martedì 31 agosto 2010

pour parler – del gallo e degli stereotipi

Un amico francese che ha vissuto due anni in Italia, mi ha detto che l’unico difetto che riconosce davvero agli italiani e’ il fatto di credersi sempre migliori degli altri in tutto quello che fanno. Ora io non so, ognuno e’ giusto che abbia le sue opinioni, ma questa cosa non mi torna tanto. Noi, che non facciamo altro che autocriticarci veniamo accusati dai francesi di fare esattamente quello di cui noi abbiamo sempre accusato loro?

E il bello e’ che quando ho chiesto a lui un difetto dei francesi, ha detto il fatto di lamentarsi sempre, che a me invece sembra un difetto tipico degli italiani.

- Ma perche’ allora sembrate sempre cosi’ orgogliosi e sicuri?

La sua spiegazione e’ stata questa, pura antropologia:

- Sai perche’ il gallo e’ il simbolo della Francia? Perche’ e’ l’unico uccello in grado di cantare con i piedi nella ‘merde’.

Gli americani ne approfitterebbero per ribadire per l’ennesima volta che attitude is everything.

lunedì 30 agosto 2010

pensieri nel pomeriggio della taranta

Ieri pomeriggio per caso ho notato sul sito del Corriere la diretta della Notte della Taranta. Ho cominciato a guardare un po’ e sono rimasta praticamente ipnotizzata fino alla fine. Sorvolando sulla nostalgia che il ricordo delle mie innumerevoli estati salentine mi ha provocato, mi sono sembrate piuttosto interessanti alcune considerazioni di Mr. Johnson. Come al solito cercava di capire le parole, ma non e’ per niente semplice nelle canzoni, dovevo aiutarlo io. Tanti italiani dicono di non capire il salentino, mentre lui che e’ straniero lo capisce piuttosto bene, almeno all’interno di una conversazione. Ho sempre attribuito questa cosa al fatto che il salentino mi sembra tutto sommato facile, non troppo distante dall’italiano, invece lui mi faceva notare che forse non e’ proprio cosi’. Mi diceva che a lui sembra diverso dall’italiano almeno quanto il galiziano e’ diverso dallo spagnolo, se non di piu’, e quindi non capiva perche’ uno fosse considerato un dialetto e l’altro una lingua. In Galizia ci tengono tantissimo alla loro lingua. Tralasciando tutto il movimento indipendentista, all’universita’ ci sono vari corsi esclusivamente in galiziano e libri e canali televisivi, spettacoli teatrali, e’ una lingua vivissima. Il salentino invece, sebbene negli ultimi anni sia diventato di moda, meno. E poi ci sono tutti gli altri dialetti italiani che si stanno perdendo allo stesso modo. Che’ appunto, anche a definirli dialetti ci si sente un po’ a disagio, visto che spesso si tratta di lingue vere e proprie, basta pensare al sardo, al napoletano, al milanese, al genovese...un po’ tutti in fondo.

Nei film in inglese, e’ fondamentale che gli attori abbiano l’accento giusto in base all’ambientazione del film, vedo che i critici e’ proprio da li’ che partono a misurarne il talento. Nei nostri spesso invece non sembra cosi’ importante. In genere si parla italiano con buona dizione neutra e basta, indipendentemente dal luogo. Sembra ci sia una volonta’ di uniformare non di differenziare. Io il salentino l’ho sempre avuto nelle orecchie fin da piccola, e’ la cosa piu’ naturale del mondo per me, ma solo ieri ci ho pensato come a una qualunque lingua straniera. Potrei anche parlarlo in teoria, ma non sono in grado di farlo perche’ sono sempre stata scoraggiata. Nella mia famiglia c’e’ sempre stata questa idea che non era per noi nati e cresciuti a Milano e che ad ogni modo o lo parli bene o non lo parli. E in effetti, devo dire che chi cerca di parlare il loro dialetto senza il giusto accento si rende ridicolo, ma questo perche’ appunto non e’ visto come una lingua, ma come un gergo familiare un codice riservato a pochi che hanno condiviso un determinato stile di vita. C’e’ tantissimo di psicologico in tutto questo. Tante volte mi e’ capitato, ad esempio, di parlare in italiano con qualcuno che mi rispondeva in salentino e l’ho sempre odiato. Lo percepisco sempre come un modo per creare distanza perche’ non ci sono le stesse possibilita’ comunicative da parte dei due interlocutori e la loro scelta di comunicare su un altro livello e’ intenzionale, la mia obbligata.

Forse sono riflessioni scontate, ma e’ la prima volta che le faccio, magari prima non ero abbastanza “lontana”.

Un’altra cosa che mi ha fatto riflettere e’ il fatto che a un certo punto si sono esibiti degli artisti del Burundi e mi ha dato l’idea di essere un numero lunghissimo, dopo un po’ ho cominciato ad annoiarmi.

- Ma quando ricominciano con la pizzica?

- Ma tu pensi che la pizzica sia meno monotona dei tamburi del Burundi? Ma tu pensi che quelli del Burundi non si siano stufati di sentire lo stesso identico ritmo per tutta la sera?

- Ohi Mr Johnson, se non ti piace, guarda qualcos’altro!

Gia’, si saranno stufati anche loro, quelli del Burundi. E’ che quando una cosa ha un significato profondo per te, quando ci sei cresciuto insieme, ti e’ impossibile valutarla con obiettivita’. Il suo valore non ha poi molto a che vedere con la sua qualita’ intrinseca, ma con una miriade di altri fattori legati al tempo e allo spazio e alla memoria e ai profumi, agli odori. Ed e’ giusto cosi’.  

venerdì 27 agosto 2010

mistero

E’ scomparsa la maglietta preferita di Mr. Johnson. Dovete sapere che Mr. Johnson si veste sempre uguale, cambiano solo i colori delle magliette, piu’ o meno quattro colori che girano, o tre, da quando lo conosco. Finalmente gliene piaceva una un po’ diversa (ma poco…) e io l’ho persa, cioe’ io poi, questo e’ quello che lui sostiene. Secondo la sua ricostruzione un paio di settimane fa avrei lavato la sua maglietta, l’avrei messa insieme alle cose da stirare e poi… chissa’.

Lui e’ convinto che io l’abbia bruciata con il ferro da stiro e l’abbia buttata e tutto questo sia una messa in scena o uno scherzo, ma io non ne so davvero niente.

Si stupisce che non mi ricordi di aver lavato o stirato la maglietta, ma sfido lui, sono tutte praticamente uguali!

Stamattina mi ha fatto una scena di quelle, i bracchetti si sono preoccupati e a me veniva da ridere istericamente tipo al liceo qundo si leggeva. Ma non perche’ sia colpevole! E’ solo che non ho la piu’ pallida idea…

La prova della mia colpevolezza sarebbe nel fatto che secondo lui non l’ho cercata. Ma non e’ che non l’ho cercata, e’ che non so dove cercare, questa storia non ha senso, ma dopo due settimane lui e’ arrabbiatissimo.

Oggi vado a cercargliene una nuova.

Ma cosa diavolo e’ successo a quella stupida maglietta?

giovedì 26 agosto 2010

il piccolo duchamp

Durante la prima lezione, ho chiesto semplicemente a un mucchio di ottenni “che cos’e’ l’arte per te?”.

Risposte ovviamente adorabili.

“Art is fun and weird” (L’arte e’ divertente e strana)

“Art is writing down your thoughts” (Arte e’ scrivere i tuoi pensieri)

“Art means to create anything you want out of stuff” (Arte vuol dire creare tutto quello che vuoi usando della roba)

“Art means lots of colors to me” (Arte per me significa tanti colori)

Un bambino con dei problemi di apprendimento, ha scritto solo in piccolo “People capturing art”, forse uno dei pensieri piu’ profondi e artistici, se cosi’ si puo’ dire.

Ma il mio preferito e’ stato questo qui:

“Art can be everything even a hair dryer” (Arte puo’ essere tutto anche un asciugacapelli)

E ci e’ arrivato da solo! Eh, fosse nato un centinaio e piu’ d’anni prima… geniale! :)P1200863 - Copy

martedì 24 agosto 2010

the butterfly effect

Un giorno, a scuola, mi viene incontro una signora con un enorme sorriso. Il suo fare e’ cosi’ familiare che mi aspetto che mi abbracci. Sperando che mi venisse in mente chi fosse parlandoci, faccio finta di niente. Ma avevo ragione, non la conoscevo. Si trattava della nuova addetta alla mensa della scuola. La mia scuola supporta un’associazione che aiuta i rifugiati di lingua araba, credo siano per lo piu’ iracheni, e la direttrice ci aveva raccontato di lei e del suo bambino che andra’ in prima elementare. Ci aveva detto che era molto entusiasta del lavoro e di aiutarla il piu’ possibile soprattutto con la lingua.

Certo, il suo inglese non e’ il massimo ora come ora, ma si fa capire benissimo quando sorride e esprime tutta la sua gratitudine e felicita’. Ha detto proprio di essere felice di essere in questo paese, qualcosa tipo che essere qua e’ come un sogno. Ecco, io ovviamente come emigrante tutto questo non l’ho mai provato e mi ha fatto riflettere. Mi ha fatto tanta tenerezza, un po’ da film neorealista, quei film che in questo periodo non riesco nemmeno a guardare da lontano da quanto mi fanno piangere.

Qualche giorno dopo poi ho conosciuto anche il suo bambino. Orecchie a sventola, bocca piena d’oro e due occhioni scuri vispissimi. Un bambino che in mezzo agli altri di prima mi ha colpito, cosi’ volenteroso, ben disposto. Gli ho chiesto, come a tutti gli altri bambini nuovi, se era felice di essere con noi, se si trovava bene e con un sorrisone di quelli che partono dagli occhi, ha risposto:

- Yes! I’m happy a million!

Happy a million. Un nodo in gola. E’ che sono incontri cosi’ che ti riportano con i piedi per terra, che ti danno la misura di quello che veramente hai e di quello che veramente conta nella vita.

Quanto e’ moralista questo post! E posso fare anche di peggio.

Alla fine, non vi ho piu’ raccontato che cosa ho ricevuto quest’anno per il mio compleanno. Quel famoso regalo per cui Mr. Johnson aveva messo la sveglia, era un’adozione a distanza. Ventotto dollari al mese per aiutare una bambina di dieci anni del Bangladesh con Save the children. Non vi dico che sia stata una decisione presa a cuor leggero, ci abbiamo pensato molto molto bene, specialmente ora con il piccolino in arrivo. E’ un bell’impegno e non finisce in teoria mai. Poi pero’ pensi a tutte le cose che fai e ti accorgi che basta rinunciare a una cena fuori o al limite a meta’ cena fuori per aiutare un’altra persona e allora perche’ no?

E poi adoro quest’idea del butterfly effect, della piccola cosa che succede qui e che fa scattare qualcosa dall’altra parte del mondo.  

“The phrase refers to the idea that a butterfly’s wings might create tiny changes in the atmosphere that may ultimately alter the path of a tornado or delay, accelerate or even prevent the occurrence of a tornado in a certain location. The flapping wing represents a small change in the initial condition of the system, which causes a chain of events leading to large-scale alterations of events”

lunedì 23 agosto 2010

le mammine no

C’e’ una categoria di persone verso cui nutro forti sentimenti di ambivalenza, quella delle mammine. Prima pensavo che fosse per una sorta di gelosia e incomprensione, ma ora che ci sono anch’io sulla stessa barca continuo a non capire tante cose. Innanzitutto chiariamo che le mammine non sono le madri in generale, cioe’ in realta’ possono essere entrambe le cose a seconda dei momenti. Le mammine diventano tali di solito quando sono in gruppo, e’ li’ che danno il peggio di loro. La mammina, virtualmente puo’ essere la persona piu’ insicura del mondo, ma parte da un pregiudizio di perfezione nei confronti del proprio operato come madre. La mammina spara giudizi lapidari su qualunque cosa, l’allattamento, la bay sitter, l’asilo, la cacca verde, qualunque cosa: la mammina non ha dubbi. Ha un’opinione su tutto e si batte fino allo stremo per quattro idee lette magari su qualche rivista di mammine. Le sue lotte possono essere sanguinarie, di una crudelta’ psicologica senza precedenti, e quel che e’ peggio e’ che sono soprattutto lotte intestine, contro la mammina che manifesta un’opinione differente. Mammine che lavorano contro mammine casalinghe, mammine che allattano contro mammine che non lo fanno, mammine bio contro mammine tradizionali. Un altro tratto tipico della mammina e’ poi il  nutrire un profondo sentimento di disapprovazione verso tutto il genere maschile e in particolar modo verso il proprio compagno. Loro non potranno mai capire, loro continuano la loro vita come prima, siamo noi che dobbiamo farci in quattro e che molliamo tutto per stare dietro ai figli. Tutte cose in parte verissime e dimostrate a livello storico oserei dire, tanto e’ vero che dopo una mattinata in compagnia di una decina di queste signore la settimana scorsa, sono tornata a casa e senza nemmeno rendermene conto ho quasi sbranato il povero Mr. Johnson che non ha capito che cosa mi fosse successo per essere diventata cosi’ acida nel giro di tre ore. Lo ammetto, mi ero fatta un attimo prendere la mano. E’ che sei li’ che passi da un cambiamento all’altro, con il tuo corpo che oramai va completamente per conto suo, mille paure, incertezze professionali e non, e’ facile guardare lui, tale e quale a prima e provare un senso di ingiustizia, se cosi’ si puo’ dire. Ma e’ anche profondamente sbagliato credo. Lui non puo’ capire me nella misura in cui io non posso capire lui, ognuno fa la sua parte e non ho mai avuto la sensazione di essere lasciata a me stessa ora che la mia parte e’ piu’ onerosa della sua, ammesso e non concesso che lo sia veramente. La verita’ e’ che siamo esseri umani, ci piace trovare un colpevole, ci fa sentire dalla parte della ragione, qualunque cosa significhi. Perche’ poi il problema e’ che mammine, rischiamo di esserlo un po’ tutte in alcuni momenti, forse e’ proprio da questo che nasce la mia avversione. Ho capito che le mammine vanno frequentate una alla volta, cosi’ non si inviperiscono e rimangono persone normali, piacevoli.

La virtu’, insomma, sta nel non farsi rimbambire.

domenica 22 agosto 2010

il cogliote

Quindi se uno gugola: “come si chiama la canzone che fa siamo tutti come willy il cogliote” arriva qui.

E siccome possiamo anche fare finta di essere un blog di servizio

Buona domenica :)

giovedì 19 agosto 2010

do not friend me!

Ieri c’e’ stato il primo giorno di scuola, seguito dalla solita riunione per dirsi un po’ come e’ andata e soprattutto per mettere tutti al corrente delle novita’. La piu’ grande e’ stata una sorta di papiro da sottoscrivere riguardo all’utilizzo di internet e in special modo di Facebook. Dice la direzione di avere avuto infiniti problemi quest’estate. Genitori che “in modo del tutto inappropriato” diventano amici dei compagni di scuola dei figli, insegnanti che accettano l’amicizia di studenti o “peggio ancora” richiedono l’amicizia di ex studenti, membri dello staff che diventano amici dei genitori condividendo materiale fotografico o commenti non sempre completamente il linea con la condotta cristiana che sarebbero tenuti ad avere.

Do not friend your students!

Do not friend your students’ parents!

Do not friend…..

Insomma ce n’e’ per tutti i gusti e a quanto pare to friend e’ diventato un verbo a tutti gli effetti.

Devo dire che ultimamente Facebook mi sembra un po’ come quelli che vanno in giro con la pistola sempre carica in tasca e che finisce che prima o poi fanno l’errore di usarla. Un mio amico, per esempio, stimato professionista, in una notte di ebbrezza posta la sua foto in vasca da bagno con mano femminile che gli porge un whiskey, la rimuove appena passata la sbornia, ma oramai il danno e’ fatto. Una serie di altri con il cuore spezzato che esprimono disperatamente la loro solitudine ricevendo commossi pareri da parte di gente che vive dall’altra parte del paese o che non vedono da vent’anni (perche’ gli amici veri queste cose di solito preferiscono dirsele a voce). Poi ci sono quelli che litigano pubblicamente, senza capire che scrivere non e’ esattamente come parlare, per banale che sia questa considerazione. E poi c’e’ tutto il discorso delle coppie che magari vivono anche insieme, ma non trovano di meglio da fare che rendere partecipi tutti i conoscenti che hanno dei loro scambi di opinione. Io, che stupidamente mi rattristo a cancellare gli amici, anche quelli che non lo sono, ho scoperto che c’e’ un tasto che te li fa nascondere, cosi’ non li vedi piu’ e ti dimentichi di loro. Oramai non ricevo quasi piu’ nessun aggiornamento…

Insomma, quando sono arrivata alla fine del papiro, che mi sono portata a casa perche’ volevo leggerlo bene prima di firmarlo, ho visto che la pena per l’uso inappropriato dei social network non e’ il licenziamento o l’azione legale, ma il divieto di usare la rete al lavoro. E capirai.

Il riassunto di tutto e’ stata un’affermazione perentoria: se non volete che il vostro datore di lavoro lo sappia, non postatelo su Facebook! 

E come darle torto, dopo tutto.

martedì 17 agosto 2010

the roast of…

Se c’e’ una cosa che non ho mai capito della comicita’ americana, e’ il gusto del Roast. Il Roast e’ una sorta di celebrazione di un certo personaggio in cui invece di parlare bene di lui, ci si riunisce per prenderlo in giro, ma prenderlo in giro pesantemente, tirando fuori tutti gli episodi piu’ infami della sua vita personale e professionale. L’ultimo, in ordine di tempo e’ stato quello di David Hasselhoff domenica sera su Comedy Central. Pubblicita’ martellante per settimane e settimane. La battuta piu’ simpatica che ho sentito e’ stata: perfino Hitler era migliore di te, almeno lui ha capito quando la sua carriera era finita! E in tutto questo, “l’arrostito” se ne stava appollaiato sulla sua torretta di guardia di Baywatch ridendo in modo convulso, quel riso che non sai mai quanto sia riso e quanto pianto disperatamente trattenuto. 

Mi e’ stato spiegato piu’ volte che il Roast e’ un grande onore, un omaggio riservato a pochissimi, e che ci vuole solo un po’ di spirito, ma a me sembra che tutti lo guardino sadicamente solo per vedere qual e’ il cosiddetto punto di ebollizione. Ricordo vagamente un episodio di Family Guy [tra l’altro il presentatore della serata era proprio il creatore di Family Guy nonche’ voce di Stewie, Seth McFarlane, gia’ da qui potete immaginare come sia potuta andare…] in cui Brian si offendeva a morte perche’ non aveva capito il senso del Roast, almeno non sono l’unica a cui l’hanno dovuto spiegare.

Malgrado ieri, per la prima volta, mi sia comprata una confezione di bagels con cannella e uva passa, non devo ancora essere diventata completamente americana.

lunedì 16 agosto 2010

ferragosto non esiste

Giorno di Ferragosto, non ci faccio nemmeno caso, vado al lavoro. Giornata di pubbliche relazioni per dare il benvenuto agli studenti e alle loro famiglie all’inizio del nuovo anno scolastico. A colazione, la collega inglese perde fiato a cercare di spiegare come si’, la vita possa essere caotica a Londra, ma almeno ci sono un sacco di vacanze (rispetto a qui) e si va in pensione presto. Here you just work until you drop! Quando racconta che per esempio in Francia ad agosto e’ tutto chiuso perche’ vanno tutti in vacanza, le espressioni delle americane sono oramai stralunate e io, dalla mia, rafforzo l’idea dicendo che si’, anche in Italia. Il fatto che mio padre si sia fatto molto male in questi giorni e non trovi uno straccio di dottore che si prenda la responsabilita’ di diagnosticargli qualcosa fino a settembre, lo tengo per me. Quello che conta e’ aprire gli occhi di queste persone su posssibilita’ che prima non avevano avuto nemmeno il coraggio di sognare. Tutti noi stranieri abbiamo il dovere di esportare la filosofia delle vacanze in questo paese, tutti i giorni, dal basso, come una piccola rivoluzione culturale di cui tutti hanno disperatamente bisogno.

Una delle due dice solo una cosa che mi fa riflettere, prima che si esca dal locale.

- Entrambi i miei genitori hanno lavorato fino a quando avevano piu’ di ottanta anni, e’ tutto quello che conosco.

Sara’ dura cambiare le cose.

mercoledì 11 agosto 2010

blob

La sera spesso, mentre lavo i piatti guardo Blob. Ogni tanto Mr. Johnson passa di la’. Una, due, tre, quattro volte, sempre la stessa storia. A questo punto non so davvero piu’ come spiegargli che non e’ un programma porno.
L’argomento figurati! In Italia lo trasmettono alle otto di sera ha suscitato una certa ilarita’.

martedì 10 agosto 2010

it feels like fall

E’ successo che l’altra sera c’e’ stato un breve acquazzone estivo e la temperatura si e’ miracolosamente (momentaneamente) abbassata di una decina di gradi. Da quaranta a trenta per intenderci.

- Let’s sit outside and enjoy, it feels like fall!

Stiamo messi male, lo so.

domenica 8 agosto 2010

l’immancabile scoiattolo

cagnolino_ok04Volevo solo dire a quelli che leggono Repubblica che “l’immancabile scoiattolo” e’ fatto piu’ o meno cosi’ e vive sugli alberi. Quest’altro qui invece e’ il cane della prateria, che scava le gallerie e se e’ spaventato, avvisa i suoi amici facendo un verso simile a quello del cane. Il cane della prateria non e’ tanto immancabile, in realta’. Lo potete vedere giusto nei parchi naturali ed e’ molto simpatico (quando non si indispettisce, un po’ come l’immancabile scoiattolo del resto).

Che’ qualche competenza vivendo nella ‘natura selvaggia’, alla lunga la si acquisisce! :)

martedì 3 agosto 2010

the N word

Si chiaccherava di ruoli maschili e femminili, discussione oziosa. A un certo punto butto li’ “Woman is the nigger of the world”, che non e’ che sono impazzita, e’ semplicemente il titolo di una vecchia canzone di John Lennon, del ‘72, che secondo me rendeva abbastanza bene il senso del discorso. La canzone dice cose tipo:
“Le facciamo dipingere il viso e ballare/ se lei non sara’ nostra schiava diremo che non ci ama/ Se è concreta, diciamo che sta cercando di essere un uomo/ Mentre la sottomettiamo facciamo finta che lei sia superiore […] La donna e’ la schiava degli schiavi […] La insultiamo tutti i giorni in tv e poi chiedetevi perche’ non ha fegato e fiducia in se’ stessa […]”
Ecco, avreste dovuto vedere la faccia di Mr. Johnson che per di piu’ non conosceva la canzone. Completamente scandalizzato. Mi ha intimato di non usare mai e poi mai quella parola in questo paese in qualunque contesto, che’ nessuno si ricorda la canzone (che qui, se anche fosse stata famosa all’epoca, non verrebbe mai mandata in onda alla radio o alla televisione ora), ma tutti si offenderebbero e mi darebbero della razzista no matter what. Sembra che questa parola non si possa usare, mai, punto, fine. Gli ho chiesto cosa gli viene in mente quando la sente e mi ha detto che si sente proprio male, che ricorda qualcosa con cui e’ troppo doloroso fare i conti per tutti e probabilmente per i bianchi ancora di piu’. Addirittura, quando ho cominciato a cercare il titolo, google mi ha suggerito Woman is the N, su youtube lo stesso, evitano di scriverlo. E’ un tabu’ vero questo qui. Pare che a un certo punto in questo paese si sia deciso di non usare piu’ quella parola, in qualunque contesto. E a me viene difficile capire pienamente una cosa simile: le parolacce nelle altre lingue difficilmente suonano male come nella nostra. Certo che dire the N word al suo posto, come spesso si sente, non mi sembra un sintomo di estrema coerenza intellettuale. Sembra si tratti di qualcosa che ha a che fare con l’inconscio collettivo del paese piu’ che con la logica, qualcosa di irrazionale, ma non per questo meno importante.

Per concludere, vi segnalo un articolo piuttosto interessante che trae spunto proprio dall’ultima geniale uscita di Sarah Palin a proposito dei cojones di Barak Obama per spiegare come vengano progressivamente sdoganate determinate parole considerate tabu’.

E questo e’ un video d’epoca in cui John Lennon stesso spiega cosa intendeva usando quella parola. Chiarisce ancora di piu’ le idee, forse, dare un’occhiata ai commenti della gente sotto.