mercoledì 30 ottobre 2013

essere nel momento

C’era una persona prima che parlava del suo diario e del fatto che nel momento in cui e’ tornato a rileggersi quello che aveva scritto in un periodo che ricordava come molto felice della sua vita, ha avuto la sgradevole sorpresa di imbattersi in un sacco di lamentele e negativita’.

Le recriminazioni erano in fondo piccolezze che non avrebbero dovuto distrarlo per niente da tutto il buono che aveva intorno. Eppure giorno per giorno era cosi’ che percepiva la realta’, piena di piccole cose che lo infastidivano.

Ecco, la conosco quella sensazione. La vedo in me stessa e in tanti altri. Quando un amico si lamenta per cose che mi sembrano dall’esterno minime, vorrei dirgli ma non riesci a vedere che hai tutto?

Insomma…perche’ e’ cosi’ facile perdere di vista quello che abbiamo sotto gli occhi perfino se ci fa stare bene? Perche’ ci piace cosi’ tanto fissarci sulle macchioline, sulle crepe quasi invisibili?

Sono stufa di guardare le foto di quando mi sentivo brutta e scoprire che ero molto piu’ bella di ora o quelle di quando pensavo di essere infelice e invece avevo tutto.

Ah, comunque se vi interessa, quel tale era David Sedaris.

martedì 29 ottobre 2013

soluzioni creative per la vita di tutti i giorni

Quello che con il mio metodo cerco di insegnare ai miei bambini, quelli a scuola e anche a quello a casa, e’ che non e’ tanto importante il risultato -ben pochi faranno dell’arte il proprio mestiere - ma il dotarsi di un modo di ragionare creativo che puo’ essere applicato a qualunque campo della nostra esistenza quotidiana.

[Per questo, tra l’altro, come dicevo l’altro giorno, e mi scuso per non avere ancora avuto il tempo di rispondere ai commenti, anche quelli un po’ polemici, non credo nell’acquisto di materiali costosi]

Allora, facciamo un esempio.

Io ho questo bambino a casa, questo tale piccolo Joe, che ha delle grosse difficolta’ a far arrivare… come si puo’ dire…. i frutti della sua digestione, chiamiamoli cosi’, la’ dove devono arrivare e cioe’ nel bagno e sto provando qualunque sistema per ovviare a questa sua legittima reticenza.

Ho seguito umilmente, e continuero’ a farlo, ogni consiglio che mi sia arrivato. No, le ricompense non funzionano e nemmeno la personalizzazione del vasino e tutto il resto. Cosi’ l’altro giorno ho provato a modo mio.

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Ho pensato. Cosa gli piace piu’ di tutto? I dinosauri. E poi? Costruire.

Allora costruiamo un bello scivolo per dinosauri con i rotoli di carta igienica.

Piu’ lo scivolo e’ lungo, piu’ ci divertiamo a costruirlo.

Piu’ rotoli usi, piu’ lungo sara’ lo scivolo.

Ergo, Joe usali ‘sti rotoli!

Vi chiederete se ha funzionato.

Naturalmente no, ma e’ stato senz’altro un gran bel tentativo.

E non e’ tutta un gran tentativo la vita in fondo? E’ cosi’ che si va avanti anche quando non sembra. 

domenica 27 ottobre 2013

tutte le novita’

Oggi ho voglia di raccontarvi un po’ del piccolo Joe e di tutte le sue novita’.

Se dico delle ovvieta’ perdonatemi, come sapete e’ il mio primo e unico figlio, e’ tutto nuovo per me e continuo a guardarlo crescere con gli occhi pieni di stupore. E soprattutto, mi diverto un sacco.

Fa tre anni a dicembre e attualmente sembra che la sua cosa preferita (a parte i dinosauri of course) sia andare all’asilo. In questo ultimo periodo e’ cosi’ entusiasta dell’asilo che vuole andarci anche nei giorni in cui gli tocca stare a casa e credo di aver capito il perche’. Entrambi i suoi asili sono associati a delle chiese e lui, non essendoci mai entrato in una chiesa, e’ fermamente –serissimamente e che non si provi a contraddirlo- convinto che siano castelli. Vive nella meraviglia di questa cosa, andiamo in giro ed e’ tutto un “mamma guarda! castello!”, “andiamo al castello!”.

Dovreste vedere quello sguardo, c’e’ dentro tutto lo splendore dell’infanzia, spero che un pochettino gli rimanga sempre.

Per quanto riguarda il linguaggio, direi che a questo punto si esprime in maniera comprensibile sia in inglese che in italiano e non gli sento fare enormi miscugli. Lui sa con chi parlare una lingua e con chi l’altra, ma non credo sappia coscientemente che sono due lingue diverse, non parliamo mai di questo, e’ tutto molto naturale. Con me, non ha dubbi: preferisce l’italiano. A volte, se comincio a leggergli un liPhotoGrid_1382908852052bro in inglese, mi dice di no, che non lo sto facendo per niente bene e mi traduce le prime parole in italiano per farmi capire il modo giusto. Oppure se mi viene da sgridarlo in inglese (non so perche’, ma quello mi viene di piu’ in inglese…) mi risponde “yes Mrs. Johnson!” perche’ l’unico luogo in cui mi sente parlare inglese e’ a scuola, dove tutti mi chiamano cosi’. Ha un amichetto coetaneo francese ed e’ uno spettacolo guardarli giocare insieme. A volte parlano ognuno la sua lingua, mai un malinteso. E’ una cosa che, tra l’altro, mi fa molto riflettere sulla comunicazione e l’amicizia in generale, ma quello e’ un altro discorso. 

Finalmente, mostra di apprezzare molto le cose che gli faccio fare con i colori e tutto il resto e ne sono molto felice, ma a volte e’ quasi impossibile convincerlo a fare altro. Mi e’ gia’ capitato di doverlo implorare di andare al parco e lui impassibile: “No! I wanna art!”. Mi ricorda molto me da bambina anche se forse io ero ancora piu’ solitaria.

Di sicuro per ora non e’ un tipo avventuroso, anzi tutto il contrario. Mi sembra riflessivo, di solito valuta bene le conseguenze delle sue azioni, non gli piace per niente farsi male e cerca di evitarlo. Non e’ nemmeno particolarmente atletico o coordinato, sembra sempre che si muova in un equilibrio piuttosto precario. E’ un bel po’ fifone devo dire. L’altro giorno abbiamo costruito delle scarpe da mostro con le scatole dei fazzoletti di carta e, appena sono andata di la’ ha tolto tutte le unghie perche’ facevano ‘palula’. Il giorno dopo, una volta assicuratosi che non se ne andavano in giro da sole, le ha volute riattaccare.

Continua a coltivare la sua passione per le lettere dell’alfabeto. Ora le cerca sempre, ovunque andiamo, e vedo con quanta curiosita’ prova a metterle insieme. A volte legge delle piccolissime parole. Con i numeri non se la cava per niente bene invece. Ancora non capisco se sappia contare o se vada a caso, una volta lo fa bene e l’altra malissimo. Chiaramente i numeri non gli danno la stessa curiosita’ delle lettere per ora e di nuovo: spero non abbia preso troppo dalla sottoscritta.

Mi dicono tutti che e’ molto intelligente, come si dice un po’ di tutti i bambini credo. Certo che a volte mi chiedo come mai pero’ se e’ cosi’ intelligente, fa cosi’ fatica a fare una cosa cosi’ semplice come usare il bagno. Misteri della vita.

Una cosa mi colpisce molto di questa sua fase attuale: sembra che non gli sfugga nulla. Anche quando non risponde o sembra distratto, in realta’ non lo e’ mai. A volte torna su delle cose che gli ho detto o che sono successe dopo dei giorni, come se fossero state li’ in una specie di sala d’attesa e finalmente fossero pronte per uscire fuori e servire a qualcosa.    

Anche i suoi disegni, quando me li spiega, cominciano ad avere un vago senso e per me e’ incredibile assistere a tutto questo per la prima volta, anche a livello professionale intendo.

Essere sua madre e’ l’avventura piu’ grande e affascinante che avrei mai potuto intraprendere nella vita. Sto imparando davvero tanto da questo piccoletto e non lo ringraziero’ mai abbastanza per questo.

venerdì 25 ottobre 2013

lavorare con i soldi o senza

Una volta, di mia iniziativa, feci fare a una classe un lavoro da battere all’asta a favore della scuola che si tiene una volta all’anno.

L’opera venne venduta per un sacco di soldi, cosi’ nelle edizioni successive mi chiesero espressamente di far fare un lavoro del genere ad ogni classe, e ne ho un bel po’ dai cinque ai dodici anni.

Gia’ li’ un po’ ero pentita. Certo mi faceva piacere che il lavoro fosse piaciuto, ma io volevo fare solo un gesto carino e invece ora mi ritrovavo con un sacco di aspettative e lavoro in piu’. Di anno in anno la cosa si e’ fatta sempre piu’ onerosa.

Adesso c’e’ stato un ulteriore salto di qualita’. E’ venuta a cercarmi la rappresentante delle mamme. Quando l’ho vista arrivare ho capito subito che avrei avuto qualche grana. Dopo tutti questi anni di insegnamento, ho il terrore delle mamme soprattutto quelle agguerritissime che fanno le rappresentanti delle altre. Voleva dirmi che quest’anno sono fortemente invitata a spendere dei soldi per far fare ai bambini i lavori da mettere all’asta. Certo, molto bello quello che hai fatto in passato, ma sai magari se spendi qualcosa in piu’ nei materiali…

Ho a disposizione una cifra che secondo me e’ piuttosto alta anche se in realta’ qualunque cifra mi sarebbe sembrata alta considerando che ho sempre fatto tutto benissimo senza spendere nulla.

Questo dovrebbe essere positivo, il problema e’ che.

Mi da’ proprio fastidio questa cosa, per una questione di principio. Insomma, io mi sono sempre fatta un vanto nel tenere bassi i costi. Sia perche’ so che la scuola non naviga mai nell’oro e sia perche’ spendere tanto per comprare materiali bizzarri non fa parte della mia filosofia come insegnante. Non credo siano necessarie grandi cifre per fare esprimere i bambini. Anzi, di solito la mancanza di mezzi (fino a un certo punto) aguzza l’ingegno, e’ un fatto comprovato. Preferirei darli in beneficienza quei soldi o usarli per comprare dei computer o dei libri, ma e’ una mia idea opinabilissima. 

Pensavo che l’obiettivo fosse ottenere il massimo spendendo il minimo, creare un oggetto dal valore simbolico, un bel ricordo, invece qui si vuole proprio intraprendere tutta un’altra strada. E tra l’altro, non so nemmeno se sono in grado. Voglio dire, il mio lavoro non e’ fare oggetti di artigianato. Di sicuro mi inventero’ qualcosa, da tutto questo imparero’ qualcosa di nuovo e andra’ tutto bene, ma proprio non mi piace l’idea che sta dietro a una manovra simile. Dal sentimentale al commerciale, sola andata.

martedì 22 ottobre 2013

se l’impiegato paga il datore di lavoro

Il primo anno e’ stato piuttosto traumatico. Avevo ricevuto qualcosa a proposito di un certo pledge, ma lo avevo completamente ignorato, non conoscevo nemmeno il significato della parola allora e poi, a dire il  vero, anche dopo essermelo andata a cercare, avevo continuato a far finta di niente, pensando ci fosse un errore. Fino a quando il direttore mi affronto’ direttamente e, con molta cortesia, mi chiese su due piedi di pagare perche’ aveva bisogno di annunciare di aver raggiunto il 100% di partecipazione da parte del corpo insegnante e mancavo solo io. Non ricordo benissimo ora, ma potrei realisticamente -con il mio inglese pessimo dell’epoca- aver risposto qualcosa tipo ‘non capisco, nel mio paese e’ il datore di lavoro che paga l’impiegato e non viceversa’.

A pensarci ora, mi vengono un po’ i brividi perche’ solo un marziano risponderebbe cosi’ e io in un certo senso lo ero (e forse lo sono ancora, ma molto meno).

Insomma, lavoro in una scuola privata che si basa in gran parte sulle offerte monetarie del prossimo. Ci sono diverse campagne di found raising durante l’anno scolastico e in particolare ce n’e’ una in cui e’ importante mostrare che non solo i genitori, ma anche l’intero staff crede talmente tanto nella progetto che si sta portando avanti da donare qualcosa, qualunque cosa, di tasca propria. E’ un concetto che non ho mai sentito in Italia nei diversi posti in cui mi e’ capitato di lavorare, ma che qui in certi ambiti come il mio, esiste ed e’ una cosa piuttosto normale e accettata di buon grado dai lavoratori, credo. Anche perche’ di fatto non hanno molta scelta.

Dopo quella prima cosiddetta imboscata da parte del mio capo tornai a casa, mi arrabbiai molto, e alla fine decisi di pagare. Da allora in poi l’ho sempre fatto in automatico ogni anno non perche’ abbia completamente cambiato idea, ma perche’ ho capito che qui e’ cosi’ che va, che e’ una cosa importante per le persone che mi danno da lavorare e mi sono adeguata. Bisogna scegliersi le battaglie, si dice da queste parti, e io in questo caso ho deposto le armi.

Devo dire che, in realta’, piu’ ho conosciuto i miei colleghi e il mio capo e meno mi ha dato fastidio pagare per questa cosa. La settimana scorsa ho fatto la mia piccola donazione come ogni anno, e oggi , come ogni anno, come tutti quelli che hanno fatto una donazione, ho ricevuto a casa una lettera di ringraziamento scritta a mano, personalizzata, fatta apposta per me. Una cosa che mi stupisce ogni volta perche’ immagino la quantita’ di ore impiegate in questa attivita’. Non lo so se questo sistema sia giusto o sbagliato. Mi sembra che ad ogni modo produca una grande gratitudine e che nessuno dia per scontati gli sforzi degli altri come avviene in tante altre situazioni lavorative.    

lunedì 21 ottobre 2013

energie condivise

L’altra sera a Dallas c’e’ stata una grande festa, un block party, nel quartiere dei musei. Ogni tanto ce ne sono, ma questo qui era specialeIMAG3481 perche’ oltre alla musica, il cibo per strada e i musei aperti, solo per una sera si potevano ammirare una serie di opere contemporanee completamente diverse fra loro, ma accomunate dal filo conduttore della luce.

Quel giorno il tempo era piuttosto incerto e le previsioni dicevano che avrebbe piovuto, tanto che  avevamo quasi rinunciato all’idea di andarci, ma quando poi siamo arrivati li’, siamo rimasti stupiti dalla quantita’ di gente presente e dalla tranquillita’, dalla voglia di divertirsi senza disturbare gli altri. E’ stata davvero una serata memorabile.

E’ questo che mi affascina di questa citta’, che rispetto all’Italia mancano moltissime attivita’ culturali, ma poi appena qualcuno organizza qualcosa, non importa che ci siano quaranta gradi o che faccia brutto, la gente accorre numerosa. C’e’ una sete di arte, di bellezza, di voglia di stare all’aperto che in Europa giustamente oramai e’ considerata come un privilegio ampiamente acquisito, ma che qui invece scatena l’entusiasmo generale, che e’ qualcosa da inseguire e da apprezzare. C’e’ un’energia esplosiva che in pochi anni sta producendo una crescita culturale impressionante.

Vi segnalo anche la cover story del Time sul Texas a proposito di tutto questo fermento che si avverte in giro. Non e’ assolutamente una visione idilliaca della situazione, ma a un certo punto l’autore dice Texas feels like the future.

giovedì 17 ottobre 2013

cosa vi ha colpito di piu’ la prima volta che siete venuti negli stati uniti

Dopo essermi divertita a leggere le risposte degli utenti di Reddit a questa domanda, mi sono messa anch’io a pensare alle primissime cose che mi hanno colpito appena sono arrivata qui. Alcune sono generiche e altre dipendono molto sia dal mio luogo di provenienza (Italia, Milano) che da quello del mio arrivo qui (il Texas non New York o L.A. che sono posti completamente diversi).
Mi piacerebbe sapere se ne avete delle altre.
Allora.
- L’ospitalita’ e la gentilezza in generale. Il fatto che tutti ti salutino, ringrazino, si scusino tantissimo e ti rivolgano la parola senza conoscerti.
- Soprattutto il fatto che ti chiedano sempre come stai e magari ti chiamino sweetheart o honey senza averti mai visto prima.
- Il fatto che non ci si tocca mai e che gli abbracci…beh non ci si tocca nemmeno abbracciandosi.
- Le bandiere. Tantissime, enormi, ovunque.
- Il fatto che il postino ritira la posta nella tua casella a casa e non devi andare tu a spedirla.
- Il fatto che la gente normalmente compri bottiglie di latte da un gallone invece che da un litro. E anche il fatto che il latte a lunga conservazione, quello che sta fuori dal frigo, sia una rarita’ e quasi un’eccentricita’.
- Le uova in frigo sempre.
- Il fatto che c’e’ quasi sempre il sole.
- Il fatto che si parli sempre del tempo e che non si esce di casa senza aver guardato le previsioni (e’ legendario quanto il tempo in Texas cambi rapidamente. Si dice If you don't like the weather, wait five minutes, ma dipende dalla stagione, da maggio a settembre non cambia m-a-i).
- Il fatto che costi quasi di piu’ mangiare a casa che nei ristoranti.
- La grandezza spropositata delle porzioni, anche delle bevande. Il fatto che per quanto riguarda il cibo si guardi alla quantita’ piu’ che alla qualita’.
- L’elaborazione e l’abbondanza di ingredienti anche per i piatti in teoria piu’ semplici.
- L’esigenza di mettere una salsa su qualunque cibo dal calamaro fritto alla frutta.
- Il fatto che se pero’ chiedi della maionese per le patatine fritte o l’hot dog ti guardano come un marziano (o un europeo).
- Il free refill!! E non dico altro. Ma ve lo immaginate da noi?
- I bagni:
1) quelli pubblici hanno delle fessure da cui si vede chiaramente chi c’e’ e cosa sta facendo (e se lo fai notare ti danno del maniaco)
2) L’acqua nel water, senza entrare nei dettagli magari.
3) Lo spazzolone del bagno usa e getta (meraviglia delle meraviglie)
4) Il fatto che i bagni non abbiano mai le finestre, almeno qui (Suppongo sia perche’ di solito il bagno e’ la stanza piu’ interna della casa in cui rifugiarsi in caso di tornado).
5) Il cartello employees must wash hands before returning to work in tutti i bagni pubblici. All’inizio lo trovavo offensivo e perfino ora un po’, pensa te.
- Il fatto che i segnali stradali siano quasi sempre scritti invece che disegnati. Per me era importante perche’ non parlavo inglese.
- Il fatto che se qualcuno ti spiega una strada, ti dice i punti cardinali invece che ‘destra’ o ‘sinistra’. Bel casino, ma ora ci sono i gps per fortuna.
- Il fatto che la gente non cammina mai e se a te gira di farlo senza indossare una tuta da ginnastica e non in un parco, tutti ti guardano con compassione come se fossi il piu’ povero dei poveri.
- Il fatto che i vestiti costano di meno e soprattutto che ci sono grossi sconti e offerte tutto l’anno. Oltre al fatto che il cliente ha veramente sempre ragione qui.
Appena schiaccero’ il tasto ‘pubblica’ mi verranno in mente un sacco di altre cose, e’ fatale.

mercoledì 16 ottobre 2013

la geografia non c’entra

Quando mi sono trasferita qui, avevo paura soprattutto che avrei perso i miei vecchi amici. Ora, dopo sette anni invece, mi rendo conto che forse non e’ cosi’ che funzionano le cose. Sento ancora una vicinanza profonda con quasi tutti i miei amici del passato e se non la sento la verita’ e’ che la geografia non c’entra.
Le persone si perdono in tanti altri modi. Cioe’ forse in fondo in un modo solo, quando non te ne importa piu’. Quando si e’ cresciuti e cambiati in modo talmente radicale e opposto che ti rendi conto che davvero, non c’e’ piu’ molto da condividere. E’ una mezza tragedia, nel vero senso della parola, ma a volte va cosi’.
E’ strano. Ci sono persone che incontri brevemente, anche solo un paio di volte, e che ti rimangono davvero dentro e magari finisce che sanno piu’ di te di quelle che ti vivono accanto. Ce ne sono altre che amavi alla follia in un certo periodo della tua vita e che a un certo punto smettono di piacerti, che fanno scelte importanti che non condividi e non capisci e non le riconosci piu’. E poi ci sono quelle che magari fanno parte di un passato molto remoto, che non sai piu’ quasi nemmeno che fine abbiano fatto, ma di cui adesso che ti guardi indietro con un po’ piu’ di esperienza, senti la mancanza perche’ ora sai per certo quanto siano rare.
Insomma, tutto questo con la lontananza e l’emigrazione ha ben poco a che vedere.

martedì 15 ottobre 2013

e poi ci sono le follie

Raramente vi racconto dei cibi folli in cui mi imbatto. Alla State Fair, ad esempio, vendono qualunque cosa fritta, perfino la coca cola, il gelato o l’intera cena di Thanksgiving, ma tutto questo fa parte dell’eccentricita’ estrema. In questo caso, invece, mi sembrava rilevante condividere l’esperienza.

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Sono dovuta tornare indietro perche’ non pensavo fosse possibile eppure…

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Coni fatti di pasta della pizza e riempiti di frutta e gelato.

MAMMAMIA!

(Non chiedetemi com’e’ perche’ stavolta non ho avuto il coraggio di provare)

lunedì 14 ottobre 2013

lunedì 7 ottobre 2013

alba hawaiana

Ieri sera ho mangiato la pizza 'alba hawaiana'


all-natural red sauce, Canadian bacon, pineapple, roasted cashews, sun-dried cranberries, mozzarella and cheddar cheese

Confesso: non mi e' per niente dispiaciuta.

E ora mi aspetto che da un momento all'altro un oscuro impiegato del consolato italiano bussi alla mia porta per chiedermi indietro il passaporto. Sappiate che non opporro’ nessuna resistenza. Accetto le conseguenze del mio gesto estremo, la giustizia deve fare il suo corso.

mercoledì 2 ottobre 2013

viva la vida

Mi e’ sempre capitato che la gente mi chiedesse come insegnante di arte o anche nei lavori che facevo prima perche’ un tale artista e’ importante rispetto agli altri e ogni volta ci sono diverse considerazioni da fare, ma in certi casi non ci sarebbe nemmeno bisogno di una spiegazione, il motivo e’ del tutto lampante secondo me.
Prendiamo Frida Kahlo, ad esempio.
Oggi con i bambini di prima abbiamo fatto uno dei quadri piu’ felici di Frida. Si intitola Viva la vida ed e’ una natura morta di angurie. Mi sembrava perfetta per fargli vedere i colori complementari all’opera per cosi’ dire. Normalmente mostro il quadro e faccio piu’ che altro parlare loro, ma mi e’ sembrato giusto fargli vedere anche uno dei suoi famosi autoritratti e raccontargli almeno un paio di cose su Frida come il fatto che ha avuto una vita difficile e che a un certo punto e’ stata costretta addirittura a dipingere i suoi quadri sdraiata a letto.
Una bambina riccettina ha cominciato a sbracciarsi.
- Lo so! Lo so!
- Ma non ho fatto nessuna domanda...
- Ma io lo so gia’! E’ esattamente quello che e’ successo a Lady Diana!
L’ho gia’ detto che li adoro vero?
Allora. Il lavoro era semplice. Dovevano solo comporre delle angurie e mischiare ognuno il suo verde.
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Frida Kahlo, The Reconstructionist
C’e’ questa bambina che ha davvero tanti problemi. Abbandonata dai genitori, tirata su dai nonni, dislessica, ma nella mia classe e’ felice ed e’ talmente brava e ben disposta che non ho mai notato che ci fosse nulla fuori posto. Quest’anno pero’ purtroppo la sua insegnante di sostegno arriva proprio durante le mie lezioni e ogni volta e’ un dramma. 
Appena capisce che deve andarsene diventa paonazza ed e’ come se la sua faccia crollasse. Diventa lunga lunga e le sparisce il sorriso.
C’e’ una cosa del lavoro di insegnante che odio. Il fatto che a volte vedi proprio il trauma di un bambino in diretta, nel momento in cui sta succedendo. Te lo immagini quasi mentre lo racconta allo psicanalista fra vent’anni, ma non puoi fare assolutamente nulla per impedirlo perche’ e’ la vita e va cosi’, non c’e’ niente da fare. Cosi’, ho assistito a quel moto di ribellione, ma anche di impotenza che mi ha spezzato il cuore potendo solo prometterle che avrebbe potuto finire il suo lavoro in un altro momento, anche se non sarebbe stato lo stesso e sapevo benissimo che il fatto di essere portata via nel bel mezzo dell’unica attivita’ in cui riesce davvero bene, le sarebbe sembrato incomprensibile e l’avrebbe fatta sentire diversa e peggiore di tutti gli altri bambini.
Prima di andare via, mi ha chiesto solo una cosa, con le lacrime agli occhi:
- Mi scrivi il suo nome per favore?
- Il nome di chi?
- Della signora con i fiori in testa. Voglio scrivere il suo nome.
Guardo il suo foglio e vedo che invece di seguire le mie indicazioni aveva fatto un bellissimo ritratto di Frida. Forse sono troppo sentimentale, ma io sono davvero convinta che quella bambina ci abbia visto qualcosa di speciale in quello sguardo un po’ torvo e in quei colori brillanti. La sofferenza riconosce la sofferenza e la bellezza riconosce la bellezza. 
Per una donna le opere di Frida sono una sorta di specchio dell’inconscio. Avvicinandosi un po’ a lei, credo sia piuttosto difficile non solo non amarla, ma in un certo senso volerle proprio bene, come si vuole bene a qualcuno che si conosce o alla parte piu’ fragile e tragica di se stessi.
Ricordo che una volta portavo in giro un gruppo di visitatori dentro sua mostra a Milano e mentre spiegavo un quadro, una donna scoppio’ a piangere. Io ero giovane e forse non avevo gli strumenti per capire del tutto quelle lacrime, ma poi quando e’ stato il mio turno di piangere Frida e’ stata li’ anche per me, come una sorta di angelo custode con le sue parole e le sue immagini.
Viva la vida.