mercoledì 26 novembre 2014

la realta' e' bellissima?

La maestra mi ha raccontato ridendo che, avvicinandosi il giorno del Ringraziamento, ha chiesto a tutti i bambini per che cosa fossero riconoscenti. Joe ha risposto 'sono riconoscente per la pizza'.
A lei e' sembrata una frase sconclusionata e buffa, to' guarda, al bambino italiano piace la pizza. Invece io l'ho trovata molto bella. Noi facciamo la pizza insieme, una volta alla settimana ed e' una festa. E' diventato un rito, la cosa che piu' ci divertiamo a fare insieme. E lui, tra l'altro, ormai e' diventato bravissimo. Mi suggerisce gli ingredienti e fa la sua pizza 'tutta da solo'. Si sente grande e vede subito il risultato del suo lavoro, anzi se lo pappa che e' ancora meglio.

Ieri notte Joe e' arrivato da me tutto spaventato.
Ricordo che quando avevo un incubo da bambina urlavo e piangevo, invece lui no. Viene sempre zitto zitto, mi fa toc toc con il ditino per svegliarmi e mi dice a bassa voce:
- Mamma, ho fatto un brutto sogno.
- Mi dispiace Joe, cosa hai sognato?
- Ho visto un mostro.
- Ma tu lo sai che i mostri li vedi solo nei sogni, vero? Basta aprire gli occhi e - guardati intorno - la realtà' e' bellissima.
Ecco, assonnata com'ero, tra l'altro anch'io stavo avendo un incubo, e' un periodo che sono un po' agitata, la prima cosa che mi e' venuta da dirgli e' stata questa: la realta' e' bellissima.
Mi sono appena svegliata ed e' la prima cosa che mi e' venuta in mente anche adesso: la realta' e' bellissima. O meglio, la realta' e' bellissima? Perche' a volte diciamo delle cose, quando ci svegliano nel mezzo di una notte tempestosa, che possono essere magari leggermente sbrigative.
Ma non importa perche' ora partiamo per il nostro tour di nonne e bisnonne in varie citta' e paesini del Far West e mi sembra un buon pensiero da tenere a mente nella cosiddetta settimana del Ringraziamento.

E poi tutto questo mi ha fatto ricordare, la canzone che forse piu' mi fa pensare a Joe, quella che parla proprio di un bellissimo bambino che ha sognato un mostro. Il suo papa', John Lennon, gli dice
Before you go to sleep Say a little prayer  
Every day in every way It's getting better and better  
Ogni giorno, in ogni modo, andra' sempre meglio.

domenica 23 novembre 2014

discussioni costruttive

Ms. Guorton, quest'anno e' la maestra di Joe, e mi parlava dei suoi disegni. E' un periodo che fa delle lettere in cima alla pagina e il disegno in basso. Se gli chiedi che cos'e', lui ti spiega che le lettere sono una storia e te la racconta. Pero' se indichi una singola lettera e gli chiedi cos'e', ti dice il nome della lettera.
Allora. Lei sostiene che non sono lettere, ma disegni a forma di lettera e che c'e' un bellissimo libro che dovresti leggere a riguardo, darling. Ma giuro che non capisco la logica. Se io faccio una 'acca' e poi spiego che e' una 'acca' ho scritto una 'acca', se un bambino fa lo stesso, ha fatto un disegno a forma di 'acca'?
Tutto questo mi ha fatto capire che Ms. Guorton forse sta meglio, i capelli sono ricresciuti e stiamo ricominciando a discutere come ai bei vecchi tempi. Sono contenta.

mercoledì 19 novembre 2014

l'ironia della sorte

Mi raccontava una mia amica texana prima che quando frequentava il liceo, con dei compagni mise in piedi uno spettacolo teatrale. Si trattava di una riduzione di Grease.
Il preside approvo' tutto tranne un dettaglio: a un certo punto un personaggio femminile ha paura di essere rimasta incinta. Ecco, lui reputo' questo contenuto un po' troppo forte per i suoi studenti e impose che il personaggio fosse si' sconvolto, ma a causa del divorzio dei suoi genitori.
E' un piccolissimo aneddoto, ma dice davvero tanto di una certa famigerata mentalita' texana. Devo dire che in tutti questi anni ben poche volte ho conosciuto persone capaci di simili gesti, pero' ogni volta che sento queste storie mi cascano le braccia.
Che ipocrisia.
Ironia della sorte poi, la ragazza che interpretava quel personaggio rimase incinta proprio durante il liceo e fu costretta ad abbandonare la scuola su caloroso suggerimento di quello stesso dirigente scolastico.
Forse era meglio parlarne, no?

lunedì 17 novembre 2014

scambi culturali

Una mia amica fa l'insegnante in Italia e mi ha raccontato che la sua collega di arte ha fatto un lavoro bellissimo. Allora le ho chiesto di mandarmi qualche foto, e' molto piu' semplice vedere che spiegare tutto il procedimento via whatsapp. E qui e' successa una cosa strana: lei ha dovuto chiedere il permesso alla collega e la collega alla preside. Tutto questo per fotografare dei disegni e non dei bambini. Mi e' sembrato un eccesso di privacy, per cosi' dire. Non e' mia abitudine, ma vedo che qui gli insegnanti pubblicano tranquillamente tutto, anche le foto dei bambini a meno che non abbiano richiesto in modo esplicito di non essere fotografati all'inizio dell'anno.
Ad ogni modo, da questo e' nato qualcosa di positivo perche' la preside, a quel punto, ha avuto un'idea: avviare uno scambio culturale fra una delle loro classi in Italia e una delle mie qui in Texas.
Il motivo per cui vi racconto tutto questo e' che credo che la mia preside ne sara' entusiasta, quando glielo raccontero', ma a lei o al resto dei miei colleghi non sarebbe mai e poi mai venuto in mente. Ci manda a fare un sacco di corsi di aggiornamento, ma in tutti questi anni, non ho mai sentito parlare di mediazione culturale in nessun modo. Eppure abbiamo avuto diversi bambini che sono arrivati da altri paesi e che all'inizio non parlavano nemmeno inglese. Mi da' l'idea di essere semplicemente una di quelle cose di cui non si parla perche' "non ce n'e' bisogno". Come se fosse ovvio che ci sia rispetto e integrazione per tutti. Ma e' proprio cosi'? 
Suppongo, da quello che ho visto qui e li', che un bambino rumeno o albanese in Italia, possa avere piu' difficolta' con i compagni e perfino con qualche insegnante forse, rispetto a un bambino messicano o cinese qui, pero' la realta' fuori dalla scuola, come tanti fatti di cronaca dimostrano, non e' necessariamente cosi' rosea (v. Ferguson, Missouri). Io credo che parlare di certi temi in classe, non sia mai superfluo e che dare per scontato che tutti sappiano e tutti condividano determinati valori possa essere un grave rischio.  
Me ne sono resa conto proprio io stessa l'anno scorso e per questo ho apportato dei cambiamenti al mio programma. Ve l'ho raccontato, a un certo punto ho avuto la sensazione che alcuni bambini apprezzassero molto quando si parlava dell'arte del loro paese d'origine o che altri si sentissero in qualche modo a disagio con la rappresentazione dei loro tratti somatici o di un'idea di bellezza magari un po' distante dai canoni a cui siamo abituati in classe (facciamo per lo piu' arte occidentale, Europa e Stati Uniti). Quando all'inizio dell'anno ho chiesto a tutte le classi se qualcuno fosse nato in un paese fuori dall'Europa o dagli Stati Uniti, c'e' stato un bambino che ha mentito e anche altri che non mi sono sembrati particolarmente felici di condividere quest'informazione. Le questioni e il razzismo esistono ovunque, i bambini lo sentono, anche solo indirettamente. L'approccio italiano mi piace di piu': parlarne sempre e sforzarsi di trovare modi creativi per farlo attraverso attivita', laboratori, scambi culturali e quant'altro. 
La mia esperienza, quando dico Italia in questo post, e' per lo piu' Milano. So che e' una grande citta' e che di sicuro nel piccolo paesino sperduto a nord o a sud non si faranno tutti questi laboratori multiculturali e discorsi sull'integrazione. Pero' anche Dallas e' una grande citta', eppure di tutto questo non ho mai sentito parlare. Quello che si comincia a fare nelle grandi citta' poi di solito, dopo qualche anno, arriva anche piu' lontano, ma se nessuno comincia, si rimane sempre fermi. Non mi importa se sono l'unica nella mia scuola: visto che ho la liberta' di farlo io vado avanti anche qui per questa strada, usando la storia dell'arte per far passare valori importanti. 
La scuola deve preparare prima di tutto alla vita. 

giovedì 13 novembre 2014

tutto scorre

Lo scorso fine settimana sono stata a San Antonio per la conferenza degli insegnanti di arte del Texas. E' un evento che aspetto sempre con grande entusiasmo. Innanzitutto per me significa, una volta l'anno, avere a che fare con altre persone che fanno il mio stesso mestiere. Sono l'unica insegnante di arte nella mia scuola e non ho mai il privilegio di potermi confrontare nel merito del mio lavoro. E poi c'e' la piacevolissima sensazione di essere finalmente nella propria tribu'. In albergo c'era una fila lunghissima per il check-in e tu capivi immediatamente chi erano i clienti normali e chi gli insegnati di arte. I primi entravano e si mettevano in fila, i secondi andavano a toccare il fantastico mosaico all'ingresso dell'hotel e poi si mettevano in fila.
La conferenza in se' e' organizzata piu' o meno come l'universita'. Tante diverse lezioni e laboratori dalla mattina alla sera e anche tanti espositori che vendono e lasciano provare ogni tipo di materiale artistico. E' molto divertente.
Quest'anno, per la prima volta, ho presentato anch'io una lezione. Mi stupiva, l'anno scorso, il fatto che nessuno parlasse di quello che insegno io e cosi' questa volta ho deciso di lanciarmi e di condividere la mia esperienza che suscita sempre tanta ammirazione nella mia scuola. Ho studiato tanto, forse anche troppo considerato il livello generale, pero' sono contenta di averlo fatto.
Per un paio di mesi mi sono sentita un po' come ai tempi dell'universita', prima di un esame importante, con un solo pensiero in testa giorno e notte. Tanto e' vero che non sono convinta che una lezione fosse sufficiente a esprimere tutto e sto pensando magari a un lavoro piu' articolato, ma chissa' se ne avro' mai il tempo.
Dicevo che il livello non mi sembrava altissimo perche' a fronte di tanta passione per il proprio lavoro e tanta laboriosita', ho visto anche quest'anno, poca sostanza. C'era chi distribuiva regali per avere piu' ascoltatori e non mi e' piaciuto. Un laboratorio banalissimo su come costruire un braccialetto con dei bottoni di plastica aveva la coda fuori dalla porta invece il tizio che si e' azzardato a parlare, che so, di arte digitale o di prospettiva aveva quattro persone di numero.
Di sicuro la mia forma mentale (il liceo classico prima e l'universita' in Italia e in Spagna poi), mi condiziona nel giudizio, pero' mentre ero li' mi chiedevo: a che accidente serve insegnare a fare un pupazzo di neve, una spilla di pezzi di vetro o, che so, una cupcake di carta e vernice? Divertente, magari, non dico di no, ma cosa stiamo insegnando veramente? Un conto e' insegnare una tecnica artistica, ma a cosa serve limitarsi all'oggetto? Il famoso lavoretto senza un'idea dietro?
Ecco, c'erano tante lezioni cosi', un po' povere di contenuti secondo me.
La mia riguardava quello che faccio, insegnare la storia dell'arte alle elementari, e cosi' sono andata a vedermi tutte le altre lezioni di argomento piu' o meno simile. In effetti, ce n'era qualcuna di storia dell'arte, ma solo a partire dalle superiori. Sono rimasta stupita.
Da una parte in positivo perche' gli insegnanti dimostravano un trasporto eccezionale verso il proprio lavoro e idee davvero originali. In generale, proponevano un insegnamento molto dinamico, fisico. C'era qualcuno che raccontava di insegnare la storia dell'arte attraverso lo yoga, per dire. Per tutti il filo del discorso era: dobbiamo inventarci qualcosa o questi ragazzetti qui muoiono di noia. Guardate un po' quanto e' grosso il libro di storia dell'arte, non glielo faccio nemmeno portare a casa.
E quando dicevano cosi', io pensavo al mio famigerato vocabolario di greco, che con la potente muscolatura di cui gia' a quattordici anni ero dotata, mi sono trascinata ovunque. Erano altri tempi, si', ma non so. Mi ha impressionato questa assoluta indisponibilita' ad accettare l'idea che i liceali, ragazzi dai quattordici ai diciotto anni, possano semplicemente sedersi, ascoltare e, una volta a casa, aprire il loro bel librone e leggerlo. E magari innamorarsene, perche' no?
Forse sono troppo all'antica, pero' non tutto e' gioco, altrimenti si rischia di non avvicinarsi mai alla sostanza delle cose.
Per questo ero preoccupata della reazione che avrebbero avuto alla mia presentazione, qualora qualcuno si fosse fatto vivo. Insegno alle elementari e il mio programma e' pieno di gioco, pero' in fondo e' anche molto serio, ha degli obiettivi e delle metodologie precise.
L'inizio e' stato un po' drammatico. La sala si e' riempita in fretta, segno che l'argomento ha almeno destato curiosita', ma appena ho cominciato a parlare Joe, si' proprio lui, ha cominciato a parlare ad alta voce sopra di me. Queste situazioni fantozziane e per niente professionali che le madri lavoratrici conoscono fin troppo bene. Poi c'era questa tizia in seconda fila che aveva gli occhi socchiusi e che ogni volta che aprivo bocca si circondava l'orecchio con la mano, dandomi l'impressione di fare una fatica enorme a sentirmi. Non mi usciva la voce. Dopo i primi drammatici istanti, pero' mi sono ripresa e mi sono anche divertita. Perche' e' bello comunicare le proprie scoperte e le proprie passioni, davvero tanto.
Mi porto a casa due cose da questa esperienza. Alcuni occhi che ho visto un po' spalancarsi mentre parlavo e che non mi hanno mai lasciato sola un minuto fino alla fine. Questa sensazione impagabile di avere aperto un piccolo varco di nuove possibilita' nella mente di qualcuno.
E la seconda cosa e' una frase a cui non pensavo da tanto tempo, che mi e' stata ricordata da un vecchio compagno di liceo, qualche settimana fa, in occasione della morte prematura del nostro amato professore di greco. Mi disse ricordati panta rei, tutto scorre. Ed e' a questo che ho pensato prima di mettermi a fare la mia lezione, mentre passeggiavo un po' in crisi sul lungofiume di San Antonio.
Tutto scorre. Non bisognerebbe mai dimenticarlo.


  

lunedì 3 novembre 2014

niente furti

Il parente di un'amica ha subito un furto piuttosto spaventoso nei giorni scorsi a Parigi. Quattro o cinque uomini gli hanno svaligiato casa, nel cuore della notte, mentre lui e il resto della sua famiglia erano presenti in un'altra stanza e si sono accorti di tutto.
Ho sentito racconti simili mille volte anche da parenti e amici a Milano.
Qui invece niente del genere, mai. Vivo qui da otto anni e non conosco nessuno che sia mai stato derubato. 

Proprio stasera -per darvi un'idea della situazione- e' successo che i nostri vicini uscissero e dimenticassero la porta del garage aperta. Dato che lasciare la porta del garage aperta, per come sono costruite le nostre case, e' come lasciare la porta di casa spalancata, li ho chiamati immediatamente per avvertirli e permettergli di tornare indietro a chiudere prima che si allontanassero. Mi hanno ringraziato, ma non devono essersi per niente preoccupati, visto che sono passate diverse ore, e' notte, e il loro garage e' ancora aperto. 

In compenso qui si sentono altre storie. Pare che l'altro giorno, ad esempio, in un quartiere di quelli poco rassicuranti qualcuno abbia cercato di scippare una signora e il marito gli abbia sparato e lo abbia ucciso. 

Ecco spiegata l'assenza di furti da queste parti.
Bisogna avere una certa temerarieta' a compiere uno scippo o a entrare in una casa dove molto probabilmente il proprietario e' armato e non esitera' a far fuoco. 


sabato 1 novembre 2014

dolcetto o scherzetto 2014

Per la prima volta abbiamo sperimentato un 'dolcetto o scherzetto' da film.

Negli ultimi anni ci sono tante discussioni su questa tradizione perche' la gente ha di fatto paura e tanti rifiutano di mandare i figli a bussare e a chiedere caramelle agli sconosciuti. C'e' chi lo fa e poi butta tutte le caramelle e c'e' chi partecipa ai 'trunk or treat' dove quelli che si conoscono si ritrovano in un parcheggio, mettono le caramelle nel cofano della macchina e i bambini vanno li' invece di bussare alle porte dei vicini di casa.

Noi, come tanti altri, abbiamo sempre seguito la tradizione senza nessun problema, ma anche senza vedere una grandissima partecipazione purtroppo.

Quest'anno invece e' stato tutto diverso. Gli abitanti si sono organizzati e hanno fatto una mappa precisa che spiegava dove andare e cosa fare. La cosa piu' bella e' che alcune persone hanno messo a disposizione le proprie case per la pausa pipi' o per il bere. Vi confesso che mi ha un po' commosso entrare in casa di completi sconosciuti e bere un bicchiere di vino o mangiare un biscotto, essere accolti in modo cosi' caloroso e amichevole.

Di solito, anche in Italia, la gente ha sentimenti del tutto contrastanti su Halloween: ci sono quelli che lo odiano e quelli che lo adorano. Io mi sento un po' nel mezzo. Quello che mi piace di piu' e' proprio l'idea del 'trick or treat', l'idea di bussare alle porte dei vicini di casa o degli sconosciuti, di fidarsi degli altri fino a quel punto.

Quest'anno e' andata davvero piu' che bene sotto questo punto di vista. Aumentano quelli che sono stufi di avere paura, un buon segno per la societa'.