Lo scorso fine settimana sono stata a San Antonio per la conferenza degli insegnanti di arte del Texas. E' un evento che aspetto sempre con grande entusiasmo. Innanzitutto per me significa, una volta l'anno, avere a che fare con altre persone che fanno il mio stesso mestiere. Sono l'unica insegnante di arte nella mia scuola e non ho mai il privilegio di potermi confrontare nel merito del mio lavoro. E poi c'e' la piacevolissima sensazione di essere finalmente nella propria tribu'. In albergo c'era una fila lunghissima per il check-in e tu capivi immediatamente chi erano i clienti normali e chi gli insegnati di arte. I primi entravano e si mettevano in fila, i secondi andavano a toccare il fantastico mosaico all'ingresso dell'hotel e poi si mettevano in fila.
La conferenza in se' e' organizzata piu' o meno come l'universita'. Tante diverse lezioni e laboratori dalla mattina alla sera e anche tanti espositori che vendono e lasciano provare ogni tipo di materiale artistico. E' molto divertente.
Quest'anno, per la prima volta, ho presentato anch'io una lezione. Mi stupiva, l'anno scorso, il fatto che nessuno parlasse di quello che insegno io e cosi' questa volta ho deciso di lanciarmi e di condividere la mia esperienza che suscita sempre tanta ammirazione nella mia scuola. Ho studiato tanto, forse anche troppo considerato il livello generale, pero' sono contenta di averlo fatto.
Per un paio di mesi mi sono sentita un po' come ai tempi dell'universita', prima di un esame importante, con un solo pensiero in testa giorno e notte. Tanto e' vero che non sono convinta che una lezione fosse sufficiente a esprimere tutto e sto pensando magari a un lavoro piu' articolato, ma chissa' se ne avro' mai il tempo.
Dicevo che il livello non mi sembrava altissimo perche' a fronte di tanta passione per il proprio lavoro e tanta laboriosita', ho visto anche quest'anno, poca sostanza. C'era chi distribuiva regali per avere piu' ascoltatori e non mi e' piaciuto. Un laboratorio banalissimo su come costruire un braccialetto con dei bottoni di plastica aveva la coda fuori dalla porta invece il tizio che si e' azzardato a parlare, che so, di arte digitale o di prospettiva aveva quattro persone di numero.
Di sicuro la mia forma mentale (il liceo classico prima e l'universita' in Italia e in Spagna poi), mi condiziona nel giudizio, pero' mentre ero li' mi chiedevo: a che accidente serve insegnare a fare un pupazzo di neve, una spilla di pezzi di vetro o, che so, una cupcake di carta e vernice? Divertente, magari, non dico di no, ma cosa stiamo insegnando veramente? Un conto e' insegnare una tecnica artistica, ma a cosa serve limitarsi all'oggetto? Il famoso lavoretto senza un'idea dietro?
Ecco, c'erano tante lezioni cosi', un po' povere di contenuti secondo me.
La mia riguardava quello che faccio, insegnare la storia dell'arte alle elementari, e cosi' sono andata a vedermi tutte le altre lezioni di argomento piu' o meno simile. In effetti, ce n'era qualcuna di storia dell'arte, ma solo a partire dalle superiori. Sono rimasta stupita.
Da una parte in positivo perche' gli insegnanti dimostravano un trasporto eccezionale verso il proprio lavoro e idee davvero originali. In generale, proponevano un insegnamento molto dinamico, fisico. C'era qualcuno che raccontava di insegnare la storia dell'arte attraverso lo yoga, per dire. Per tutti il filo del discorso era: dobbiamo inventarci qualcosa o questi ragazzetti qui muoiono di noia.
Guardate un po' quanto e' grosso il libro di storia dell'arte, non glielo faccio nemmeno portare a casa.
E quando dicevano cosi', io pensavo al mio famigerato vocabolario di greco, che con la potente muscolatura di cui gia' a quattordici anni ero dotata, mi sono trascinata ovunque. Erano altri tempi, si', ma non so. Mi ha impressionato questa assoluta indisponibilita' ad accettare l'idea che i liceali, ragazzi dai quattordici ai diciotto anni, possano semplicemente sedersi, ascoltare e, una volta a casa, aprire il loro bel librone e leggerlo. E magari innamorarsene, perche' no?
Forse sono troppo all'antica, pero' non tutto e' gioco, altrimenti si rischia di non avvicinarsi mai alla sostanza delle cose.
Per questo ero preoccupata della reazione che avrebbero avuto alla mia presentazione, qualora qualcuno si fosse fatto vivo. Insegno alle elementari e il mio programma e' pieno di gioco, pero' in fondo e' anche molto serio, ha degli obiettivi e delle metodologie precise.
L'inizio e' stato un po' drammatico. La sala si e' riempita in fretta, segno che l'argomento ha almeno destato curiosita', ma appena ho cominciato a parlare Joe, si' proprio lui, ha cominciato a parlare ad alta voce sopra di me. Queste situazioni fantozziane e per niente professionali che le madri lavoratrici conoscono fin troppo bene. Poi c'era questa tizia in seconda fila che aveva gli occhi socchiusi e che ogni volta che aprivo bocca si circondava l'orecchio con la mano, dandomi l'impressione di fare una fatica enorme a sentirmi. Non mi usciva la voce. Dopo i primi drammatici istanti, pero' mi sono ripresa e mi sono anche divertita. Perche' e' bello comunicare le proprie scoperte e le proprie passioni, davvero tanto.
Mi porto a casa due cose da questa esperienza. Alcuni occhi che ho visto un po' spalancarsi mentre parlavo e che non mi hanno mai lasciato sola un minuto fino alla fine. Questa sensazione impagabile di avere aperto un piccolo varco di nuove possibilita' nella mente di qualcuno.
E la seconda cosa e' una frase a cui non pensavo da tanto tempo, che mi e' stata ricordata da un vecchio compagno di liceo, qualche settimana fa, in occasione della morte prematura del nostro amato professore di greco. Mi disse
ricordati panta rei, tutto scorre. Ed e' a questo che ho pensato prima di mettermi a fare la mia lezione, mentre passeggiavo un po' in crisi sul lungofiume di San Antonio.
Tutto scorre. Non bisognerebbe mai dimenticarlo.