Vado a trovare un amico italiano che ha avuto un incidente. Vive qui da moltissimi, ma prima ha vissuto in altri posti certamente piu’ esotici. Altri paesi, altri continenti, altre lingue, soprattutto paesi del terzo mondo. Questo e’ il luogo in cui si e’ fermato, in cui ha fatto in modo che crescessero i suoi figli e da cui non andra’ piu’ via, eppure mi diceva che e’ anche quello in cui ha fatto piu’ fatica ad ambientarsi e in cui ha sofferto di piu’ la solitudine.
Mi raccontava che quando si trasferirono nella casa in cui ancora oggi abitano, pensarono di cominciare subito con il piede giusto e di dare una bella festa per i nuovi vicini. Uno di loro passo’ ad avvertire che purtroppo quella stessa sera aveva un altro impegno e non avrebbe potuto partecipare, poco male avevano invitato l’intero quartiere. Aspettarono a lungo, ma non si vide nessuno. Non si erano presi nemmeno la briga di declinare.
Il senso di non sentirsi accettato, di avere qualcosa di sbagliato e di non capire cosa. Le casse di alcoolici gia’ pronte per la festa…fu una memorabile sbronza solitaria.
Ragionando sui motivi di tutto questo e sulle medesime difficolta’ che trent’anni dopo io stessa sto affrontando per la prima volta, mi propone due ipotesi che trovo quasi opposte. Una, e’ che molti qui sentano una sorta di senso di inferiorita’ nei confronti degli stranieri con un alto livello di istruzione. Tu hai viaggiato, parli tutte queste lingue e io non sono mai uscito di casa, e’ una frase che in effetti ci si sente dire molto spesso. L’altra ipotesi e’ che siano in qualche modo poco propensi a frequentare uno straniero in genere, qualcuno con un modo di fare e un accento cosi’ diverso dal loro e che a volte puo’ essere perfino difficile comprendere. Elementi, entrambi, che non avevo mai interpretato in questo modo, chissa’ dove sta il vero.
Tornando all’incidente. Mi raccontava di aver letteralmente pianto di gioia di fronte all’immensa disponibilita’ ad aiutare sia lui che la sua famiglia anche da parte di persone che pensava di conoscere in modo estremamente superficiale, come alcuni vicini di casa appunto. Dice che, dopo la disavventura, si e’ scatenata una vera e propria gara di solidarieta’ e che queste persone non si sono limitate a fare delle semplici visite di cortesia o mandare mazzi di fiori, ma si sono adoperate nel concreto per rendergli la vita di tutti i giorni molto piu’ semplice durante la convalescenza. Non mi sono stupita perche’ e’ una cosa che mi e’ capitato di vedere piuttosto spesso in questi anni alla scuola Flanders.
La conclusione di tutto il suo discorso di vecchio expat sembra essere che se ti capita una disgrazia, diventano tutti amici tuoi, ma se va tutto bene, ognuno ha la sua vita.
In che strano pianeta sono capitata.
5 commenti:
Pensa che in Italia invece, sono tutti amici tuoi finchè c'è da inzuppare ma quando hai bisogno spariscono tutti.
Non sono molto d'accordo con quanto detto riguardo l'Italia. Certo ovunque c'e' gente ottima e gente orribile. Questo non deve far generalizzare. Personalmente qui a Dallas mi sento isolato ed i rapporti rimangono sempre superificali. Difficile che ti diano lo spazio per avvicinarti abbastanza per creare un vero rapporto di amicizia. Qualora c'e' un problema le persone spariscono, e non sai per quale motivo accade ne' hai modo di chiarire eventuali misunderstandings. Non si prendono affatto la briga di farlo. Quando sono andato in ospedale non ho trovato questo conforto o disponibilita', solo un paio di telefonate di circostanza. Il mio ambiente di lavoro e' molto competitivo. Niente a che fare con l'ambiente scolastico credo. Sembra di camminare su un pavimento pieno di uova e devi fare attenzione a non romperne nessuna.
riguardo la conclusione, meglio cosi che il contrario....
il tema e' ricorrente nei tuoi post, io personalmente me ne sono fatta una ragione... ho delle amiche italiane e sto bene cosi, gia' prima non ero molto socievole, figuriamoci qui con in piu' l'ostacolo della lingua...
per fortuna ho trovato un gruppetto di mamme internazionali e ogni tanto ci vediamo... ce nesono un paio che pero faticano a capire il mio accento e questo confesso mi mette in soggezione.
Questa cosa, del livello di cortese superficialità nei rapporti umani che non riesci a superare per stabilire veri rapporti di amicizia, la scrivi spesso.
Evidentemente ti fa molto soffrire.
Non sono in grado di capire se è un tuo tratto peculiare o se è in effetti un dato culturale del Paese/città che ti ospita, ma immagino si tratti di un insieme delle due cose più o meno combinate tra loro ed immagino anche che se ne esca male.
Non mi sento di dirti nè che in Italia sarebbe l'opposto, nè che devi adeguarti, solo, prova a pensare che le persone sono persone ovunque vivono e quindi certamente ne troverai di dotate della tua stessa sensibilità anche a Dallas.
ciacco
Guardate che queste cose succedono anche quì in Italia, e abbastanza di frequente. Io personalmente, in un particolare momento della mia vita, ho commesso l'errore di presentarmi "commercialmente" al mio vicinato con atteggiamenti amichevoli, empatici e sinceri, ma ne ho ricevuto in cambio solo isolamento e cattiva pubblicità. Dovuto forse al fatto di essere troppo buona da risultare "finta"?
Nel privato, invece, spesso sono stata lasciata sola per indifferenza forse, e anche per scarsa considerazione del problema. Egoismo? Gelosia? Menefreghismo? Non l'ho ben capito, so solo che se sei una buona persona lo sei e basta, a prescindere dalla razza e dal luogo dove ti trovi, e molto è dovuto all'educazione e al rispetto verso gli altri che ti è stato insegnato. Credo sia difficile entrare in una nuova comunità, specialmente se sei "straniero" ma pur credendo che esistano società chiuse, spesso è solo questione di educazione e carattere personale.
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