Ieri pomeriggio per caso ho notato sul sito del Corriere la diretta della Notte della Taranta. Ho cominciato a guardare un po’ e sono rimasta praticamente ipnotizzata fino alla fine. Sorvolando sulla nostalgia che il ricordo delle mie innumerevoli estati salentine mi ha provocato, mi sono sembrate piuttosto interessanti alcune considerazioni di Mr. Johnson. Come al solito cercava di capire le parole, ma non e’ per niente semplice nelle canzoni, dovevo aiutarlo io. Tanti italiani dicono di non capire il salentino, mentre lui che e’ straniero lo capisce piuttosto bene, almeno all’interno di una conversazione. Ho sempre attribuito questa cosa al fatto che il salentino mi sembra tutto sommato facile, non troppo distante dall’italiano, invece lui mi faceva notare che forse non e’ proprio cosi’. Mi diceva che a lui sembra diverso dall’italiano almeno quanto il galiziano e’ diverso dallo spagnolo, se non di piu’, e quindi non capiva perche’ uno fosse considerato un dialetto e l’altro una lingua. In Galizia ci tengono tantissimo alla loro lingua. Tralasciando tutto il movimento indipendentista, all’universita’ ci sono vari corsi esclusivamente in galiziano e libri e canali televisivi, spettacoli teatrali, e’ una lingua vivissima. Il salentino invece, sebbene negli ultimi anni sia diventato di moda, meno. E poi ci sono tutti gli altri dialetti italiani che si stanno perdendo allo stesso modo. Che’ appunto, anche a definirli dialetti ci si sente un po’ a disagio, visto che spesso si tratta di lingue vere e proprie, basta pensare al sardo, al napoletano, al milanese, al genovese...un po’ tutti in fondo.
Nei film in inglese, e’ fondamentale che gli attori abbiano l’accento giusto in base all’ambientazione del film, vedo che i critici e’ proprio da li’ che partono a misurarne il talento. Nei nostri spesso invece non sembra cosi’ importante. In genere si parla italiano con buona dizione neutra e basta, indipendentemente dal luogo. Sembra ci sia una volonta’ di uniformare non di differenziare. Io il salentino l’ho sempre avuto nelle orecchie fin da piccola, e’ la cosa piu’ naturale del mondo per me, ma solo ieri ci ho pensato come a una qualunque lingua straniera. Potrei anche parlarlo in teoria, ma non sono in grado di farlo perche’ sono sempre stata scoraggiata. Nella mia famiglia c’e’ sempre stata questa idea che non era per noi nati e cresciuti a Milano e che ad ogni modo o lo parli bene o non lo parli. E in effetti, devo dire che chi cerca di parlare il loro dialetto senza il giusto accento si rende ridicolo, ma questo perche’ appunto non e’ visto come una lingua, ma come un gergo familiare un codice riservato a pochi che hanno condiviso un determinato stile di vita. C’e’ tantissimo di psicologico in tutto questo. Tante volte mi e’ capitato, ad esempio, di parlare in italiano con qualcuno che mi rispondeva in salentino e l’ho sempre odiato. Lo percepisco sempre come un modo per creare distanza perche’ non ci sono le stesse possibilita’ comunicative da parte dei due interlocutori e la loro scelta di comunicare su un altro livello e’ intenzionale, la mia obbligata.
Forse sono riflessioni scontate, ma e’ la prima volta che le faccio, magari prima non ero abbastanza “lontana”.
Un’altra cosa che mi ha fatto riflettere e’ il fatto che a un certo punto si sono esibiti degli artisti del Burundi e mi ha dato l’idea di essere un numero lunghissimo, dopo un po’ ho cominciato ad annoiarmi.
- Ma quando ricominciano con la pizzica?
- Ma tu pensi che la pizzica sia meno monotona dei tamburi del Burundi? Ma tu pensi che quelli del Burundi non si siano stufati di sentire lo stesso identico ritmo per tutta la sera?
- Ohi Mr Johnson, se non ti piace, guarda qualcos’altro!
Gia’, si saranno stufati anche loro, quelli del Burundi. E’ che quando una cosa ha un significato profondo per te, quando ci sei cresciuto insieme, ti e’ impossibile valutarla con obiettivita’. Il suo valore non ha poi molto a che vedere con la sua qualita’ intrinseca, ma con una miriade di altri fattori legati al tempo e allo spazio e alla memoria e ai profumi, agli odori. Ed e’ giusto cosi’.