venerdì 29 marzo 2013

compro una vocale

La mancanza di importanza che gli americani danno ai nomi mi fa ancora diventare pazza.

C’e’ una bambina a scuola che si e’ sempre chiamata in un modo, ma ora ha cominciato a scrivere il suo nome in un altro. Glielo ho fatto notare pensando che si fosse sbagliata e mi ha risposto che le piace di piu’ cosi’.

- Si ma qual e’ il tuo vero nome?

- Non lo so.

- Cosa c’e’ scritto sul passaporto?

- Non ce l’ho.

A quel punto ho mollato il colpo perche’ mi sono resa conto di stare per rovesciarle addosso un bicchiere d’acqua fredda per farla risvegliare.

Idem un altro bambino. Lo conosco da quando aveva tre anni e si e’ sempre chiamato con un certo nome. Quest’anno ha deciso di non scrivere piu’ la ‘s’ finale. Interrogato in proposito, ha risposto che quest’anno ha deciso di accorciare perche’ era troppo lungo, normale, no? Cioe’ io adesso mi metto a togliere e aggiungere un paio di consonanti al mio nome e che problema c’e’? Il bello e’ che le altre maestre non dicono assolutamente nulla.

Ci sono dei genitori, ad esempio, che pretendono che i figli vengano chiamati sempre con due nomi e a volte anche lunghi e loro seguono gli ordini anche se non e’ il massimo della praticita’. Poi magari l’anno dopo, come e’ gia’ successo, il bambino in questione gli tocca chiamarlo in un’altra maniera. Che tu ti abitui dopo un po’, associ quella persona a quel nome e invece no, cambiano.

Insomma, io capisco che per la maggior parte delle persone qui non sia importante che il nome abbia un significato (molti se li inventano di sana pianta i nomi come il giocatore di football che si chiama DeMarco di primo nome perche’ alla madre suonava italiano…), pero’ cambiarlo in corso d’opera e’ un altro paio di maniche.

Conosco una persona qui che si e’ cambiata legalmente il nome per un’omonimia imbarazzante e questo ha un senso, ma negli altri casi? Nel bene o nel male il nome e’parte della tua identita’, come fai a non sviluppare nessun attaccamento per il suono del tuo nome?

giovedì 28 marzo 2013

il turpiloquio

C’e’ una cosa che mi colpisce tantissimo in questo periodo leggendo i giornali italiani: il turpiloquio.

Mi ricordo quando in prima o in seconda media la professoressa di italiano parlando di non so che, uso’ il termine ‘stronzo’. Fu un trauma. Era proprio qualcosa di inconcepibile, un adulto, un’autorita’, un’insegnante che dice una parolaccia.

Mi deve anche essere rimasta questa cosa perche’ ancora oggi mi da’ proprio fastidio quando si usano le parolacce davanti ai bambini. Mr. Johnson mi prende in giro ed e’ completamente in disaccordo. Sono solo parole, dice. Se vivessimo in Italia, non avrei scampo. Non puoi nemmeno dire non si dicono le parolacce se le dicono anche al telegiornale all’ora di cena. E’ un insulto continuo. Provocazioni linguistiche, dicono. A me invece sembra piu’ che altro violenza. Qui non e’ cosi’, anzi di tanto in tanto si alzano certi polveroni inimmaginabili per una sola parola fuori dalle righe. A volte penso che Bersani non riesca a fare un governo perche’ e’ troppo normale ed educato. 

mercoledì 27 marzo 2013

il ghiaccio si e’ sciolto

L’altro giorno mi e’ successo un gran brutto contrattempo, diciamo cosi’. Avevo bisogno di parlarne e soprattutto di parlarne con ‘la mia migliore amica qui’, quella che ultimamente ha fatto un po’ la pazzerella. E’ stato piacevole rendermi conto che in effetti avevo un paio di altre persone a cui rivolgermi, ma io volevo proprio parlarne con lei in quel momento, cosi’ consapevole di rischiare una delusione, le ho mandato un messaggio. Mi ha risposto dopo ore e ore come fa ora, ma appena ha saputo che c’era un problema si e’ letteralente precipitata qui, lasciando perdere quello che stava facendo e con tanto di scorte di confort food. Mi ha reso davvero tanto felice questa cosa. Si dice sempre che non bisogna mai mettere le persone alla prova, ma io… insomma…lo faccio, costantemente. Un po’ per gioco perche’ mi piace vedere le reazioni e un po’ sul serio perche’ ho bisogno di conferme. E stavolta e’ andata proprio come avevo sperato. Gli amici veri si vedono nel momento del bisogno, anche quelli che ultimamente erano un po’ spariti. Mi ha detto delle cose che avevo infinitamente bisogno di sentirmi dire. A un certo punto ha anche farfugliato delle scuse e che probabilmente si stava comportando male nei miei confronti perche’ stava in qualche modo cercando di negare delle cose di se stessa che io non le permettevo di negare. Certo che non glielo permettevo, a cosa servono gli amici altrimenti? Non possono mica guardarti affondare continuando a ripeterti che navighi alla grande. E infatti sono quelli che in questi casi si prendono tutto il peggio che c’e’. Ma ora sembra proprio che il ghiaccio si sia sciolto.

martedì 26 marzo 2013

un casuale gesto di bonta’

Un po’ di tempo fa un conoscente scrisse di voler cominciare a fare qualcosa per gli altri, ma mi colpi’ perche’ non parlava di volontariato o cose del genere, lui voleva fare almeno una volta alla settimana quello che defini’ “un casuale gesto di bonta’”. La sua idea e’ questa: semplicemente di tanto in tanto fai qualcosa di bello per uno sconosciuto. Il mondo e’ un posto pieno di pericoli e cinismo, cosa puo’ valere piu’ di sollevare anche solo per qualche minuto, qualcuno da questo peso? Lui sostiene che e’ cosi’ che possiamo cambiare il mondo intorno a noi, con le piccole cose, a condizione che tutti, nella misura in cui gli e’ possibile, contribuiscano.

In pratica.

Un giorno, dopo essersi comprato un gelato, ha consegnato al cassiere trenta dollari dicendogli di usarli per pagare il conto ogni volta che gli sembrava di vedere qualcuno che ne avesse bisogno. Un’altra volta, ha fatto la spesa e ha regalato la cifra che aveva risparmiato usando la tessera del supermercato a una signora che gli sembrava stremata dai suoi figli piccoli, solo per vederla sorridere un attimo. Poi e’ diventato piu’ sistematico. Ha cominciato a mettere una piccolissima gift card di Starbucks con scritto solo ‘you’re awesome’ vicino alla pompa della benzina o sul tavolo della biblioteca, in piscina. Cose cosi’.

Tutta questa storia mi e’ tornata in mente per via di alcune piccole cose che mi sono successe in questo periodo. Non avendo grandi cifre a disposizione, quello che ho fatto per contribuire alla causa del mio amico e’ stato soprattutto segnalare le persone che facevano bene il proprio lavoro. Ho pensato a come mi sento io quando qualcuno dimostra di apprezzare il mio lavoro e ho voluto ‘regalare’ quella cosa li’. Oltretutto sono fermamente convinta che se tutti cominciassimo dal fare bene il nostro lavoro, qualcunque esso sia, le cose girerebbero mille volte meglio per tutti in questo mondo. Preferisco non raccontare ora esattamente quello che mi e’ successo, ma quello che ho notato e’ che quando fai qualcosa per gli altri, anche una cosa piccolissima che ti costa pochissimi soldi e pochissimo tempo, ti torna magicamente indietro quasi immediatamente. Sotto forma di soddisfazione per il tuo gesto o di un altro gesto simile fatto da altri. Si entra in un meraviglioso circolo virtuoso.

Vuoi vedere che ha ragione quel pazzo del mio amico?

lunedì 25 marzo 2013

il price matching

A volte vedo delle novita’ qui che mi piacciono moltissimo e mi viene voglia di raccontarvele, ma poi ho il dubbio che queste cose esistano uguali anche in Italia perche’ oramai sono sette anni che sono qui e sono cambiate talmente tante cose...

Ma il price matching, mi avete assicurato su FB, ancora non c’e’ o almeno non nel modo che ho visto qui.

Innanzitutto chiariamo cos’e’.

E’ una cosa che qui riguarda soprattutto i negozi di elettronica. Alcune grandi catene americane negli ultimi anni hanno chiuso i battenti e altre erano sull’orlo del fallimento perche’ la gente andava a guardare i computer o quello che gli serviva in negozio e poi lo comprava online a prezzi sempre migliori. Cosi’ ora molte catene hanno adottato un sistema estremamente intelligente a mio parere: se ti presenti li’ con la prova (basta una schermata sul cellulare) che quel computer o quell’oggetto online costa  meno, loro te lo vendono allo stesso prezzo.

E’ una soluzione che porta evidenti vantaggi sia ai rivenditori che sono tornati a fare affari che al cliente che puo’ comprare quello che gli serve al momento, senza aspettare giorni per la consegna a domicilio e al prezzo piu’ vantaggioso.

Prendete il mio caso. Mi serviva un computer nuovo immediatamente. Non avevo il tempo nemmeno di capire bene ccome lo volevo esattamente, cosi’ e’ stato utilissimo andare in negozio, giocare con le varie alternative, scegliere con calma quello che mi piaceva e comprarlo subito senza l’ansia del dover tornare a casa e vedere che magari su qualche sito lo vendevano a meta’ prezzo.

Tra l’altro era un computer appena uscito, il prezzo era uguale ovunque, ma l’offerta di ‘price matching’ valeva per un intero mese. Cosi’ un giorno, un certo rivenditore lo ha messo in offerta, siamo tornati indietro e ci hanno restituito ben centocinquanta dollari.

Una bella esperienza, non c’e’ che dire. Forse in futuro comprare sara’ sempre piu’ cosi.

venerdì 22 marzo 2013

dall’altra parte

Blogamici, in questi giorni sono un po’ presa ma mi trovate spesso dall’altra parte.

Buon fine settimana.

martedì 19 marzo 2013

cos’e’ un lockdown

A scuola in questi anni, ho partecipato a tantissime esercitazioni anti-incendio e anti-tornado. Ultimamente ci siamo esercitati anche in un cosiddetto ‘lockdown’, la procedura di emergenza in caso un personaggio potenzialmente pericoloso si introduca nell’area della scuola. La strage di Newtown ha provocato un’immediata reazione della direzione della mia scuola. Un esperto e’ venuto a fare un’ispezione subito dopo e ha dato dei suggerimenti e delle direttive da seguire per rendere la scuola piu’ sicura possibile.

E’ stato desolante da parte di tutti constatare come, tuttavia, non importi quanto si possa spendere in telecamere e dispositivi di sicurezza, in questi casi non si e’ mai al sicuro. Tutti sanno che ben poco si puo’ fare contro la mente criminale di uno squilibrato deciso a commettere qualcosa di impensabile contro di noi o i bambini, si cerca solo di non peggiorare la situazione con il proprio comportamento.

Il ‘lockdown’ funziona piu’ o meno cosi’.

Viene fatto un annuncio in codice.

Qualcosa tipo: insegnanti, andate in giardino a prendere i giocattoli rossi (o di un paio di altri colori).

A seconda del colore si capisce la gravita’ della situazione. Sta succedendo qualcosa nel quartiere, c’e’ un estraneo sospetto sul campus o c’e’ una persona armata sul campus.

A quel punto ogni insegnante deve chiudere a chiave la propria classe, spegnere le luci, abbassare le tende se c’e’ una finestra e portare tutti i bambini nell’area che e’ stata designata come ‘sicura’. I bambini devono essere piu’ silenziosi possibile, magari leggere un libro. Nessuno per nessun motivo puo’ entrare o uscire dalla classe. Se al momento dell’allarme un bambino e’ rimasto fuori perche’ magari era in bagno nessuno puo’ andare a prenderlo o farlo rientrare in classe. E questa e’ la cosa piu’ allucinante anche solo da immaginare.  Il lockdown e’ un argomento che fa letteralmente venire il mal di stomaco.

Se ci aggiungiamo che poi nel mio caso: non sono solo un’insegnante in quella scuola, ma anche un genitore e che comunque, dalla mia classe che e’ del tutto diversa dalle altre, non ho sentito nemmeno l’allarme, immaginate quanto possa stare tranquilla.

Mi e’ capitato un po’ di tempo fa di leggere un post di una madre italiana che vive qui e che era arrabiatissima perche’ i figli dovevano essere traumatizzati da questo tipo di esercitazioni. A me di questo non importa nulla invece. Purtroppo la situazione e’ questa, meglio che comincino a farci i conti: meglio che gliele spieghiamo noi le cose, piuttosto che le apprendano in modo distorto da altri, no? Anzi, spero che possa dargli magari un minimo senso di sicurezza, sapere che non siamo del tutto impreparati e che ci sono delle cose che si possono fare per superare anche questo tipo di avvenimenti. Queste cose, anche se qui succedono di piu’, possono succedere e sono successe ovunque, a questo punto meglio non lasciare nulla al caso, io la vedo cosi’ almeno.

Quello che fa venire il mal di stomaco e l’arrabiatura a me e’ che queste cose, in generale, esistano. 

lunedì 18 marzo 2013

meri espedienti

Siamo per strada e ha in mano un bicchierino pieno di minuscoli biscotti a forma di orsetto che mangia con gusto. A un certo punto gliene cade uno, uno solo. Fa per raccoglierlo, ma lo fermo. Non mi sembra una cosa cosi’ importante. Niente cibo da terra e poi siamo anche di fretta, dobbiamo andare.

Lui comincia nella sua strana lingua a discutere con me. Capisco qualcosa tipo:

- Bla bla bla bla bear blablablablabla my bear oso oso blablabla bla bla my bear I want I want I want!IMAG4590_1

- No, mi spiace, ne hai tanti altri, non hai bisogno di quello li’.

E praticamente lo trascino via.

A p r i t i c i e l o.

Comincia a piangere, ma nella sua maniera peggiore, quella rumorosa, con i lacrimoni e il fiato corto.

Riesco a fatica a metterlo nel segiolino, ma mi rendo presto conto di non poter guidare in quel modo. Abbiamo un’ora di autostrada davanti. Mi distrae troppo. Cosi’ spengo la macchina, cerco di ragionare.

Qui ci vuole il colpo di genio. Provo il tutto per tutto. Mi volto verso di lui:

- Ascolta, che dici? Vado a vedere se e’ ancora li’ il tuo orso?

Smette immediatamente di strillare. Ha il labbro inferiore sopra a quello superiore. Si strofina gli occhi e mi fa si’ con la testa.

Mentre parlo, come se niente fosse, metto una mano nel bicchierino che ha ancora in mano e prendo un orsetto.

Scendo dalla macchina, chiudo la portiera. Fingo di allontanarmi mentre in realta’ mi abbasso per non farmi vedere da lui che mi sta cercando con lo sguardo.

Riapro la portiera ed esclamo:

- Guarda un po’! Ho ritrovato il tuo orso!

Gli restituisco l’orso, lui si accerta con un’occhiata che non lo stia fregando e mi ringrazia. Poi se lo mangia e si dimentica di tutto, suppongo.

Io non so davvero come si faccia la mamma, soprattutto la mamma di uno di due anni. Mr. Johnson dice che lo tratto come se ne avesse sei, ma io che ne so dei bambini di due anni? Vado avanti per meri espedienti, seguo l’istinto, soprattutto in questo periodo.

E spero di non combinare troppi guai.

venerdì 15 marzo 2013

dove sono i miei vicini

L’altro giorno ho guardato un documentario molto ben fatto. Divertente e commovente al tempo stesso (ma ve l’ho detto ultimamente ho la lacrima facile…). Si intitola Craiglist Joe e parla di un ragazzo che decide di attraversare gli Stati Uniti armato solo di portatile, cellulare e spazzolino da denti. Niente soldi e niente possibilita’ di chiamare casa. Il suo obiettivo e’ cercare di capire se esiste ancora lo spirito di comunita’ in questo paese. Se c’e’ ancora qualcuno che aiuta e si fida degli altri senza aspettarsi di ricevere nulla in cambio.

[Spoiler alert]

E viene fuori di si’, dopo mille peripezie riesce a far ritorno a casa.

Ti lascia proprio con una bella sensazione, pero’ ho spento e ho pensato bello, si’, pero’ se non avesse avuto il tipo con la telecamera al seguito sarebbe andata proprio cosi’?

Insomma, io la maggior parte dei miei vicini a mala pena li conosco di vista e non tutti.

Poi, nemmeno a farlo apposta, oggi e’ successa una cosa. Torniamo a casa e troviamo un sacco di polizia davanti, tipo tre o quattro macchine e un sacco di gente, i nostri vicini appunto. Chi piangeva, chi era talmente in panico da non riuscire nemmeno a spiegare cosa stava succedendo. Erano sparite due bambine del quartiere. Nessuno le vedeva da un’ora e alcuni vicini si erano gia’ organizzati per cercarle. Grazie al cielo le hanno trovate immediatamente dopo i poliziotti. Erano allo Starbucks dall’altra parte della strada, le monelle, che si facevano un frappuccino.

Questo piccolo episodio restituisce in maniera abbastanza accurata l’idea che mi sono fatta in questi anni degli americani. Gente piuttosto individualista, sempre impegnati all’interno dei loro piccoli clan, sempre poco disponibili a fare qualcosa che non sia un’attivita’ precisa. Se andiamo per dire a un concerto o a giocare a qualcosa va benissimo, ma se si tratta di farsi quattro chiacchere o godersi un attimo la vita con una bella cena fra amici, raramente sono disponibili. Quelli supersocievoli vanno in chiesa, pare essere quello l’unico posto in cui si stringono davvero dei rapporti. Pensavo che in effetti se dopo tutti questi anni ho solo un’amica americana, non sara’ solo colpa mia, forse sono un po’ chiusi loro. D’altra parte nel momento del bisogno pero’, ti sorprendono. Hanno una capacita’ di intercettare le necessita’ degli altri che e’ a dir poco strabiliante. A ogni nascita, ogni funerale, ci si fa letteralmente in quattro per gli altri. Ci sono perfino dei siti creati appositamente per aiutare i membri della comunita’ quando gli capita qualcosa sia di bello che di brutto. Nella vita di tutti i giorni, invece, ci si fanno grandi sorrisi e poi ognuno si occupa dei fatti propri.   

giovedì 14 marzo 2013

le vacanze delle mamme

Stamattina stavo per uscire di casa quando ho notato sul display del cellulare un nuovo messaggio da una mia cara amica che avevo visto il giorno prima e mi sembrava perfettamente normale, tranquillla come sempre. Diceva solo:
“I think I’m having a breakdown”
Accidenti, una cosa seria. Breakdown, un crollo nervoso? Una crisi di pianto? Di sicuro niente di buono. Infatti, sono tornata indietro e ho chiesto a Mr. Johnson se ci fosse qualche doppio senso ironico qualcosa che non coglievo. Falle un colpo di telefono. 
Mi ha risposto una voce dall’oltretomba a cui ho detto solo, senti vieni qui, stiamo un po’ insieme.
Struccata, gli occhi gonfi di una che ha appena finito di piangere, i nervi a fior di pelle, proprio lei che e’ sempre cosi’ impeccabile.
Cos’era successo? E’ molto semplice. Che c’e’ lo spring break, la settimana di vacanza che facciamo qui in questo periodo, e che – lo so che non suona bene ma- non ne poteva piu’ dei suoi figli. Tutti di eta’ diverse, tutti di temperamenti completamente diversi, uno molto problematico. Credo che non riuscisse a immaginare un’altra giornata da sola con loro. Aveva bisogno di uno stacco credo, ma non era materialmente possibile, le esigenze di tutti stavano soffocando le sue.
E’ finita che sono stati da me tutta la mattina fino al primo pomeriggio. In realta’ non abbiamo parlato molto di quel messaggio. Abbiamo giocato con l’acqua in giardino, abbiamo mischiato i colori, fatto esperimenti, abbiamo cucinato. Mi e’ sembrato che sia riuscita a decomprimersi almeno un po’. A me e’ parso che avesse solo bisogno di farsi una risata e incontrare uno sguardo amico. Avessimo potuto una bella birra non sarebbe stata una cattiva idea. Quando le ho chiesto se le andava un po’ di macedonia mi ha risposto certo, e’ cosi’ bello quando qualcuno si prende cura di me. Buffo, non ho mai considerato 'offrire una macedonia come prendersi cura di qualcuno, ma anch’io qualche volta mi sono sentita un po’ cosi’. La verita’ e’ che la mamma in tante famiglie, soprattutto quelle numerose, non conta. Non c’e’ tempo per preoccuparsi anche per lei. La mamma e’ quella che manda avanti il meccanismo, non c’e’ bisogno che nessuno mandi avanti lei, che la sostenga o la spinga in qualche modo, lei va, e’ il suo lavoro, la sua natura. Posso solo immaginare come ci si possa sentire schiacciati dalle responsabilita’ e dalle cose da fare lontani da casa, con una famiglia di quel tipo e senza nessuno ad aiutarti.
L’ammiro molto per aver avuto il coraggio di mandare quel messaggio, ha corso un grosso rischio. Le persone tendono a deluderti particolarmente nel momento del bisogno, ho visto. E farsi vedere stanchi, vulnerabili, non e’ il massimo soprattutto in questa nostra piccola comunita’ di gente di passaggio che raramente costruisce rapporti profondi al suo interno. E oltre ad ammirarla mi sento riconoscente nei suoi confronti per avere avuto fiducia in me.

martedì 12 marzo 2013

‘a’ come ‘acacia’ diceva il grillo parlante

Dicono che quando si invecchia, cominciano a tornare in mente immagini particolarmente vivide dei primi anni di vita e io credo che questa cosa succeda anche agli emigranti. La lontananza fa degli strani scherzi, ti fa riscoprire ricordi del passato che non sapevi nemmeno piu’ di possedere.

Mio padre l’otto marzo tornava sempre a casa con un grande mazzo di mimose e  mia madre le metteva in un vaso di vetro a cui teneva tantissimo,  IMG_20130312_001021forse l’unico regalo di nozze che le fosse davvero piaciuto e che poi anni dopo io stessa ruppi giocando a palla in corridoio. Lo ricordo cosi’ bene quel vaso. Era pesantissimo e ancora mi sento in colpa per averglielo rotto cosi’ stupidamente. Profumavano tutta la casa quelle mimose. Ricordo quel   giallo accesissimo e quelle palline pelose che nel giro di un paio di giorni si rinsecchivano. Mi ci tuffavo con il naso e respiravo piu’ forte che potevo. Mi affascinavano tutte le cose che cambiano e durano poco e le mimose eccellevano in entrambe le categorie. Mi piacevano le mimose, mi interessavano. La consistenza, il colore, l’odore, tutto.

Quando sono arrivata qui, ho visto che la festa delle donne non si festeggiava e non me ne sono certo fatta un cruccio, ma hanno cominciato a mancarmi le mimose, moltissimo. Di fatto le mimose sono una delle primissime cose che mi sono mancate dell’Italia perche’ non ho mai visto nulla di simile da queste parti. Cosi’ mi sono messa subito a cercarle, ma non le ho mai trovate. Ho cominciato a pensare che non sarei mai tornata in Italia in questo periodo e che non avrei mai piu’ sentito quel profumo. Non un bel pensiero.

Questo pomeriggio sono andata in uno di quei supermercati in cui vendono tutte le cose piu’ fresche e un po’ fuori dai circuiti della grande distribuzione e quasi non credevo ai miei occhi…in mezzo agli altri fiori, c’erano un paio di mazzi di mimose. Erano oramai quasi da buttare, in Italia non le avrebbero mai vendute cosi’ vecchie, pero’ ancora emanavano un po’ di quel profumo di cui avevo nostalgia. Vorrei sapere descrivere cosa ho provato quando ho sentito quel profumo. La verita’ e’ che sono scoppiata a piangere, come una stupida, al supermercato.

Mi chiedo se questa cosa valga per tutto. Prendi un oggetto qualunque, te ne privi completamente e dopo qualche anno diventa una cosa fondamentale della tua vita, senza la quale quasi non puoi vivere.

lunedì 11 marzo 2013

l’educazione

Eravamo a pranzo con delle persone della famiglia che non vediamo spesso. In quel momento stavo racontando io una cosa e, non so per quale motivo, ho cominciato a tossire, ma fortissimo, proprio da pazzi, una tosse mai vista, lacrimoni, pensavo di soffocare.

Una situazione paradossale.

Cos’avranno fatto i miei commensali? Mi avranno chiesto come stavo? Mi avranno chiesto di ripetere quello che stavo dicendo? Mi avranno fatto un sorriso per sdrammatizzare? Ma nemmeno per sogno.

Hanno cambiato argomento immediatamente e hanno continuato a conversare come se non esistessi. Cioe’: io li’ che morivo e loro che mi ignoravano. Mi sembrava di essere in una puntata di Downton Abbey.

Mr. Johnson dice che qui e’ educato cosi’, che se stai male ti lasciano in pace. A me sembra educato chiedere se uno e’ vivo o morto dopo che e’ rimasto cinque minuti senza fiato.

venerdì 8 marzo 2013

inner inside

Le maestre dicono delle cose che solo le maestre dicono. Tipo le mie alle elementari dicevano fra le altre cose: ‘non sei mica il figlio della gallina bianca!’. Un’espressione che poi non ho mai piu’ sentito. E lo dicevano spesso anche, che strano. Quei piccoli traumi che ti porti dietro. Anche qui le maestre hanno diverse espressioni che sento dire solo a loro e ce n’e’ una in particolare che mi e’ sempre piaciuta:

- Use your inside voice.

Quanto e’ bella questa frase? L’ho sempre trovata cosi’ poetica. Smettila di fare baccano, usa la tua voce di dentro, fermati a pensare, ascoltati, medita bambino, medita, contempla. Ho sentito questa frase centinaia di volte in tutti questi anni alla scuola Flanders e mi e’ sempre piaciuta allo stesso modo finche’ un giorno purtroppo ho scoperto la verita’. Non significava quello che mi ero costruita io, ma semplicemente: usa la voce che si usa al chiuso, non urlare come fai fuori. Avrei quasi preferito non saperlo, che delusione.    

Stamattina raccontavo una cosa e mi e’ venuto da dire ‘my inside voice’ intendendo proprio quel concetto li’ che poi ho scoperto essere sbagliato. E’ che forse dentro di me non e’ cosi’ sbagliato, cioe’ io me lo traduco in italiano e funziona perfettamente. Pero’ stavolta sono stata subito corretta, ‘your inner voice’, la tua voce ‘interiore’. Ora lo scrivo anche qui e spero di ricordarmelo, ci sono voluti sette anni a impararmi questa cosa. Quindi anche voi d’ora in poi ricordate: inside e inner sono due parole abbastanza simili, ma in fondo completamente diverse. Che lingua tecnica.

Quelle cose che vorresti tanto ti avessero detto prima. Tranquilli, mi ringraziate dopo.

giovedì 7 marzo 2013

i casalinghi americani

Ho questa coppia di amici qui. A maggio lui perde il lavoro, lo cerca per qualche settimana, ma niente. Passano i mesi ed e' chiaro che ha smesso di cercarlo. Ci dice che ha capito la sua vera vocazione: occuparsi della casa. Niente figli, lei lavora e lui sta a casa con i gatti. E vissero felici e contenti.

Pensavo che non ho mai visto una situazione cosi’ in Italia. Cioe’ l’ho vista, ma mai come libera scelta.

Ricordo in maniera molto vivida che il papa’ di una mia compagna delle elementari ‘faceva il casalingo’, era una cosa che mi incuriosiva molto, ma poi ho scoperto che in realta’ era disoccupato.

Qui e’ una cosa relativamente comune invece. Il capo di Mr. Johnson, ad esempio, e’ una donna, ha due bambini piuttosto piccoli e suo marito sta a casa con loro. Anche a scuola ho avuto a che fare con qualche papa’ casalingo. Ne ricordo soprattutto uno, marito di un’avvocatessa, che prendeva e portava i bambini tutti i giorni. Mi e’ rimasto impresso perche’ i bambini erano due selvaggi e mi chiedevo se fosse colpa sua. Probabilmente no, chi lo sa, alcuni bambini sono piu’ selvaggi di altri e basta e comunque me lo sarei chiesto anche se fossero stati sempre con la madre. Forse e’ ora che ci togliamo dalla testa certi stereotipi, ogni famiglia dovrebbe essere libera di trovare il proprio equilibrio. Potrebbe non essere cosi’ semplice come sembra pero’.

mercoledì 6 marzo 2013

quella luce

- Ecco, questa e’ quella che mi ha fatto smettere!

Ha esclamato indicando una certa foto sul frigorifero.

- Smettere cosa?

Le ho chiesto stupita.

Lei e’ una collega di Mr. Johnson che col tempo e’ diventata anche un’amica. E’ felicemente sposata, ma non ha mai voluto avere figli.

- Di guardare le vostre foto! Ogni giorno mi fa vedere qualche vostra foto nelle pause e mi piacciono tanto, ma quando ho visto questa… ho detto basta per un mese.

E’ una foto fatta in una sera qualunque qui a casa. Si vedono solo il mio viso sorridente e quello del piccolo Joe, io sono di profilo e lui e’ in braccio e guarda l’obiettivo con curiosita’.

- E’ che e’ stato troppo, mi ha tirato fuori qualcosa…mi ha fatto quasi male. Fino a quel punto era un gioco, erano delle foto buffe durante la pausa pranzo, ma vedervi cosi’ mi ha fatto tremare. Cioe’ non e’ tanto lui, ma sei tu, la tua faccia! C’e’ cosi’ poca luce intorno e sembra quasi che venga da te la luce. Mi hai trasmesso un qualcosa, una specie di benessere, che mi ha fatto paura e ho dovuto fare un passo indietro. Quando ho visto questa foto, ho cominciato a desiderare anch’io di sentirmi cosi’, ma io non voglio, non l’ho mai voluto…e’ passato comunque.

Chissa’ se guardare dall’altra parte basta a soffocare un desiderio inespresso anche a noi stessi. Se basta probabilmente e’ perche’ e’ giusto cosi’. A me non sarebbe bastato era troppo forte, mi urlava nelle orecchie in ogni momento del giorno e della notte quel desiderio. Ma come darle torto? A volte, fa tremare anche me questa cosa. La maternita’ e’ un’esperienza illuminante per tanti versi, ma troppo grande forse per capirla completamente. Ti stravolge la vita, ti rivolta l’anima come un calzino e a volte stenti perfino a riconoscerti. Pensavo l’altro giorno con un nodo in gola che voglio di nuovo bene agli acchiappaconiglietti piu’ o meno come prima. Sono passati piu’ di due anni. E dire che li ho sempre adorati quei due eppure quando e’ nato il piccolo Joe mi sono diventati quasi indifferenti, non mi suscitavano piu’ quell’amore, quella tenerezza di un tempo. Era come se lui, quel piccolo sconosciuto appena nato, si fosse pappato tutti i miei sentimenti.

Se non ti fa paura una cosa del genere, devi essere suonato. Pero’ in tutto questo, c’e’ anche quella luce, che poi l’unica cosa che conta davvero.

martedì 5 marzo 2013

piccoli malintesi linguistici o culturali

A scuola c’e’ una acquario con dentro una medusa.

Joe la vede e giustamente fa: ‘jellyfish!’.

Mi ferma una collega e mi chiede: ‘Esiste una parola per dire ‘jellyfish’ in italiano?’

Lo so che non te l’aspettavi, ma c’e’ una parola per quasi tutto anche in italiano.

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Sono a casa di un’amica italiana e il piccolo Joe continua a fare una cosa che non va bene.

Dopo un po’ chiedo alla mia amica di dirglielo anche lei che magari le avrebbe dato un po’ piu’ di retta essendo la padrona di casa.

- Joe, questo non si fa: mio marito ha detto che non va bene. E stai attento perche’ la prossima volta lo chiamo e ti manda a casa, capito?

Bene, insegnamoli subito chi comanda a questi maschiacci.

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In uno dei miei momenti di massimo splendore.

- You go around like if you had slices of ham on your eyes.

- ?

- What? Why? You don't say that in English? Really?

lunedì 4 marzo 2013

il karma della signora gesso

L’altro giorno chiaccheravo con la Signora Gesso e le chiedevo come si sta trovando nella nostra scuola. Se va tutto bene o se ha delle difficolta’, essendole capitata la classe piu’ numerosa.

- Numerosa? Con diciassette? Figurati! Tu non sai a cosa sono abituata io!

Poi mi ha spiegato di aver lavorato oltre che all’estero, anche nelle scuole pubbliche con classi ben piu’ numerose e problematiche.

- Una volta avevo una supplenza brevissima, in uno dei quartieri piu’ difficili di Dallas. Mi guardavo intorno ed ero l’unica persona bionda con gli occhi azzurri della scuola, facevo quello che dovevo fare, ma mi sentivo completamente fuori luogo. Un giorno lavorai fino a tardi e uscii per ultima da scuola. Stavo caricando un sacco di cose in macchina, avanti e indietro, finche’ per sbaglio lasciai andare la portiera e rimasi chiusa fuori, senza soldi e senza telefono. In giro non c’era un’anima, ne’ un’auto ne’ un passante e stava per diventare buio. Avevo paura di spostarmi, avevo paura di rimanere li’, ero stanca e non riuscivo a pensare, ma sapevo di dovermene andare e in fretta. Non mi sentivo per niente al sicuro. A un certo punto, da lontano sentii il rumore della saracinesca di un garage che si apriva e mi precipitai a vedere di chi si trattava. Mi trovai di fronte quest’uomo un po’ anziano, di colore, che mi saluto’ con gentilezza e che mi inquadro’ subito come la nuova insegnante. Avendo lavorato in quella scuola solo per pochi giorni, mi insospetti’ molto il fatto che mi conoscesse, ma decisi di fidarmi. Mi chiese se avessi bisogno di aiuto.

- Beh…si. A dire il vero, avrei una richiesta un po’ particolare…potrebbe aiutarmi a forzare la portiera della mia macchina?

Il signore scoppio’ in una sonora risata.

- Ma certo! Ce la caviamo molto bene con questo tipo di cose da queste parti!

Si mise all’opera e dopo un po’ effettivamente il vetro si abbasso’ senza rompersi. Mi aveva salvata e non sapevo nemmeno come ringraziarlo. Mi venne in mente di prendere tempo:

- La ringrazio infinitamente e domani mattina ricevera’ una bella sorpresa da parte mia.

La mattina seguente mi presentai alla sua porta con in mano una bellissima torta con scritto sopra ‘grazie’. Tutto sembrava finito li’ ma dopo scuola venni affiancata da un suv dai vetri oscurati. Mi spaventai a morte perche’ mi fece capire chiaramente di essere li’ per me. Mi fermai, cos’altro potevo fare? Scese un giovane uomo e mi mise un braccio intorno al collo. Mi abbraccio’! Voleva solo ringraziarmi perche’ avevo reso suo padre davvero felice con quella torta.              

Ecco vedi, io sono convinta che - non importa dove vai - il novantanove per certo delle persone sono buone, e’un fatto certo. E se tu sei buono con loro vieni ricambiato quasi sempre alla stessa maniera. Io nella vita ho sempre cercato di comportarmi bene con tutti, anzi anche di fare qualcosa in piu’ di quello che avrei dovuto e sai perche’? Perche’ poi ti torna tutto indietro, e’ cosi’ che ti proteggi dalle cose, cercando di restituire quello che hai ricevuto.”

Comincia a starmi simpatica questa signora Gesso.

venerdì 1 marzo 2013

i dolori del giovane emigrante

Stamattina ero ancora a letto, quando e’ arrivato Mr. Johnson e con una faccia un po’ preoccupata mi ha detto:

- Sto guardando il Daily Show di ieri sera. Jon Stewart ha fatto un altro pezzo sull’Italia, mi spiace, se vuoi lo guardiamo insieme.

L’antefatto e’ che l’utimo pezzo di Jon Stewart sull’Italia, che era stato postato e ripostato da chiunque ovunque, mi aveva fatto davvero deprimere (qui, se vi interessa, sono quattro minuti). 

Cosi’, ci guardiamo questo nuovo insieme (qui) e a sorpresa, e’ molto meno pesante. Dico:

- Ma come e’ tutto qui? Ci e’ andata bene stavolta…

- Insomma… qui si tende a non infierire solo quando le cose si mettono davvero male...

Prima stoccata della giornata. Poi mi imbatto in questo articolo di ‘Internazionale’ e mi girano davvero le scatole. 

Sono le ‘regone’ dell’emigrante.

Numero uno: “Non ti lamentare: il gusto di dire che l’Italia è un paese di merda spetta solo a chi ci resta”.

Mi viene da dire, va benissimo, lamentatevi pure fra di voi.

Possibile che a nessuno venga in mente che uno puo’ decidere per mille diversi motivi di andarsene, ma continua ad amarlo lo stesso forse ancora di piu’ il suo paese? Possibile che non si capisca che non e’ facile andarsene, che e’ una sofferenza, sempre e crescente da quanto vedo, qualunque cosa buona o cattiva si possa trovare altrove? Ma si’, dopo tutto metterci gli uni contro gli altri anche quando chiaramente vogliamo tutti la stessa cosa e’ la nostra specialita’.

e’ una questione di principio

Lo fece svegliare di soprassalto un dolore al collo diventato all’improvviso insopportabile. Quanto aveva dormito? Dov’era? Dove stava andando? Ah certo. Era in macchina, guidava lei e anche piuttosto forte. Sbadiglio' portandosi la mano chiusa a pugno davanti alla bocca e si stiro' le braccia. Si rialzo' facendo aderire bene la schiena al sedile e quello che vide in quel momento fuori dal finestrino lo spavento' a morte. L’auto su cui viaggiavano procedeva in controsenso sull'autostrada. Le altre macchine correvano contro di loro e lei cercava di schivarle concentrata come se stesse giocando a un videogame o qualcosa del genere. Sembrava cosi' tranquilla. Lui senti' il cuore stringersi nel petto, avrebbe voluto urlare, ma per un momento rimase senza respiro.
- Stai guidando in controsenso, devi uscire, diosanto ci ammaziamo!
- Guarda bene.
Disse lei come se non stesse succedendo assolutamente nulla.
- Sono gli altri che guidano al contrario, noi stiamo andando dalla parte giusta.
Si rese conto che era proprio cosi', ma…
- Va bene, ma non importa, dobbiamo uscire da questa cazzo di autostrada! Adesso!

- Non si puo', e' una questione di principio.