venerdì 30 novembre 2012

il suo nome e’ magic

Questa settimana oltre a fare il mio lavoro ho sostituito l’insegnante di spagnolo. Ho lavorato tutti i giorni tutto il giorno, il piccolo Joe, come ogni volta che ci sono dei cambiamenti, non ha dormito per niente bene e il risultato e’ che sono distrutta, stanchissima, sto per stramazzare.

Stamattina, mi sono svegliata con gli occhi gonfi come quando piangi prima di dormire. A un certo punto, mi osservavo allo specchio per cercare di ricordarmi perche’ avevo pianto, ma… non avevo pianto, avevo solo un sonno indescrivibile.

Ad ogni modo, in queste condizioni, arrivo a scuola. Accompagno il piccolo Joe in classe e la maestra mi fa:

- Guarda abbiamo una nuova bambina, Magic.

- In che senso?

- Quella bambina li’ ha cominciato oggi, Magic.

- Come hai detto che si chiama scusa?

- Magic.

- M - A - G - I - C?

- Si.

Mi guarda come se avessi detto qualcosa di strano. Mi giustifico.

- Scusa, forse e’ che sono straniera e non ho mai sentito un nome simile…

Tra l’altro la bambina sembrava proprio magica, tipo una fatina o qualcosa del genere. Per un attimo ho avuto il dubbio di stare ancora sognando.

Allora sono andata a prendere un caffe’ con una nuova amica dallasiana che qualche mese fa ebbe la bizzarra idea di gugolare ‘mucca chianina’ e per qualche imperscutabile motivo fu catapultata proprio su queste pagine.

Lei da Dallas sta per trasferirsi in Italia, mentre io ho fatto il percorso inverso, diciamo che abbiamo un po’ di cose in comune.

Comunque sia le racconto la storia di Magic, giusto per capire da una madrelingua se sia un nome vero o cosa. Qui in realta’ c’e’ un sacco di gente che se li inventa di sana pianta i nomi, ma no, mi diceva, l’unico Magic che abbia mai sentito e’ il giocatore di Basket, Magic Johnson, ma era solo un soprannome, no? Chissa’ che accidente gli passava in testa ai genitori, ci diciamo.

Dopo un po’ mi fa:

- Sai che mia sorella lavorava proprio in questo Starbucks? E’ la piu’ piccola. Dopo due femmine i miei si erano autoconvinti che avrebbero avuto un maschio e…

Un brivido mi ha percorso la schiena come ogni volta che capisco di aver appena detto la cosa sbagliata e si’, e’ andata proprio come temevo.

- …le hanno lasciato il nome da maschio che avevano scelto, Houston.

Si’, Houston, come la citta’, perche’ c’e’ una sacco di gente che i nomi…

giovedì 29 novembre 2012

sul giornale della domenica

Ogni tanto, quando sono di fretta in classe, do ai bambini dei fogli di giornale da mettere sotto a quello che stanno facendo per non sporcare troppo il tavolo. Di solito si tratta sempre del giornale della domenica, l’unico che qui qualcuno ancora compra perche’ e’ pieno di offerte e omaggi. Allora. Il mese scorso, una bambina a cui era appena morto il padre e’ incappata nel suo elogio funebre e stamattina questo.
‘All the shooting essentials you need’, compresa la pistola rosa per le ragazze romantiche e una serie di fantastici bersagli a forma di zombie. Mai piu’ senza. Il tutto ovviamente pubblicizzato accanto a vari articoli per bambini, giusto per abituarli bene a questo tipo di immagini fin da piccoli.
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L’ho lasciato sul tavolo di proposito per vedere cosa succedeva e nessun bambino lo ha notato. Del resto, la settimana scorsa una bambina di prima mi raccontava tutta orgogliosa che nel loro ranch il padre spara anche ai serpenti, non credo si impressionino per cosi’ poco.
Visto che il tavolo si insudicia regolarmente lo stesso, forse dovrei lasciare perdere i giornali.

mercoledì 28 novembre 2012

i primi tempi

Mi e’ tornato in mente che all’inizio il tipo di cui vi raccontavo ieri non mi stava particolarmente simpatico. Lui e’ il migliore amico di Mr. Johnson da tempi immemorabili, e’ perfino venuto al nostro matrimonio in Italia. Ogni volta che abbiamo avuto bisogno di qualcosa e’ sempre stato presente. Una volta si e’ fatto quattro ore di strada per aiutarci a far passare un divano da una porta, un vero amico insomma, ma all’inizio io non lo capivo, non capivo quello che diceva, e non era solo questo. Lui scherza sempre e non c’e’ cosa piu’ frustrante per una persona che non parla bene una lingua di non capire perche’ gli altri ridono. Non sai mai che faccia fare, se ti hanno offeso… e’ imbarazzante. Ricordo un’infinita’ di serate cosi’, passate ad abbozzare, a cercare di capire cosa succedeva, a non sentirmi me stessa, a non riuscire a esprimermi, a un certo punto a rinunciare a esprimermi, mentre percepivo che invece avrei potuto starci bene con quelle persone perche’ in fondo avevamo una miriade di cose in comune.

Pensavo oggi che obiettivamente i primi tempi qui, sono stati duri, che una conversazione su argomenti profondi e difficili come quelli di cui vi accennavo ieri, la potevo solo sognare, ma io non li ricordo cosi’ quei momenti. E anche tornando a rileggere quello che scrivevo allora, non sembra che me la passassi poi tanto male, anzi. Forse e’ solo che ero davvero convinta della mia scelta e vedevo tutto con gli occhi della novita’, ero disponibile nei confronti della vita. Insomma, l’entusiasmo fa la differenza.

A volte succede che esperienze che tranquillamente potrebbero abbatterti (come un trasloco transoceanico ad esempio…) ti fanno un baffo e altre che sulla carta dovrebbero essere un bel po’ piu’ semplici, ti colgono di sorpresa e ti fanno stramazzare al suolo perche’ quando sei convinto di una cosa per quanto difficile possa essere e la vuoi fare veramente, non ti ferma nessuno, quando invece non te la sei cercata.... 

Come dicono le giovani marmotte be prepared.

martedì 27 novembre 2012

due modi di essere di sinistra

L’altro giorno parlavo con un mio amico americano di politica. Lui nella vita fa altro, non se ne occupa direttamente per ora, pero’ e’ da sempre una delle sue passioni. Ne parlavamo tra l’altro perche’ ultimamente ha avuto un po’ di grane con i suoi amici su Facebook: alcuni hanno cominciato a lamentarsi dei suoi post a sfondo politico e lui a un certo punto, sotto elezioni, ha deciso di cominciare ogni post con un disclaimer ‘questo e’ un post politico’ oppure ‘questo non e’ un post politico’ cosi’ le persone sapevano a cosa andavano incontro continuando a leggere. Gli dicevo piu’ o meno che mi sembrava una stupidata e che se fossi stata in lui suppongo che o avrei continuato a scrivere le mie cose incurante dei commenti negativi o avrei direttamente scancellato (unfriend) quei cosiddetti amici che mi importunavano. Non mi sembra giusto lamentarsi perche’ qualcuno esprime un’idea diversa dalla propria oppure semplicemente perche’ ha voglia di parlare di un argomento che a me non piace.

Lui mi ha risposto che invece scrive quei post politici proprio per arrivare a quelle persone apparentemente ottuse, che per lui non c’e’ soddisfazione piu’ grande che discutere con quelli che la pensano in modo diverso dal suo. Che in fondo li deve ringraziare perche’ sono proprio loro a costringerlo ad argomentare, a informarsi, ad andare a fondo delle cose, non quelli che sono gia’ dalla sua parte.

Come dargli torto?

Vi confesso che mi piacerebbe essere come lui, ma non lo sono. Non credo nemmeno di averceli degli amici che la pensano in modo cosi’ diverso dal mio. Amo discutere, ma fino a un certo punto. Se una persona ha delle idee davvero lontane dalle mie, mi avvilisco. Anzi, piu’ che avvilirmi mi innervosisco. Non riuscirei mai a discutere pacatamente come fa lui con un razzista o un omofobo ad esempio. Eppure e’ cosi’ che si fa politica, confrontandosi, cercando di portare l’altro dalla tua parte senza giudicarlo.

Ecco c’e’ una mia conoscente italiana che oggi ha scritto sempre su Facebook un post riguardante le primarie del Centrosinistra. Questa persona ha la mia eta’, ma si occupa da molti anni di politica. Esordisce affermarndo che fa uno strappo alla regola perche’ non scrive mai su Facebook, come se fosse una cosa imbarazzante da cui prendere le distanze e finisce la sua riflessione (che tra l’altro trovo condivisibile almeno in parte) con questa frase:

“Chiediamocelo, elettori di sinistra (quelli di destra che hanno votato per Renzi non mi interessano...)...”

Ma come non ti interessano? Mi veniva da dirle.

Vedete quanto e’ diverso l’approccio? E lo dico facendo tutta l’autocritica del caso. Usiamo un mezzo di comunicazione, ma non fino in fondo per non confonderci nella massa. Facciamo una riflessione, ma ci rivolgiamo solo ai nostri. Questo approccio, tipico della sinistra italiana, direi piu’ o meno tutta, trasuda senso di superiorita’ da tutti i pori. In questo modo non si va da nessuna parte, ci tocca cambiare, parlare a tutti, per forza.

domenica 25 novembre 2012

sempre ‘avanti’ lui

Vado a prenderlo in palestra e mi accorgo che bisogna cambiarlo.
- Ma non gli stai insegnando a usare il bagno?
- Beh, non ancora, non credo sia pronto, non ha nemmeno due anni…
- I miei figli hanno imparato tutti e due a usare il bagno da soli a un anno, basta insegnarglielo!
- Ah davvero, che bravi…e come glielo hai insegnato?
- Gliela facevo fare sotto un albero, loro pensavano che fosse divertente e hanno imparato a capire quando gli scappava.
- Il mio a un anno non camminava nemmeno.
- Guarda che non e’ mai troppo presto. Ad esempio, una mia amica l’ha insegnato alla figlia di sei mesi. A un anno e mezzo sapeva andare al bagno, le lettere dell’alfabeto e anche i numeri! Si puo’ fare, basta provarci!
Sono andata via, molto perplessa.
Le mie ipotesi sono due:
1. Le madri che fanno cosi’, e sono tante, per qualche strano motivo, cercano di farti sentire inadeguata. Stupido, io non ci gioco a questa roba qui. 
2. Sono cose successe talmente tanto tempo fa che oramai sono entrate nel mito. Aveva un anno o due? Due o tre? Le date si mischiano e si fa confusione. Perche’ su, lo so che ci sono madri che insistono che il figlio a sei mesi capiva quando era il momento, non e’ certo un caso isolato, ma io non ci credo. A sei mesi non sanno parlare, come fanno a farti capire che devono fare la pipi’?
E poi comunque, sapete che vi dico? Anche se fosse possibile, io i pannolini a mio figlio glieli voglio cambiare, e insomma. Fa parte dell’essere bambino, oltre che dell’essere genitore, non e’ l’aspetto piu’ divertente, ma cos’e’ tutta questa fretta di crescere?
Gli stimoli al piccolo Joe vengono dati in continuazione, facciamo mille attivita’ (ved. FB), gli spieghiamo le cose, ma vogliamo che nel limite del possibile, segua i suoi ritmi, l’importante e’ che sia sereno.
E infatti mio figlio e’ gia’ ‘avanti’ rispetto ai suoi coetanei. Stamattina, per esempio, contava in due lingue.
One, two, four, sei, otto….

giovedì 22 novembre 2012

il giorno del ringraziamento

E’ mezzanotte e sto aspettando di tirare i biscotti fuori dal forno. Domani e’ il giorno del ringraziamento e il cibo del IMAG0140giorno del ringraziamento e’ importantissimo. Ci sono tutta una serie di piatti che vengono preparati da generazioni. Ogni famiglia ha le sue tradizioni. Chiedo sempre se posso portare qualcosa, ma mi dicono sempre di non preoccuparmi. Ognuno ha i suoi compiti e io ancora non ne ho uno mio, forse anche perche’ il giorno del ringraziamento non e’ una mia tradizione in fondo. Ad ogni modo, quest’anno ho deciso di contribuire lo stesso con questi biscotti.  Sono molto stupita dal fatto che assomiglino in maniera impressionante alla foto della ricetta. Vuoi vedere che stavolta mi sono venuti? Non ci posso credere, sicuramente avro’ messo il sale al posto dello zucchero. Quanto invidio le persone che sanno cucinare e ancora di piu’ quelle che si divertono facendolo. Comunque, questa festa mi piace perche’ e’ davvero genuinamente sentita e non implica grandi consumi come tutte le altre. E’ l’unico giorno dell’anno in cui e’ quasi tutto chiuso anche se lo sforzo di non comprare per un’intera giornata per gli americani e’ talmente grande che hanno inventato il Black Friday, dove si azzuffano alle quattro del mattino per un paio di calzettoni in saldo. Ognuno si diverte a modo suo e anch’io spero di divertirmi domani.

Buon giorno del tacchino a tutti. 

mercoledì 21 novembre 2012

qui di treni non ce ne sono molti

Andiamo al parco quasi tutti i giorni e li’ succede quasi sempre qualcosa di interessante.

Innanzitutto, mi diverte molto osservare le varie tipologie di genitori. C’e’ una notevole differenza di approccio fra madri e padri, quando si tratta dell’eta’ dei pargoli ad esempio...

- …Un anno…

- Tredici mesi fra due giorni.

Indovinate chi e’ chi.

Oggi sono stata avvicinata da una mezza pazza, tanto per cambiare. O forse non era completamente pazza, forse aveva solo un disperato bisogno di parlare e in fondo puo’ darsi che anch’io avessi un disperato bisogno di ascoltare o almeno non mi e’ dispiaciuto. Mi ha agganciato chiedendomi se il piccolo Joe fosse il mio unico figlio e non sono per niente sicura che abbia ascoltato la risposta. E’ partita a bomba a raccontarmi il suo piu’ grande dubbio esistenziale.

- Ho trentotto anni, ne faccio un altro oppure no?

L’ho lasciata sfogare un po’ e poi le ho detto molto francamente:

- Senti, sono una completa sconosciuta, e’ la prima volta che parliamo e non so nulla di te, ma se stiamo avendo questa conversazione, ci sara’ un motivo, no?

- […] Se lo raccontassi a mia madre penserebbe che sono pazza a volerne un altro…

Strano come spesso si finisca per aprirsi meglio con degli estranei che con le persone piu’ care, e’ successo anche a me diverse volte, specialmente in treno. Qui di treni non ce ne sono molti.

Le chiedo come si trovi con il figlio che gia’ ha visto che non e’ semplice eventualmente averne due piccoli insieme. Mi risponde:

- Ah, lui e’ un mostro!

- Come?

- E’ un mostro, e’ orribile, e’ un bambino fuori controllo. Non mi fraintendere, lo amo da morire, ma e’ orribile, e’ proprio un mostro.

Mi ha fatto molto ridere il modo in cui lo ha detto. Pero’ in effetti, a me non e’ mai venuta in mente una battuta del genere sul piccolo Joe, mai, nemmeno fra me e me nei momenti peggiori. E’ che lui deve essere proprio un ragazzino simpatico, immagino. Proprio oggi pensavo che prima di conoscerlo, ero convinta che fosse noiosissimo passare una giornata con un bambino della sua eta’, lui invece per me e’ interessante, e’ cool.

Mentre l’ascoltavo pensavo tante cose e dicevo poco. Da un lato mi infastidiva e dall’altro quasi mi affascinava questo suo dare tutto per scontato, questa sua arroganza inconsapevole nel ritenere che si trattasse semplicemente di una sua scelta.

- Se lo faccio, lo faccio fra due mesi, non di piu’.

Con il mio solito fatalismo, ho pensato che magari, non fosse un caso che stesse importunando proprio me, che forse avrei dovuto darle un nuovo spunto di riflessione. Chissa’ magari ero io quello sconosciuto che incontri un giorno per caso e che ti cambia la vita. Va bene, la smetto.

Ad ogni modo, le ho detto una sola cosa, ma con il cuore E’ una cosa che ho fatto fatica, ma che mi e’ capitato di dire in passato a diverse amiche mie coetanee quando mi hanno confessato cose come ‘adesso, va bene cosi’, magari fra un paio d’anni faccio un figlio’. E’ una cosa che, non e’ cosi’ scontata come sembra e che mi sarebbe piaciuto che qualcuno avesse detto a me verso i ventisette anni.

- I bambini non arrivano a comando e anche quando arrivano presto non dobbiamo mai dimenticare quanto sia un privilegio pazzesco e una fortuna che siano arrivati. Insomma chiarisciti le idee e se e’ questo quello che vuoi, non aspettare.

A quel punto mi e’ sembrato quasi che per un secondo le sia balenato qualcosa di nuovo nella testa. Poi ha detto:

- Gia’, ti raccomando senza dubbio di avere un altro figlio.

O almeno cosi’ ho tradotto io letteralmente nella mia testa (‘Yeah, I definitely recommend you to have another child’). Ma allora…avevo appena fatto un bel discorsetto a me stessa? Di chi stavamo parlando?

Poi ha detto ‘ciao, e’ stato bello parlare con te’ e se n’e’ andata con il mostro.

lunedì 19 novembre 2012

una domenica

A un certo punto, alla fine del pranzo in uno di quei ristoranti per vecchietti dove ci porta sempre lei, uno di quelli in cui ti servono il polpettone con il ketchup e la gelatina, ha tirato fuori dalla borsetta una scatolina di quelle dei gioielli. Credo di avere spalancato gli occhi, non ci sono mai grandi colpi di scena con la Nonna Johnson.

Dentro c’era un anello d’oro. Le pietre, tre, erano dello stesso identico colore dei suoi occhi. Ho concluso che di sicuro e’ per questo che il figlio, tantissimi anni fa, penso’ di regalarglielo.

- Ho smesso di usarlo perche’ mi si sono ingrandite le nocche delle mani, ma l’altro giorno me ne sono ricordata all’improvviso. L’ho cercato ovunque e non lo trovavo. E’ stato terribile, non potevo credere di averlo perso. Poi e’ saltato fuori, ho pensato che fosse giusto che lo tenessi tu.

Io assistevo alla scena, aspettando di capire cosa sarebbe successo dopo. Qualcuno ha provato a sdrammatizzare anche, ma una lacrima incurante ha cominciato ad affacciarsi timida da quegli occhi blu e grigi come le pietre dell’anello.

Ho guardato bene, erano proprio lacrime. Me ne sono voluta assicurare perche’ non ho mai visto la Nonna Johnson commuoversi, non e’ proprio il tipo lei. Quando, frugando nel caos della mia borsa, sono riuscita a trovare un fazzoletto di carta, aveva gia’ il naso bagnato. Quel naso importante, quella pelle bianca e fine che per una volta, sembrava di vederci attraverso anche il dolore.

Dopo pranzo gli ha consegnato anche uno scatolone pieno di filmati familiari degli anni Sessanta con un aggeggio a manovella per guardarli e montarli. Sono molto gelosa, non so cosa darei per avere un simile patrimonio di memorie della mia famiglia.

Il bello e’ che pero’, quando giri la manovella e vedi quei visi sgranati in quel piccolo schermo ti emozioni tantissimo lo stesso, anche se non hai idea di chi siano quelle persone buffe che si mettono in posa davanti alla telecamera come se dovessero fare una foto o che riprendono un tramonto di chissa’ quando e chissa’ dove.

Una domenica piena di emozioni e nodi in gola. In qualche modo felice. Gia’.

venerdì 16 novembre 2012

ci rinuncio

Vi ho raccontato diverse volte di quanto le raccolte fondi siano importanti da queste parti. Si raccolgono donazioni sempre, ovunque e per qualunque causa. Ai semafori qui non si vedono poveri che chiedono soldi, ma pompieri, boyscouts e cheerleaders, una cosa ancora stranissima per me, ma solo per me.

Immaginate quante raccolte fondi possano esserci in una scuola privata e ancor di piu’ in una scuola privata e cristiana come quella in cui lavoro io. La settimana scorsa, ad esempio, ho trovato sia la richiesta di un contributo per fare dei regali di Natale ai bambini poveri sia quella di un contributo per supportare l’associazione dei genitori che organizzano attivita’ extrascolastiche per finanziare la scuola (praticamente raccogliere fondi per quelli che raccolgono fondi).

Questa volta, pero’, si sono inventati davvero un’idea originale.

Fare pagare dieci dollari al giorno per comprare il diritto per il proprio figlio di non indossare l’uniforme quel giorno. Cinquanta dollari per l’intera settimana dal lunedi al venerdi, mica bruscoletti, con quello che pagano di retta poi. E non e’ che siano tutti straricchi.

Non mi va nemmeno di spiegare sotto quanti punti di vista mi sembri sbagliata un’idea simile. Quello che davvero mi ha fatto impressione in questi giorni, e’ stato vedere la distinzione che si e’ creata fra i bambini.

Alcuni si sono potuti vestire liberamente (ma molto liberamente, cappellini, occhialetti…giustamente non potendolo fare mai si sono sbizzarriti) e altri no. Quindi tu vedevi a occhio nudo chi aveva sganciato e chi no.

Che bello papa’, hai visto? Basta pagare e puoi fare come ti pare.

Piu’ vado a avanti e piu’ credo che questa storia delle donazioni non la capiro’ mai del tutto.

mercoledì 14 novembre 2012

perche’ la felicita’ dura solo un minuto

Oggi ho chiesto ai miei bambini di quinta di completare una frase (che ai lettori di Nonsisamai suonera’ familiare):

“Noi tendiamo a cercare la felicita’ mentre la felicita’ in realta’ e’…”

Un ragazzino ha scritto ‘tristezza’.

- E’ questo quello che pensi? E’ successo qualcosa che ti rende triste?

E la sua maestra:

- Lascia stare, sta solo facendo lo sciocco (silly).

Ma io ho insistito:

- Perche’ hai scritto che la felicita’ e’ tristezza?

- Perche’ la felicita’ dura solo un minuto.

La maestra ha ripetuto che stava facendo lo sciocco e gli ha fatto cancellare quella parola.

Non voglio sembrare presuntuosa, ma a volte penso che solo la maestra di arte dovrebbe essere ammessa nella classe di arte.

C’e’ tutto il resto della vita giornata per sentirsi frustrati.

martedì 13 novembre 2012

quella vocina

Oggi il piccolo Joe ha passato qualche ora con la babysitter. Lei e’ dolcissima, mamma di due ragazzini, in attesa di un terzo bambino in affidamento, maestra part time in un asilo nido, cosa chiedere di piu’?

Eppure ieri sera, non so perche’ proprio prima di dormire, mi sono improvvisamente ricordata di quella babysitter di New York che la settimana scorsa ha fatto fuori due fratellini.

Che pensiero stupido. Ma… se invece fosse il famoso istinto materno? Quello che non si sbaglia mai? In fondo anche quella li’ di sicuro non avra’ avuto mica la faccia da serial killer, no?

- Senti Mr. Johnson secondo te come si distingue il sesto senso materno dalla paranoia?

- Se sono preoccupato anch’io e’ sesto senso altrimenti e’ paranoia, buonanotte, eh.

Poi ti svegli al mattino e fai quello che devi fare e grazie al cielo non succede proprio nulla. Torni a casa zitta zitta e li trovi sul pavimento che giocano felici e contenti. In effetti, e’ molto probabile fosse paranoia stavolta.

C’e’ questa mia amica che ha sua una frase preferita quando parliamo di queste cose. Anzi piu’ che altro e’ una domanda. Dice sempre:

- Come fai a fidarti, a essere sicura di conoscere davvero una persona fino in fondo?

Implica che non ci si puo’ fidare mai, e’ questo che vuole ribadire sempre. Con tutte quelle che si sentono.

Recentemente ho parlato con un genitore che ha costretto i figli a buttare via tutti i dolcetti di Halloween. Alla mia obiezione che le confezioni sono tutte individuali e chiuse, ha risposto:

- Si, ma potrebbero aver iniettato qualcosa con una siringa.

Li’ ho pensato, ma come mi sentirei se sapessi che i miei vicini di casa sospettassero che fossi in grado di compiere un gesto del genere? Si certo, magari non mi conoscono benissimo, ma e’ orribile. Vale la pena creare un clima del genere per una legenda metropolitana? A me pare che il rischio che un dolcetto di Halloween sia avvelenato sia significativamente minore rispetto a quello di una caduta, un incidente, un fulmine.

Dopo qualche giorno, ero con una persona che non appena e’ arrivata, ha acceso una certa applicazione che ti permette di vedere se nella zona abita qualcuno che e’ stato arrestato per crimini a sfondo sessuale. Si, immagino che alcune persone si possano sentire piu’ tutelate in possesso di determinate informazioni, ma cosi’ non si vive piu’.

Insomma, io penso che sia giusto e doveroso vigilare, ma a un certo punto devi prendere quella vocina paranoica e bastarda che abita dentro di te e le devi mettere un bel cerotto sulla bocca. Tanto il pericolo arriva sempre da dove meno te lo aspetti, non puoi insegnare ai tuoi figli a vivere nella paura e nella diffidenza, o almeno non e’ questo il modello di societa’ a cui voglio contribuire.  

lunedì 12 novembre 2012

live large and think big

Live large and think big e’ il motto di Dallas e in effetti mi pare gli calzi a pennello. E’ da sei anni che vivo qui e la citta’ e’ gia’ cambiata completamente. C’e’ questa idea del nuovo qui -deve essere sempre tutto nuovo- che mi affascina da morire e non so nemmeno io il perche’ considerato il mio background.

L’architettura e’ il massimo da queste parti. La citta’ sale come direbbe Boccioni, pulsa, e’ viva e la gente lo sente, e’ costretta a farci caso.

Probabilmente non ne avete mai sentito parlare in Italia, ma proprio il bellissimo museo progettato da Renzo Piano a Dallas e’ al centro di una disputa architettonica fra le piu’ appassionanti degli ultimi anni. Poco tempo fa, vicino al museo e’ stato eretto un nuovo edificio, coperto di specchi. Non c’e’ stata nessuna violazione, ma e’ successo qualcosa a cui incredibilmente nessuno ha pensato per tempo: il riflesso del sole sui vetri del nuovo grattacielo e da li’ sul Nasher Sculpture Center, provoca un innalzamento talmente notevole della temperatura da mettere in serio pericolo sia le opere che il giardino. Il problema e’ grave e complesso, la battaglia e’ aperta e all’ultimo sangue, nessuno vuole cedere, chissa’ come andra’ a finire.

Nel 2009 e’ stato inaugurato lo splendido AT&T Performing Arts Center per ogni tipo di esibizione artistica, il teatro classico o sperimentale, i concerti, l’opera, la danza. Pochi mesi fa e’ stato inaugurato il nuovissimo ponte di Calatrava a DSC04255 (2)Dallas e infine un paio di settimane fa un parco davvero particolare, il Klyde Warren.

Prima fra l’Art District, il quartiere dei musei, e quello di Uptown, c’era un’autostrada, ora invce c’e’ questo parco, nel senso che il parco e’ stato costruito direttamente sull’autostrada come su una sorta di grande ponte. E’ un parco relativamente piccolo per le consuetudini texane, ma pieno di cose da fare. C’e’ l’area dedicata ai cani, quella per giocare a scacchi, a ping pong e a un sacco di altre cose, poi c’e’ la zona lettura con il prestito libri, la connessione Wi-Fi e tantissime attivita’ gratuite ogni giorno (corsi, concerti, visite guidate…).     

C’e’ un’atmosfera fantastica. Gia’ solo vedere tanta gente in giro a piedi a Dallas e’ un evento (qui siamo abituati purtroppo a guidare ovunque) e poi estranei che parlano, leggono, giocano, cani, bambini, un grande caos, ma allegro, tollerante.

La nota di colore e’ che il parco e’ dedicato al figlio di nove anni del multimilionario che ha finanziato la costruzione del parco. Suppongo che se doni dieci milioni a un progetto ti e’ consentito intitolarlo anche al tuo canarino, pero’ mi piacerebbe sapere come se la vive questo bimbetto balzato all’improvviso agli onori delle cronache cittadine tutta questa celebrita’. Io mi sentirei importantissima se mi dedicassero un parco, ma anche una lavanderia o una barchetta a remi. Secondo me il padre in realta’ e’ J. R. E’ troppo una cosa da soap opera questa di intitolare un parco al figlio. Che poi dico, se per caso arriva un altro erede cosa gli intitola?

venerdì 9 novembre 2012

cacchi nostri

L’altra sera mi arriva un messaggio da Mr. Johnson che faceva la spesa:

“Vuoi i cacchi?”

Forse c’e’ una ‘c’ di troppo, ma si certo che li voglio i cachi.

A casa, chiedo per curiosita’ quanto costino perche’ non li avevo mai visti in quel supermercato i ‘cacchi’.

- Non lo so, non ho controllato…aspetta che guardo sullo scontrino…

Fa per buttare lo scontrino.

- Non ti preoccupare, gustateli e basta, saranno buonissimi!

Quindici dollari. Erano cinque piccoli cachi da tre dollari l’uno. Tantissimo.

Senza dubbio, ha sbagliato lui a non controllare bene il prezzo pero’ anche loro a non esporlo come fanno normalmente. Vi diro’ la verita’, a me questi ‘cacchi’ non stavano bene anche per una questione di principio. Non mi sembra giusto che il nostro supermercato di fiducia, dove facciamo la spesa tre o quattro volte la settimana da anni e anni, usi questi mezzucci.

Fossi stata in Italia non me lo sarei nemmeno sognata, ma qui…l’ho fatto. Volevo togliermi la soddisfazione di spiegargliela questa cosa e li ho riportati indietro.

Ci sono voluti due minuti. Ho detto semplicemente quello che era successo e che, certo, avevamo sbagliato a non controllare il prezzo, ma che non mi sembrava giusto che non lo esponessero come gli altri. Poi non e’ un supermercato di frutta esotica, non te l’aspetti una sorpresa del genere e insomma. Sempre con molta cortesia.

A quel punto ho avuto la netta sensazione di averla raccontata piu’ per me che per la persona che avevo di fronte questa cosa, ma inspiegabilmente mi sentivo molto meglio.

Si sono scusati, si sono ripresi i cacchi e mi hanno restituito i miei quindici dollari.

giovedì 8 novembre 2012

che cos’e’ l’ottimismo americano

Come forse sapete, questo blog e’ nato per raccontare le impressioni di un’italiana immersa all’improvviso nella cultura e nella vita americana. Tante volte mi e’ stato chiesto se lo avrei chiuso nel momento in cui lo shock culturale si fosse esaurito. Beh, sono passati piu’ di cinque anni e siamo ancora qui, quasi quotidianamente, mai a corto di argomenti. Certo, lo chock culturale dei primi tempi, come e’ naturale che succeda, e’ svanito, ma ci sono tante di quelle riflessioni da fare ogni giorno. Dettagli sempre piu’ piccoli e interessanti da osservare e vere e proprie illuminazioni, tutte quelle cose che non ti puoi spiegare se non dopo averci vissuto un bel po’ in un posto.

Una delle prime cose che mi hanno colpito della cultura americana, pero’, e’ il loro particolarissimo ottimismo. Se avete un sacco di tempo libero potete andarvi a rileggere i quaranta e passa post sull’argomento, altrimenti, ce l’ha spiegato benissimo ieri sera Obama e in pochissime frasi, che cos’e’ l’ottimismo americano.

“[…] Non sono mai stato più speranzoso riguardo al nostro futuro.

Non sono mai stato più speranzoso riguardo all’America. E io vi chiedo di sostenere questa speranza. Non sto parlando di cieco ottimismo. Il tipo di speranza che solo ignora l’enormità dei compiti a venire o i blocchi che ostacolano il nostro cammino. Non sto parlando del desideroso idealismo che ci permette di sederci in panchina o sottrarci a una battaglia.

Io ho sempre creduto che la speranza è quella cosa ostinata dentro di noi che insiste, nonostante le evidenti avversità, che qualcosa di meglio ci aspetta in lontananza se abbiamo il coraggio di continuare a raggiungerlo, di continuare a lavorare, di continuare a combattere.”

mercoledì 7 novembre 2012

gesu’?

Visto che oggi per me come per tutti credo, il pensiero e’ li’ e solo li’, a qualche classe ho fatto fare qualche lavoro che c’entrava con le elezioni.
Come al solito la parte piu’ bella e’ quella delle domande, specialmente ai cuccioli di cinque anni.
DSC04340 (2)
- So why is the White House so important?
- Because Jesus lives there.
L’ho gia’ detto che li adoro, vero?

martedì 6 novembre 2012

less italian more english

- Vuoi togliere le scarpe Joe?

- Off.

Ecco, non so spiegare esattamente il perche’, ma quando ho sentito quell‘off mi e’ venuto un po’ il magone. Per la prima volta, mi e’ stato chiaro che mio figlio non parlera’ la mia lingua come me. Avrebbe potuto dire no pappi, che e’ il suo modo di dire scarpe (una pappa due pappi) invece off era specifico, era giusto, era semplice. Ce ne ho messo io a usare off cosi’.

Ho talmente tanti amici stranieri con figli piccoli qui che ho visto benissimo quanto il loro uso della lingua dei genitori sia appeso ad un filo. Perfino fra fratelli a volte, ce n’e’ uno che la parla e l’altro che la rifiuta. Gia’, alcuni bambini rifiutano proprio di parlare la lingua dei genitori, sembra quasi che ne siano imbarazzati in un certo senso, per questo sia io che Mr. Johnson parliamo il piu’ possibile in italiano e cerchiamo gia’ di fargli entrare in testa quanto e’ fortunato ad avere due lingue a disposizione. Nonostante cio’, a quasi due anni, le parole in inglese le pronuncia abbastanza bene direi e ha anche un buon vocabolario, in italiano invece capisce tutto, ma dice pochissime parole e male.  

Qualche giorno dopo questo episodio, una delle sue maestre ha chiuso cosi' il racconto della sua giornata a scuola:

- …And he talks talks talks: al the time! And I always say Hey Joe, less Italian and more English!

Less Italian, more English?!

Ed e’ scoppiata a ridere. Lei.

Li’ per li’, non c’era tempo, ma ho cercato ugualmente di spiegarle un attimo che noi invece vogliamo che parli italiano, che lo incoraggiamo in tutti i modi e che a casa parliamo tutti italiano perche’ sappiamo che l’inglese vivendo qui e con un papa’ madrelingua non sara’ mai un problema, e’ l’italiano che rischia di essere messo in secondo piano.

Piu’ ci penso, piu’ mi sembra una frase disastrosa. Less Italian, more English. La maestra che ti dice di non parlare in italiano, ti fa capire che e’ sbagliato farlo. E’ proprio il messaggio che non va. L’italiano non va bene, l’inglese va bene, ma lui e’ ancora troppo piccolo per aspettarsi che comunichi a quel livello, sono addirittura sorpresa che parli cosi’ tanto. Insomma, credo che domani dovremmo fare un discorsetto un po’ piu’ articolato io e la maestra.

lunedì 5 novembre 2012

I’m not from mafia

Ero a questo brunch con delle europee, di vari paesi. A un certo punto si parlava di armi e questa ragazza siciliana, non ancora completamente a suo agio nell’uso della lingua inglese diciamo, dopo una serie di aneddoti quantomeno pittoreschi (di quel pittoresco che noi italiani all’estero combattiamo con tutte le nostre forze, per intenderci), se ne esce cosi’:
- I have a gun too in Italy, I have a “lupara”!
Al che io e l’altra italiana presente facciamo un salto sulla sedia. Una lupara? Come nei film? Come al telegiornale? E se non abbiamo capito noi, figuratevi le straniere, allora lei si affretta a spiegare:
- Yes, I have a lupara but I’m not from mafia!

venerdì 2 novembre 2012

maman

C’e’ questa scultura famosissima di Louise Bourgeois, e’ enorme, rappresenta un ragno di bronzo con delle grosse uova di marmo nella pancia. Il titolo e’ ‘Maman’. Tutti gli adulti con cui ne ho parlato, hanno sempre espresso dei dubbi e dell’inquietudine a riguardo. Chiamare una gigantesca scultura a forma di ragno ‘mamma’ ha qualcosa di sinistro per loro e anche per me, devo dire.

Poi c’e’ l’altro punto di vista, quello dei bambini.

Loro non ci vedono mai nulla di strano. Si chiama ‘mamma’ perche’ ha i ragnetti nella pancia e’ la risposta che mi e’ piaciuta di piu’, ma anche quest’anno nessun bambino ha ipotizzato nulla di negativo o angosciante, anzi solo pensieri molto teneri. Tanto che a un certo punto mi sembrava parlassero piu’ della loro mamma che della scultura. Insomma, sono in quell’eta’ in cui la mamma e’ quella cosa li’, dolce, buona, che ti protegge e ti segue ovunque e anche se poi magari viene fuori che e’ un ragnaccio di dieci metri non se ne accorgono. Guarda te che responsabilita’ che abbiamo.

Beh, riguardo alla scultura indovinate un po’ chi ci ha capito di piu’.

“Il Ragno è un’ode a mia madre. Era la mia migliore amica. Come un ragno, mia madre era una tessitrice. La mia famiglia era nel giro del restauro di arazzi e mia madre era la responsabile del laboratorio. Come i ragni, mia madre era molto intelligente. I ragni sono presenze amichevoli che mangiano le zanzare. Noi sappiamo che le zanzare diffondono malattie e di conseguenza non sono gradite. Quindi i ragni sono utili e protettivi, proprio come mia madre”.

A riprova, ancora una volta di quanto gli artisti e i bambini si somiglino.

E piu’ ne conosco di bambini e piu’ ne sono affascinanata. Gli farei mille domande, infatti, durante le mie lezioni, lascio che siano loro a parlare il piu’ possibile. Da una parte perche’ penso che solo cosi’ si mettano davvero a guardare le opere senza distrarsi e dall’altra perche’… e’ semplicemente troppo bello sentire che cosa pensano.

giovedì 1 novembre 2012

il secondo halloween del piccolo joe

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Probabilmente la foto della signora con la maglietta dei Texas Longhorns e la zucca intagliata che apre la porta e distribuisce caramelle, racconta del nostro halloween texano piu' di mille parole.