Una mia amica fa l'insegnante in Italia e mi ha raccontato che la sua collega di arte ha fatto un lavoro bellissimo. Allora le ho chiesto di mandarmi qualche foto, e' molto piu' semplice vedere che spiegare tutto il procedimento via whatsapp. E qui e' successa una cosa strana: lei ha dovuto chiedere il permesso alla collega e la collega alla preside. Tutto questo per fotografare dei disegni e non dei bambini. Mi e' sembrato un eccesso di privacy, per cosi' dire. Non e' mia abitudine, ma vedo che qui gli insegnanti pubblicano tranquillamente tutto, anche le foto dei bambini a meno che non abbiano richiesto in modo esplicito di non essere fotografati all'inizio dell'anno.
Ad ogni modo, da questo e' nato qualcosa di positivo perche' la preside, a quel punto, ha avuto un'idea: avviare uno scambio culturale fra una delle loro classi in Italia e una delle mie qui in Texas.
Il motivo per cui vi racconto tutto questo e' che credo che la mia preside ne sara' entusiasta, quando glielo raccontero', ma a lei o al resto dei miei colleghi non sarebbe mai e poi mai venuto in mente. Ci manda a fare un sacco di corsi di aggiornamento, ma in tutti questi anni, non ho mai sentito parlare di mediazione culturale in nessun modo. Eppure abbiamo avuto diversi bambini che sono arrivati da altri paesi e che all'inizio non parlavano nemmeno inglese. Mi da' l'idea di essere semplicemente una di quelle cose di cui non si parla perche' "non ce n'e' bisogno". Come se fosse ovvio che ci sia rispetto e integrazione per tutti. Ma e' proprio cosi'?
Suppongo, da quello che ho visto qui e li', che un bambino rumeno o albanese in Italia, possa avere piu' difficolta' con i compagni e perfino con qualche insegnante forse, rispetto a un bambino messicano o cinese qui, pero' la realta' fuori dalla scuola, come tanti fatti di cronaca dimostrano, non e' necessariamente cosi' rosea (v. Ferguson, Missouri). Io credo che parlare di certi temi in classe, non sia mai superfluo e che dare per scontato che tutti sappiano e tutti condividano determinati valori possa essere un grave rischio.
Me ne sono resa conto proprio io stessa l'anno scorso e per questo ho apportato dei cambiamenti al mio programma. Ve l'ho raccontato, a un certo punto ho avuto la sensazione che alcuni bambini apprezzassero molto quando si parlava dell'arte del loro paese d'origine o che altri si sentissero in qualche modo a disagio con la rappresentazione dei loro tratti somatici o di un'idea di bellezza magari un po' distante dai canoni a cui siamo abituati in classe (facciamo per lo piu' arte occidentale, Europa e Stati Uniti). Quando all'inizio dell'anno ho chiesto a tutte le classi se qualcuno fosse nato in un paese fuori dall'Europa o dagli Stati Uniti, c'e' stato un bambino che ha mentito e anche altri che non mi sono sembrati particolarmente felici di condividere quest'informazione. Le questioni e il razzismo esistono ovunque, i bambini lo sentono, anche solo indirettamente. L'approccio italiano mi piace di piu': parlarne sempre e sforzarsi di trovare modi creativi per farlo attraverso attivita', laboratori, scambi culturali e quant'altro.
La mia esperienza, quando dico Italia in questo post, e' per lo piu' Milano. So che e' una grande citta' e che di sicuro nel piccolo paesino sperduto a nord o a sud non si faranno tutti questi laboratori multiculturali e discorsi sull'integrazione. Pero' anche Dallas e' una grande citta', eppure di tutto questo non ho mai sentito parlare. Quello che si comincia a fare nelle grandi citta' poi di solito, dopo qualche anno, arriva anche piu' lontano, ma se nessuno comincia, si rimane sempre fermi. Non mi importa se sono l'unica nella mia scuola: visto che ho la liberta' di farlo io vado avanti anche qui per questa strada, usando la storia dell'arte per far passare valori importanti.
La scuola deve preparare prima di tutto alla vita.
3 commenti:
Non so se può aiutarti o darti in qualche modo la misura di quello che si fa qua, ma in classe con i miei figli ci sono bambini di varie nazionalità, comunitari ed extracomunitari. Quello che ho sempre apprezzato è che non si cerca di negare le differenze nè culturali nè somatiche, ma di mettere l'accento su ciò che c'è di bello e positivo o comunque di cercare di insegnare che "il mondo è bello perchè è vario". Le maestre lo fanno con alcune iniziative curate dal comune e da altri enti e con cose spicciole, minime, tipo la mamma giapponese che va a rappresentare in lingua e musica una storia tradizionale all'asilo o il babbo rumeno che intaglia per i bimbi il legno come faceva il suo nonno.
Non sono iniziative faraoniche, ma avvicinano.
C'è da dire però che dove vivo io non c'è alcun tipo di allarme sociale, non è una grande città ma un tranquillo paese in cui certe forme subdole di razzismo, che pure ci sono, possono trovare orecchie se sussurrate, non se espresse ad alta voce.
Del resto questa è la stessa esperienza che ebbero più di 60 anni fa i miei nonni arrivati dalla Sicilia, loro comprarono della terra, lavorarono duramente e furono sempre ben accolti e circondati dall'affetto dei più, Mai sentito dire di una partcolare difficoltà o di un clima meno che sereno, la discriminazione caso mai era tra contadini e borghesi. Certo i miei nonni ci misero del loro, ma questo credo sia scontato
Non mi importa se sono l'unica nella mia scuola: visto che ho la liberta' di farlo io vado avanti anche qui per questa strada, usando la storia dell'arte per far passare valori importanti.
Hai detto tutto. L'esempio dice più di tante parole.
Conocrdo con te! Il confronto è utilissimo e aiuta la consapevolezza e la crescita nei bambini.. e adulti!
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