'anno e che mi portavano da un'altra parte ed era tutto un po' diverso. Tutto lo staff venne a salutarmi e a presentarsi, dalle infermiere, all'anestesista. A un certo punto, nell'attesa di iniziare, il mio medico, quello della gallina, mi prese lungamente la mano nel tentativo di darmi conforto. Un comportamento talmente fuori dal suo personaggio che ottenne il risultato opposto di darmi perfettamente la misura dei pericoli a cui stavo andando incontro.
Ad operazione iniziata, Mr. Johnson era li' con me e io stavo bene, ero serena, vigile e non avevo nessun dolore. Dopo pochissimi minuti, abbiamo sentito il pianto di Woody. Davvero si', uno dei singoli momenti piu' esaltanti della nostra vita. E poi, nello stupore generale, un'operazione che si pensava sarebbe dovuta durare ore e' finita quasi subito, o almeno questa e' stata la mia percezione. E' andato tutto nel modo migliore possibile. Non e' successo niente di tutto quello che avevamo paventato. Non mi sono mai sentita tanto fortunata nella vita, e' stato incredibile, surreale, un sogno ad occhi aperti.
Questo di solito e' il momento che dicevamo, quello in cui il padre esce dalla sala operatoria e dice "mamma e bambino stanno bene" e cala il sipario perche' e' arrivato il lieto fine. Pero' siccome non e' una favola e nella realta' raramente vissero tutti felici e contenti e basta, sono successe tante altre cose. Per quanto sia andata molto meglio del previsto, l'operazione non era comunque una passeggiata. Oltretutto, uscita dall'ospedale mi sono beccata una febbre alta che non si sapeva da dove arrivasse e tanti altri problemucci che dopo due settimane stanno solo cominciando a migliorare.
Mi sono fatta un'idea sul perche' di tutto questo. Credo che il mio corpo stesse continuando a mandarmi chiari segnali di smettere di fare bambini. Lui non sapeva che il messaggio era gia' stato ampiamente recepito.
Adesso siamo in questa fase un po' complicata di stupore e meraviglia permanente per questo secondo essere perfetto e sublime che e' entrato a fare parte delle nostre vite e tante altre cose meno piacevoli. Le preoccupazioni per la sua salute fisica (niente di grave, era un po' prematuro e ha perso un po' piu' peso del previsto) e per le enormi insicurezze di Joe condite da un mio livello di energia bassissimo per affrontare tutto questo nel modo piu' pieno e sereno.
Chissa' forse e' il mio destino quello di avere sempre un qualche rimpianto, ma in questo caso, mi sarebbe davvero piaciuto godere di piu' di tutto questo, a partire dalla gravidanza e poi tutto quello che e' venuto dopo. Avrei voluto che gli ultimi mesi fossero stati un po' meno difficili e angoscianti, ma e' andata cosi'. Anzi. E' andata benissimo comunque.
Mi viene in mente quello che dice sempre una mia amica in carriera, con tre figli piccoli e mille impegni. Qualunque cosa ci possa capitare di brutto o doloroso, guarderemo sempre a questi anni e a questi giorni, come i piu' belli della nostra vita.
Woody e' nato pochi giorni fa e certo, il momento in cui l'ho visto per la prima volta, e' stato fortissimo, indimenticabile e perfetto, ma la verita' e' che quasi tutto quello che c'e' stato prima e anche dopo e' stato ed e' ancora, piuttosto difficile. In tutta la vita, non credo di aver mai sofferto tanto fisicamente e per quanto tu possa essere razionale e determinato e straentusiasta di una situazione, che tra l'altro hai desiderato con tutte le tue forze, dopo un po' succede che dal corpo il malessere passi allo spirito. E' fatale forse, mettiamoci anche gli ormoni impazziti. Ti manca l'energia, hai cosi' tante limitazioni che praticamente tutto quello che amavi fare prima ti e' precluso. Ci vuole tanta pazienza, una qualita' di cui non sono mai stata molto provvista purtroppo.
Eppure quando nasce un bambino, si dice mamma e bambino stanno bene e sembra sempre finisca tutto li', come nelle favole. Una specie di e vissero felici e contenti prima che tutto cada nell'oblio.
Allora, vado un po' controcorrente e vi racconto come qualche volta vanno davvero le cose.
Quando e' nato Joe, c'e' stato un grande problema durante il parto. Ho rischiato grosso, ma non lo sapevo prima e l'incoscienza mi ha aiutato ad affrontare la situazione. Questa volta invece, e' stata tutta un'altra storia. Mi hanno spiegato che succede molto raramente, ma per mia immensa (s)fortuna, ho avuto di nuovo lo stesso identico problema e con rischi perfino piu' gravi essendo la seconda volta. Quello che mi faceva piu' impressione nelle ultime settimane prima del parto era il modo in cui mi parlavano i medici. Non erano mai di fretta. Mi chiamavano anche a casa e mi spiegavano tutto nei minimi dettagli. Le visite potevano durare intere ore ed ero sempre io a decidere quando era abbastanza. Non so come funzioni in Italia o nemmeno se sia normale qui, ma il problema in questo mio caso particolare, era che toccava a me, una volta compresi i rischi, decidere che tipo di intervento volevo. Ho sentito mille pareri, ma era proprio uno di quei casi in cui non c'e' solo un modo di operare oppure, come disse una volta il mio fantastico e super rassicurante ginecologo asiatico traducendo letteralmente dalla sua lingua credo, there is not just one way to kill a chicken, non c'e' un solo modo di uccidere una gallina.
Dopo essere finita in ospedale un mese prima del parto, dal mio lettuccio, a riposo forzato, ho cominciato a fare dei pensieri strani. Sulla mia sopravvivenza, soprattutto. Anche in questo caso, come con Joe, sapevo che il rischio era tutto mio e che il bimbo stava bene e questo mi aiutava moltissimo, certo, ma sostenere tutte quelle conversazioni su quanti litri di sangue avrei potuto perdere e su cosa era andato storto alle madri che prima di me non ce l'avevano fatta, mi aveva provato emotivamente. Alla fine avevo scelto la strada che diminuiva al minimo il mio rischio di perdere la vita, ma che portava con se' tanti altri rischi, come quello di tornare in sala operatoria dopo qualche giorno o perfino di subire qualche danno permanente.
Il giorno dell'operazione le infermiere mi dicevano che un caso come il mio capitava si e' no una volta l'anno e che mi portavano da un'altra parte ed era tutto un po' diverso. Tutto lo staff venne a salutarmi e a presentarsi, dalle infermiere, all'anestesista. A un certo punto, nell'attesa di iniziare, il mio medico, quello della gallina, mi prese lungamente la mano nel tentativo di darmi conforto. Un comportamento talmente fuori dal suo personaggio che ottenne il risultato opposto di darmi perfettamente la misura dei pericoli a cui stavo andando incontro.
Ad operazione iniziata, Mr. Johnson era li' con me e io stavo bene, ero serena, vigile e non avevo nessun dolore. Dopo pochissimi minuti, abbiamo sentito il pianto di Woody. Davvero si', uno dei singoli momenti piu' esaltanti della nostra vita. E poi, nello stupore generale, un'operazione che si pensava sarebbe dovuta durare ore e' finita quasi subito, o almeno questa e' stata la mia percezione. E' andato tutto nel modo migliore possibile. Non e' successo niente di tutto quello che avevamo paventato. Non mi sono mai sentita tanto fortunata nella vita, e' stato incredibile, surreale, un sogno ad occhi aperti.
Questo di solito e' il momento che dicevamo, quello in cui il padre esce dalla sala operatoria e dice "mamma e bambino stanno bene" e cala il sipario perche' e' arrivato il lieto fine. Pero' siccome non e' una favola e nella realta' raramente vissero tutti felici e contenti e basta, sono successe tante altre cose. Per quanto sia andata molto meglio del previsto, l'operazione non era comunque una passeggiata. Oltretutto, uscita dall'ospedale mi sono beccata una febbre alta che non si sapeva da dove arrivasse e tanti altri problemucci che dopo due settimane stanno solo cominciando a migliorare.
Mi sono fatta un'idea sul perche' di tutto questo. Credo che il mio corpo stesse continuando a mandarmi chiari segnali di smettere di fare bambini. Lui non sapeva che il messaggio era gia' stato ampiamente recepito.
Adesso siamo in questa fase un po' complicata di stupore e meraviglia permanente per questo secondo essere perfetto e sublime che e' entrato a fare parte delle nostre vite e tante altre cose meno piacevoli. Le preoccupazioni per la sua salute fisica (niente di grave, era un po' prematuro e ha perso un po' piu' peso del previsto) e per le enormi insicurezze di Joe condite da un mio livello di energia bassissimo per affrontare tutto questo nel modo piu' pieno e sereno.
Chissa' forse e' il mio destino quello di avere sempre un qualche rimpianto, ma in questo caso, mi sarebbe davvero piaciuto godere di piu' di tutto questo, a partire dalla gravidanza e poi tutto quello che e' venuto dopo. Avrei voluto che gli ultimi mesi fossero stati un po' meno difficili e angoscianti, ma e' andata cosi'. Anzi. E' andata benissimo comunque.
Mi viene in mente quello che dice sempre una mia amica in carriera, con tre figli piccoli e mille impegni. Qualunque cosa ci possa capitare di brutto o doloroso, guarderemo sempre a questi anni e a questi giorni, come i piu' belli della nostra vita.
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