Mi e’ successa una cosa umiliantissima e piu’ ci penso piu’ mi convinco che sia meglio non pensarci piu’, ma ci penso lo stesso.
La settimana scorsa, ho scoperto che alla scuola Flanders il mio stipendio e i miei benefits dipendono non tanto da quanto io sia capace nel mio lavoro, ma da quanto mio marito guadagna (mi e’ stato quasi detto chiaro e tondo), se sono sposata o divorziata, se ho figli e quanti. Non credo sia per una questione di maschilismo -oltretutto il mio capo e’ una donna- quanto per una questione di spirito cristiano o qualcosa del genere, ma il risultato alla fine e’ simile. Non mi sembra serio. Pretendo di essere valutata in base alla mia professionalita’, non in base alla mia situazione familiare, di cui tra l’altro preferirei non essere obbligata a discutere in quella sede.
Allora, dopo questa prima brevissima schermaglia, sono tornata a casa e mi sono convinta che la cosa fosse piuttosto grave e che stavolta - senza alzare un polverone certo - ma fosse davvero il caso di farsi sentire.
Quello che volevo dire ce lo avevo chiarissimo in testa fin dal primo momento, il problema era scegliere da che parte cominciare e non tradire il mio pensiero traducendolo male. Mi succede sempre quando sono sotto pressione.
Cosi’ ci penso per quattro giorni. Love overthinking stuff, I do. La sera prima Mr. Johnson e Ms. Monkey mi fanno addirittura una specie di briefing. Mi sembrava di dover andare a un incontro di boxe, da quanto mi spronavano. Stand up for yourself, girl!
Ieri mattina mi sentivo tranquilla, ma determinata. Dopo aver bussato alla porta della direzione ed essere stata accolta da un buongiorno buongiornino piu’ squillante e fastidioso del solito, pero’ gia’ cominciavo a sentire il mio piano scricchiolare. Suppongo che anche la controparte avesse pensato molto bene a quella stessa piccola diatriba di qualche giorno prima, che sapesse che ero li’ per lamentarmi e che volesse cercare in ogni modo di evitare la polemica. E cosi’ e’ stato purtroppo. Ha vinto lei, su tutta la linea e non mi piace perche’ non e’ che esista solo lo scontro o l’essere d’accordo su tutto nella vita, ci si puo’ anche confrontare civilmente, senza fare tragedie, no? O forse non con il proprio capo.
Ad ogni modo, non sono riuscita neanche a iniziare l’argomento, parlava sempre lei e di altro. C’e’ stato solo un brevissimo istante di pausa e in quel piccolo istante sono riuscita a mettere insieme il seguente capolavoro:
- Look, I though about our conversation the other day and, honestly, I felt bad about it.
Volevo solo dire che mi dispiaceva per quello che ci eravamo dette e avrei anche chiarito ulteriormente il concetto, se non mi avesse interrotto subito. Occhi sgranati, leggermente lucidi. Avrei tanto voluto, ma non capivo.
- Oh darling! You don’t feel bad about anything!
- But…
- No! You don’t need to say anything! I know, I get it, it’s fine!
- But…
- Really! It’s fine dear! So, let’s talk about the weather instead.
E’ stato in quel momento preciso che ho capito che I feel bad about something non significa mi dispiace per qualcosa, ma scusa. Cioe’ io ero andata li’ per rincarare la dose e mi sono trovata a scusarmi. Con la mia stessa voce ho chiesto scusa per qualcosa di cui, al limite, volevo lei si scusasse.
Mi sarei presa a sberle.
E a quel punto davvero, non c’era modo di uscirne. Me ne sono andata lasciandole credere questo, anche perche’ oramai avevo perso il filo, non ero nemmeno piu’ sicura di cosa stesse succedendo.
Dopo mi e’ venuto un magone, un senso di impotenza che non so nemmeno spiegare. Gli errori linguistici anche ora, dopo cinque anni suonati, sono all’ordine del giorno, ma non come questo. In questo caso mi e’ sembrato davvero di aver recitato una parte non mia, di non essermi rappresentata per quello che sono, se cosi’ si puo’ dire. E’ una sensazione difficile da spiegare e certamente spiacevole.
Ora mi sembra proprio di non aver scelta. Non e’ che posso andare li’ e dire no guarda, io ero venuta per lamentarmi non per scusarmi, in realta’ non sono per niente contenta. Ormai e’ davvero andata, fine.
Una cosa l’ho imparata. La nostra idea di mi dispiace e scusa e’ molto diversa dalla loro.