sabato 28 febbraio 2009

uscire da soli

L'altro giorno ho preso un caffe' con una persona che un giorno deve essere stata molto simile a come sono io oggi. Chiaccherando, ho scoperto da lei che qui a Dallas si e' appena tenuto un evento a cui mi sarebbe piaciuto moltissimo partecipare e io non ne sapevo nulla.
E' una stupidata, ma in fondo, mi ha un po' rattristato. In parte per l'occasione persa e in parte perche' mi sono resa conto che sono qui e ci sto anche molto bene, ma non vivo la citta' come facevo in Italia. Il Dallas Morning News lo guardo di sfuggita una volta ogni tanto, mentre il Corriere e La Repubblica li leggo tutti i giorni appena alzata. Raramente guardo un telegiornale o so che concerti o che cosa si fa in giro di interessante.
C'e' qualcosa di sbagliato in tutto questo. Non e' sbagliato leggere i giornali italiani, ma non prestare la stessa attenzione a quello che succede qui dietro casa mia forse si'. Il problema e' che non si puo' prestare attenzione a qualunque cosa in maniera indiscriminata, quindi leggere meglio i giornali italiani che quelli americani, rappresenta una scelta. Una scelta che non ho mai valutato con la giusta consapevolezza.
Questa persona trasferitasi mille volte da New York a San Paolo e poi a Bruxelles e a Dallas, mi ha raccontato di quanto abbia sofferto per tutti questi spostamenti all'inizio, ma di quanto poi siano stati positivi anche per la sua stessa crescita personale. Mi ha detto che dopo aver sofferto la solitudine, ha cominciato a reagire e che lo ha fatto in un unico modo: imparando a fare le cose da sola. Andando, esplorando, facendo tutto da sola. Ecco, io cosi' sola come diceva lei, non credo di essermi mai sentita ne' qui ne' altrove. Ho sempre amato questo posto e forse proprio per questo non ho mai avuto lo stesso stimolo a buttarmi veramente nella mischia. Non ho mai dato troppa importanza al fatto che qui non conosco molte persone con i miei stessi gusti e la mia stessa disponibilita' di tempo e che le cose che mi piacciono, se voglio continuare a farle, devo imaparare a farle da sola. Prima bastava alzare il telefono e invitare qualcuno. Gli amici migliori erano amici di vecchia data, incontrati spesso a scuola o nei vari ambienti di lavoro, persone come me: trentenni con piu' o meno i miei stessi interessi e senza figli. Qui invece, fra quelli che frequento, anche chi e' piu' giovane di me ha gia' grandi impegni familiari e questo fa passare tutto il resto in secondo piano. Adoro stare da sola, se non passo abbastanza tempo da sola divento isterica, pero' uscire da sola, con le distanze che ci sono qui, e' un altro paio di maniche.
Sembra niente, ma se non ci sei abituato non e' semplice.
Parlare con quella persona l'altro giorno e' stato un po' come quando ti accorgi che il rubinetto sta gocciolando. Un momento prima non ci facevi nessun caso, ma una volta che lo hai notato non puo' che disturbarti sempre di piu'. E visto che oramai lo sento questo rumore in sottofondo, faro' qualcosa per contrastarlo.
Le parole di quella persona erano anche terribilmente incoraggianti a dire il vero. Mi diceva Vai! Prova, perditi anche non importa, sopravviverai...non hai idea delle cose che ti succedono quando sei da solo... Fai piu' attenzione a tutto quello che ti circonda quando sei da solo e le persone piu' importanti della tua vita qui puo' darsi che le conoscerai proprio cosi'.

mercoledì 25 febbraio 2009

la privacy

Non so perche' ho sempre pensato che gli americani fossero fissati con la privacy. Vivendo qui, invece mi sono resa conto che al limite, siamo noi quelli fissati. Ho decine di esempi in cui ho visto la cosiddetta privacy calpestata sia nel privato che nel lavoro. Ma visto che gli amici ce li si puo' scegliere piu' liberamente, e' soprattutto l'ambito professionale quello che mi crea problemi.
Due esempi.
Quando sono stata male a dicembre, il medico mi ha chiamata mentre ero al lavoro. Sono dovuta andare via immediatamente e quindi sono stata sommersa di domande. Il giorno dopo, vengo informata da Ms. Guorton che la mattina stessa l'intero staff si era riunito in una sessione di preghiera per la sottoscritta. Ora, chiariamo che non ho nulla contro le preghiere, anzi, ma il fatto che gente a cui dico al massimo buongiono e buonasera si riunisca per pregare per me in pubblico, senza nemmeno che sia in pericolo di vita, mi e' sembrato un tantino fuori luogo. Abbozzo e dico scherzando Ok, ma non e' che ora finisco in prima pagina (sul giornale della scuola, era gia' successo con un'altra insegnante che aveva avuto l'appendicite)?
Lo sguardo improvvisamente serio che ho ricevuto a quel punto, mi ha fatto capire che era il caso di precipitarmi dal direttore. Ebbene si: ho dovuto chiedere in maniera formale che gentilmente non scrivessero sul giornale della scuola che mi operavo.
Secondo esempio. Ho deciso di cominciare a cercarmi un altro lavoro, cosi' ho guardato le offerte nel mio settore e ho visto che affinche' le mie domande venissero prese in considerazione dovevo allegare le mie referenze professionali, vale a dire i nomi e i numeri di almeno tre persone per cui ho lavorato. Vivendo qui da poco, per raggiungere il numero mi sono vista costretta a chiedere a un collega di prestarsi in caso qualcuno lo chiamasse. Ho dovuto spiegargli con chiarezza che ho intenzione di lasciare la scuola, con tutto l'imbarazzo che la cosa comporta. Gli ho anche chiesto di non parlarne con nessuno perche' non sono sicura di andarmene e non ho un altro lavoro fra le mani. Dopo un po', qualcuno e' venuto a chiedermi spiegazioni ma e' vero che te ne vai? Il segreto non e' durato a lungo. Il collega non ha agito con cattiveria, ne sono sicura, non e' andato a dirlo al direttore e non e' successo nulla di grave, pero' questo episodio mi ha dato molto fastidio per una questione di principio. L'ho trovato indelicato, mi mette in una posizione che non mi piace neanche un po'.
Mi chiedo se questi comportamenti siano normali qui o se sono capitata in ambienti particolarmente superficiali sotto questo punto di vista. Credo che in Italia non sarebbe mai successo nulla di tutto cio'.

martedì 24 febbraio 2009

stadi dell'emigrazione

Realizzo di vivere in Texas da due anni quando vedo una rotonda, mi fermo, la contemplo un attimo, guardo furbina le facce smarrite degli automobilisti texani e poi vado. Magari me la faccio anche due volte, che' poi se no chissa' quando mi ricapita.
Se faccio fatica a trovare parcheggio, poi, invece di infastidirmi ultimamente, mi sorprendo a sorridere. Allucinante. Proprio io che odiavo questa cosa con tutta me stessa. Deve essere quel leggero stato di beatitudine di chi per un attimo si trova a fare un tuffo nel proprio ambiente naturale, una sorta di quiete prenatale.
Quando mi perdo, oramai so che prima o poi finiro' in un posto sconosciuto, mi guardero' intorno e vedro' sostanzialmente due cose: nulla + mucche o nulla + cavalli. A quel punto accendero' il gps.
Delle stagioni texane, ammesso che ci siano veramente, ancora penso di non avere capito granche', ma ho notato che in certi periodi, di pomeriggio, quando giro per il quartiere con gli acchiappaconiglietti, sento odore di barbecue e in altri invece di caminetto. Qualcosa mi dice che la sostanza della questione stia tutta piu' o meno li'.
Il Texas e' un posto speciale, ho visto che te ne innamori o non lo sopporti. A me personalmente continua a piacere questo posto. Anzi piu' ci vivo e piu' mi piace, e' una grande passione ancora tutta da esplorare.

lunedì 23 febbraio 2009

dalla vostra corrispondente da dallas, la notte degli oscar

Mi sono accorta che la settimana scorsa era quella del festival di Sanremo, credo al terzo giorno. Ho sentito per caso una sola canzone e mi e' piaciuta, magari mi sono persa qualcosa quest'anno. Mi fa un po' impressione non avere mai sentito prima il nome del vincitore, magari in Italia e' famosissimo e io non lo sapevo nemmeno, divento sempre piu' straniera. In compenso ho guardato la magica notte degli Oscar. Mi piace di piu' perche' e' tutto piu' intenso, importante e concentrato in poche ore.
Mi e' sembrata un'edizione sottotono in confronto alle ultime che ho visto, specialmentew quella dell'anno scorso. Ho rimpianto soprattutto la conduzione di John Stwart, ma Hugh Jackman ha dimostrato di essere davvero versatile. Me lo sono immaginato a teatro, dev'essere bravissimo li'. L'unica cosa su cui nutro dei forti dubbi, e non sono l'unica, e' che venga fatto passare per l'uomo piu' sexy del pianeta, per le donne intendo, ma questi meccanismi risultano abbastanza imperscrutabili di solito. I film non sono ancora riuscita a vederli tutti, ma ho visto il trionfatore Slumdog Millionaire e davvero non capisco tutto questo entusiasmo, tranne che per il balletto finale che vale tutto il film insieme alla canzone, che infatti si e' aggiudicata un premio tutto suo. Oltretutto, credo sia stato uno dei pochi casi in cui il regista, Danny Boyle, si sia dato dell'idiota al momento di ricevere la statuetta come miglior film dell'anno. Come dargli torto pero': si e' accorto solo due settimane fa di aver dimenticato di aggiungere il nome del suddetto coreografo ai crediti del film, imperdonabile. Come previsto, Heat Ledger ha vinto una stauetta postuma per la sua magnifica interpretazione in The Dark Knight. Hanno ritirato il riconoscimento i suoi familiari dedicandolo alla figlia.
Per il resto, non sono passati inosservati gli orecchini di criptonite di Angelina Jolie, che indossati da qualunque comune mortale sembrerebbero fintissimi e anche un po' pacchiani, ma su di lei invece. Molto meglio, secondo me la treccina e il sorriso rilassato di Jennifer Aniston, che ha fatto una presentazione simpatica con Jack Black. Tra l'altro, i tabloid americani si sbizzarriscono da settimane sul primo incontro Pit-Jolie-Aniston dopo il divorzio, chissa' che stress.
Penelope Cruz era splendida e ha fatto un bel discorso concitato per il suo primo Oscar. Il fatto che abbia vinto con Vicky Cristina Barcelona (un bel film peraltro) invece che con Volver o Tutto su mia madre da' abbastanza la misura di quanto questi premi poi lascino un po' il tempo che trovano. Ma in fondo non e' tanto il premio in se' che conta, e' il simbolo, il riconoscimento mondiale e per noi spettatori l'emozione di assistere a quel momento che segnera' una vita. Lei forse e' stata l'unica a passarmi un'emozione vera.
Per quanto riguarda i vestiti, a parte quello di Beyonce su cui e' meglio soprassedere, sembra proprio l'anno del bianco (qui, qui, qui, qui, qui e qui per esempio), anche se qualcosa mi dice che sentiremo ancora parlare delle inedite tonalita' orchidea indossate sia da Natalie Portman che da Alicia Keys. Un'ultima annotazione la meritano poi l'improvvisamente esplosivo decollete di Saraggessica, accompagnata dal marito fedigrafo, e quello highlander di Sophia Loren, l'unica italiana coinvolta nella serata.
Peccato si sia fatto cosi' tardi, mi sono proprio divertita a farvi un po' da inviata speciale in poltrona.
Buona settimana!

venerdì 20 febbraio 2009

anche la speme, ultima dea, fugge i sepolcri*

Ovvero Del funerale americano (protestante metodista).

Questa settimana sono stata al mio primo funerale qui come sapete e mi e' sembrato completamente diverso. Nessuno piangeva, o almeno non a lungo e nessuno si disperava. Ecco questa e' la cosa principale che ho notato, e devo ammettere che sotto sotto mi ha disturbato anche, ma quando mi e' stato chiesto perche' non ho saputo rispondere. E' che sembrava sbagliato e basta. Ho passato quasi tutta la vita in un paese cattolico e noi ci si dispera a un funerale, e' la cosa piu' normale del mondo, non e' che mi possa riprogrammare ogni volta in cinque minuti.
Ad ogni modo, e' stato proprio come mi e' sempre stato spiegato, una celebrazione della vita con pochi riferimenti alla morte. C'erano dei pannelli con foto splendide, alcune di un centinaio di anni fa, e delle didascalie affinche' tutti ne potessero conprendere il contenuto. Davanti alle foto tutti hanno avuto un attimo di commozione e poi sono cominciati gli aneddoti, decine e decine di aneddoti sul nonno del Far West. Ognuno raccontava qualcosa, si rideva e si sorrideva anche molto. Poi c'e' stato una sorta di ricevimento. A quel punto mi sono guardata intorno, ho visto la nonna e ho pensato per un attimo dove sara' finito il nonno? Gia', e' stupido, ma sembrava davvero una festa e mancava solo lui. Una situazione irreale, se cosi' si puo' dire. Anche la cerimonia e' stata interessante. Il libro dei canti riportava a pie' pagina, le traduzioni nelle principali lingue indiane, Navajo, Cherokee, Chickasaa, ecc. Gli amici massoni del nonno erano tantissimi e, entrati in chiesa, hanno indossavato una specie di grembiulino bianco che mi ha incuriosito molto. Ma si sa, incuriosire la gente e' la funzione principale di questi austeri signori. Tutto quello che veniva detto riguardava direttamente il nonno. Si e' parlato esclusivamente della sua vita, di tutto quello che ha fatto, entrando nello specifico di diversi episodi. Quando il pastore ha finito con il suo discorso ha chiesto se qualcun altro aveva qualche altro ricordo da condividere e cosi' sono arrivati altri racconti. Al culmine della commozione pero', lo zio Jack, che e' un tipo che definirei con il termine esilarante, ha ribaltato tutto e ha raccontato di quando da bambino il nonno gli fece credere che le api non possono pungerti attraverso i petali dei fiori. Davvero? Certo, prova! gli disse il nonno. Lo zio Jack avvolse l'ape dentro al fiore e fu subito punto. Ancora in lacrime, tutti abbiamo riso senza stupirci. Eh si, aveva un bizzarro senso dell'umorismo il nonno. E poi altri ricordi seri e altri tristi e altri ancora divertenti. Insomma alla fine della giornata, nonostante non ci fossimo disperati, ero esausta, con il cuore pesantissimo, mentre gli altri sembravano realmente un po' piu' distesi. A un certo punto ho pensato che magari se anche i nostri funerali durassero quattro o cinque ore, anche noi ci metteremmo in posa per la foto ricordo alla fine. E' che se i tempi si allungano si nota che la vita ha gia' ricominciato il suo corso. Qualcuno comincia ad avere fame, qualcun'altro sonno o sete e bisogna tornare alla normalita' in qualche modo, che ci piaccia o no. Ammiro molto questo modo degli americani di prendere la vita, questo guardare sempre avanti, questo riuscire a ridere e piangere insieme. Peccato non riesca mai a farlo mio completamente, chissa' un giorno magari.

*Dei Sepolcri, U. Foscolo

mercoledì 18 febbraio 2009

due anni portati discretamente

E cosi' anche quest'anno mi sono dimenticata il compleanno di Nonsisamai. Due anni di blog.
Sembra ieri che mi stupivo per il primo commento di qualcuno che non conoscevo e che non avevo invitato. Risultava inconcepibile che uno sconosciuto arrivasse su questa paginetta per caso, e invece. Per la cronaca era un post sulla morte dell'inventore del calcio balilla, un galiziano. Ero piuttosto commossa, google deve averlo colto.
Bello pero'. Sono sempre felice di quest'esperienza e di tutte le soddisfazioni che mi ha portato. Felice e orgogliosa soprattutto dei miei lettori che si affezionano e tornano spesso e mi scrivono a volte e mi raccontano delle loro cose cosi' solo per il gusto di farlo, come se ci conoscessimo. Sempre intelligenti e mai aggressivi o maleducati. Vi rendete conto che non ho mai dovuto filtrare i commenti? Mi sembra ancora incredibile con tutti i pazzi che ci sono in giro! In questi due anni, si e' chiaccherato davvero di ogni aspetto dello shock culturale e la domanda ricorrente e': ma di cosa scriverai quando avrai esaurito tutti gli argomenti?
Risposta: credetemi, non succedera' ;)

martedì 17 febbraio 2009

e cosi' senza che nemmeno ce ne accorgessimo anche l'email e' diventata 'formale'

Scrivo un sacco, scrivo continuamente e mi collego a internet mille volte al giorno per qualunque motivo. A volte lo tengo perfino acceso giusto per skype anche se sono in un'altra stanza. Detto questo, mi sono resa conto che ci metto secoli a rispondere alle email o almeno a certe email. Il problema e' che ho uno zoccolo duro di amici che non si sono mai voluti adeguare al mutare dei tempi, nel senso che non usano skype, che non controllano quasi mai la posta elettronica (che in alcuni casi hanno relativamente da poco imparato a padroneggiare, ebbene si'), che a volte leggono Nonsisamai e poi mi chiedono ma come caspita si fa a lasciare i commenti sul tuo blog? e che ovviamente non usano Facebook oppure hanno creato un profilo e lo hanno quasi subito abbandonato senza nemmeno uno straccio di foto.
Ecco, quel tipo di amici, che sono malauguratamente fra i migliori che ho e che mi mancano tantissimo, mi scrivono delle stupende email chilometriche. Questo succede magari una volta al mese o ogni due mesi e in quella email condensano tutte le cose importanti che sono successe, cose serie, impegnative. Cosi' quando ne ricevo una, ci attacco una stellina e la metto via per dopo, quando avro' un momento di pace completa per poter rispondere con la stessa attenzione che mi e' stata dedicata, mi sembra il minimo. Nel frattempo, rispondo alle cose veloci, perdo tempo qua e la' e me ne dimentico, salvo magari svegliarmi nel cuore della notte, sentirmi in colpa, scrivere mentalmente l'email e dire ok domani prima cosa.
Dopo una settimana puntualmente mi arriva un messaggio che dice ue' ma e' tutto a posto? ma le ricevi le email da quelle parti? Certo che le ricevo, arrivano in un secondo anche qui, pensa te. Mi scuso e rispondo immediatamente anche se sono di fretta e non mi ricordo piu' bene cosa volevo comunicare.
Insomma, guardiamo in faccia la realta', e' triste, ma va fatto: oramai perfino l'email ha assunto la formalita' delle vecchie lettere portate dal postino, anche se non lo stesso fascino. E tutto questo e' avvenuto in modo talmente graduale che non me ne sono nemmeno resa conto.
Il peggio del peggio e' che davvero gli amici che non usano ne' facebook ne' skype, magari li sento come prima, ma mi sembrano molto piu' lontani. Perfino piu' lontani di un compagno delle medie che non avevo mai piu' visto per quindici anni. Uso questi strumenti quotidianamente, ma, nonostante le apparenze, non sono una fanatica del network a tutti i costi e rispetto tantissimo anche chi sceglie di non farne parte. La verita', pero', e' che uno dei motivi del successo di tutti questi network, specialmente Facebook e' che ci tengono davvero in contatto e questo non puo' essere ignorato. Per me che vivo lontano e che ho amici sparsi un po' dappertutto almeno, e' importante avere qualche assaggio della loro vita quotidiana, delle loro piccole preoccupazioni o minuscoli successi e un'email tutto questo non te lo da'. Se una persona non la senti spesso, ti devi mettere li' e scrivere per bene, devi avere qualcosa di un certo peso da dire. E alla fine magari non lo fai neanche perche' poi appunto e' come chiederle indirettamente di fare altrettanto, si rischia di mettere quella persona in una posizione imbarazzante, non tutti amano raccontare di se' per iscritto.
Profetizzo. Secondo me finira' cosi':

- Ma ti e' arrivata la mia email, quella lunga della settimana scorsa dove ti raccontavo di quella cosa...?

- In effetti si, ma mi spiace, se non mi scrivi su Facebook non ti rispondo.

domenica 15 febbraio 2009

cronaca di un addio

Il quadro che fece appendere poco prima di morire lo aveva comprato anni prima da un artista locale e lo aveva sempre tenuto in un cassetto. Rappresenta un vecchio capo indiano in primo piano, con i capelli lunghi e grigi, agitati dal vento, che contempla del filo spinato. Mi spiego' con una voce stanca, ma in qualche modo impaziente, che il filo spinato causo' la fine di un mondo, quello dei nativi perche' i bufali non avrebbero mai piu' potuto muoversi come facevano prima e non avrebbero piu' potuto vivere della loro caccia. Del semplice filo spinato interruppe il corso millenario della natura e quella gente da un momento all'altro rimase senza nulla, perduta per sempre e privata dell'identita' stessa. Rimanemmo un attimo in silenzio.
In un secondo momento, la nonna mi mostro' diverse opere che negli anni avevano comprato da artisti indiani della zona, in parte anche per aiutarli a sopravvivere credo. Alcune erano di un certo pregio. Le tenevano in un armadio e non mi stupi', non sono persone che esibiscono le cose belle loro, le condividono solo sulla base della fiducia, con molto pudore. Quando tutti gli altri uscirono per andare a dare da mangiare alle vacche rimasi con lui. Ringrazio il cielo per quella giornata che mi ha dato la possibilita' di parlare a lungo con lui e vederlo ridere e scherzare un'ultima volta. E' quella li' l'immagine che mi resta di lui, ora che se n'e' andato. Stava gia' male, ma quel giorno la nostra presenza e soprattutto la curiosita' di conoscere finalmente gli ospiti arrivati dall'altra parte del mondo, riusci' a buttarlo giu' dal letto e per qualche ora lo rese loquace e sorridente come era prima. Non voleva essere visto soffrire, mai. Dissero che era entrato in una pericolosa spirale verso il basso, che non vedeva piu' speranza, un po' come l'indiano del quadro, ma quel giorno mi sembrava semplicemente lui, il mio nonno del far west. Lui mi raccontava della sua operazione, io della mia, come fanno i vecchietti, mentre tutti gli altri erano fuori a divertirsi. Mi veniva anche un po' da ridere a dire il vero e anche a lui un pochino, mi pare. Portava una vecchia radiografia sempre con lui nella tasca del suo walker a rotelle, quando la apri' fra le carte che si portava sempre appresso, spunto' una pistola. Trattenni per un attimo il fiato. Oramai mi ero abituara a vedere qualche fucile in giro per casa, ma una pistola, non l'avevo davvero mai vista dal vivo. Una pistola serve solo a uccidere le persone, pensai. E per un momento feci anche una stupida associazione fra quell'arma e la sua depressione. Ebbi paura che potesse compiere un cosiddetto gesto estremo, ma mi resi in seguito conto che a nessun altro era venuta in mente una cosa simile, che' quella pistola l'aveva sempre portata con se' per difesa e guai anche solo a discuterne, sarebbe stato come buttargli in faccia il suo decadimento. La sua mente era ancora quella di una volta.
Dopo aver parlato degli acciacchi, mi chiese dei cani. Un tempo aveva avuto un allevamento di bracchetti e mi aveva detto che un cane come il mio Mr. Boomer, capitava ogni tre o quattro cucciolate e andava sempre a ruba perche' perfetto nelle fattezze, ma nano, quindi leggermente piu' piccolo, speciale. Ancora non si spiegava come qualcuno lo avesse abbandonato, ma quella che aveva in mente lui era l'America di Snoopy, a quanto pare tutti hanno avuto un beagle qui in quegli anni. E poi mi chiese del lavoro, della nostra vita a Dallas e se eravamo contenti. Infine mi racconto' a lungo di se', in una sorta di bilancio della sua vita. Capii che la depressione di cui ci si era preoccupati, era un normale momento di sconforto data la situazione. E infatti disse che si reputava un uomo fortunato. In fondo avrei dovuto morire nel '65, ai tempi del primo infarto, non e' andata per niente male. E rideva. Non lascio debiti, mi sembra che tutto sia a posto, ho fatto quello che potevo, sono pronto a andare. A quel punto pero', sentii le lacrime arrivare fino agli occhi, abbassai lo sguardo e le mandai via. Gli sorrisi e andai a raggiungere gli altri. Sorrise anche lui e continuo' a guardarci dalla finestra.
L'altro giorno, quando siamo stati avvertiti che il nonno del far west ci aveva lasciato, nel sonno senza nemmeno accorgersene, dopo aver sofferto tanto, e' sembrato un po' che oltre al nonno se ne andasse via un intero mondo. Ho pensato tanto a quell'ultima conversazione avuta con lui. Non ho mai capito perche' avesse scelto di raccontare proprio a me tutte quelle cose che non aveva mai detto a nessun altro della famiglia, ma l'ho ringraziato. E anche per quell'abbraccio, per quel we love you, girl che mi disse una volta e che mi fece capire che aveva capito tutto anche se non aveva detto nulla. Pensai che era stato fantastico conoscerlo e che se ne era andato proprio come voleva lui, nella quiete che segue il tornado, ma non sapevo come gestire la mancanza, il senso di vuoto che rimaneva. Immersa in questi pensieri scuri, con le lacrime agli occhi, uscii di casa e questo fu grossomodo quello che vidi.


Fu come uno schiaffo in faccia. Pensai a come il cielo del Texas faccia da perfetto controcanto a tutte le mie emozioni, a come mi scuota nei momenti importanti. E cosi' pensai a quella vecchia canzone di Willie Nelson e al mio nonno del far west che lavorava nei campi e guidava il suo trattore John Deer con la sua Lady-Puppy a guardargli le mucche.

venerdì 13 febbraio 2009

the walking closet

Si, e' vero ho un armadio piuttosto grande per i criteri italiani e piccolissimo per quelli texani. Dovete sapere, infatti, che qui gli armadi piu' che armadi sono delle stanzette e infatti vengono chiamati walk-in closet. Del resto c'e' un sacco di spazio.
Mi raccomando non fate come la sottoscritta che a un certo punto li voleva fare camminare.

giovedì 12 febbraio 2009

che si fa stasera? armadio o bagno?

Come si evince facilmente dal titolo, qui si parla di rifugi contro i tornado.

E cosi' ieri sera torno dalla piscina in fretta e furia perche' stava arrivando la tempesta. Il problema e' sempre che in questi casi basta un niente: puo' essere un temporale normalissimo o un tornado e bisogna essere preparati. Allora accendi la televisione e controlli sul radar dove sta andando il vento. Un tizio in maniche di camicia parla in modo concitato davanti alla cartina dandoti sempre l'idea dell'emergenza. Ti dice l'ora esatta in cui il vento arrivera' da te.
E infatti puntualmente suona la sirena. Io vivo davanti alla sirena, la vedo perfino dalla finestra, quindi la sento altissima e spaventosa ogni volta (e' la seconda volta che suona da quando vivo qui). Ed e' di questo momento che vorrei raccontarvi. E' una sensazione particolarissima. La sirena suona. Cosa fai? Cosa prendi? Ti guardi intorno una frazione di secondo e improvvisamente vedi tutto quello che ti circonda con occhi diversi, tutto potrebbe volare via, te compreso, o tutto potrebbe rimanere com'e' e il giorno dopo con il sole che splende come sempre nel ritmo tranquillo delle giornate al sud, potresti sentire la tua amica dirti si, ho sentito le sirene ma ero troppo stanca e me ne sono andata a dormire.
E' un attimo. E tu ci sei oppure no e cosi' la tua casa e tutto il resto.
A quel punto pero', non hai preso nulla e sei gia' chiuso nell'armadio, che si e' deciso nel frattempo essere il posto piu' sicuro della casa, con un bel cuscino, una torcia, una radio che ripete in continuazione questa e' una situazione di estremo pericolo, allontanatevi dalle finestre, etc. e il resto della famiglia ad aspettare che passi, una decina di minuti.
Alla fine non era nulla, un temporale. Di solito da queste parti, non e' mai nulla grazie al cielo, pero' quella sensazione, quella sensazione vale qualcosa. E' una sferzata di adrenalina e forse non mi potrete capire se vi dico questa cosa, ma fa bene provarla ogni tanto, giusto per ridare un attimo la giusta proporzione a tutti i tuoi problemi e i tuoi affetti, a te stesso come essere umano al centro di un universo immenso che non gira affatto attorno a te.
E' come una vertigine, un avvertimento e infatti le persone che vivono esposte a fenomeni di questo tipo sviluppano una concretezza che riconosci subito, anche se all'inizio non capisci da dove viene.

E cosi' e' cominciata la stagione dei tornado anche quest'anno.

mercoledì 11 febbraio 2009

un saluto

Vi lascio un saluto perche' in questi giorni la voglia di stare seduta a scrivere scarseggia, ma non mi va piu' di vedere il post precedente in primo piano quando passo di qui. Era difficile da immaginare l'altro giorno quando l'ho scritto, ma le cose sono perfino riuscite a peggiorare nel frattempo, e molto in tutti i sensi, quindi vorrei solo dimenticare tutta quella storia. Ne ho lette davvero troppe e a questo punto mi sembra giusto beneficiare del vantaggio di vivere dall'altra parte del mondo.
Per il resto, ho avuto ufficialmente il via libera del medico a tornare alla mia vita normale, per cui sono impegnatissima. A far cosa? Ma a vivere finalmente! Cercando di non preoccuparmi troppo per il futuro come faccio sempre (difficilissimo) e cercando di apprezzare ogni giorno e ogni minuto in cui mi sento bene.
Dopo tutto oggi e' tutto quello che c'e' veramente. E del mio oggi non mi posso lamentare troppo. Preoccuparsi sempre non ha senso. Ci ho messo una vita a capirlo e ora faccio il possibile per non dimenticarlo piu'. E' splendido cominciare a muoversi dopo due mesi. Sono completamente fuori forma, ma piena di energia. Mi piace perfino sentire i muscoli che fanno male il giorno dopo. Qui e' primavera, e' bello stare fuori e anche andare a correre con gli acchiappaconiglietti fra i piedi.
Dopo tutto, anche se sembrava non arrivare mai, e' arrivato anche il tempo di ricominciare.

(Ah! Qui c'e' un articolo che ci riguarda)

A presto!

domenica 8 febbraio 2009

della stella di natale e non solo

A Natale mi hanno regalato una pianta, una stella di Natale appunto, e l'altro giorno scherzando, mi lamentavo che sia in splendida forma mentre le feste sono passate e io sono stufa di vedermela intorno.
- Si, ma l'acqua gliela dai?
- Certo che gliela do l'acqua.
Non mi piace particolarmente, ma mica la farei morire di proposito. Il pollice verde non ce l'ho, questo e' appurato, pero' non riesco a buttare via una pianta, mi e' capitato perfino di raccoglierne qualcuna dalla spazzatura perche' mi dispiaceva. Potete immaginare allora come mi faccia sentire leggere di Eluana in questi giorni. Come tutti in un ambito simile, ho mille dubbi, mille domande, mille incubi se vogliamo metterla cosi'. Sono sempre a favore della vita io, e' vero, pero' sono ancora di piu' a favore della libera scelta, dell'intelligenza che spinge gli individui coinvolti a certe decisioni dolorosissime sulla base della propria conoscenza dei fatti. Stasera leggo certi articoli sui siti italiani, che mi fanno venire i brividi.
Dovete sapere che purtroppo, nella mia famiglia americana c'e' stato un caso simile a quello di cui si sta discutendo in questi giorni pochi anni fa. Questa persona non aveva piu' alcuna speranza di ripresa, non era piu' cosciente da giorni e qualcuno che gli era molto vicino, conoscendo il suo volere, e su suggerimento dei medici stessi, si e' preso la responsabilita' di dire basta e come si suol dire di fare staccare la spina. E non e' stata certo una passeggiata, ma quello che mi fa riflettere e' che nonostante cio' se oggi gli chiedo quali siano i suoi sentimenti a riguardo, gli sento dire con una grande calma che il dolore e' ancora li' ma e' dovuto alla perdita di quell'affetto, non a quella decisione. Che rifarebbe la stessa cosa, che non si e' mai nemmeno posto il problema perche' ha solo tenuto fede a un patto facendo in modo che venisse eseguita l'estrema volonta' di chi oramai non poteva piu' parlare per se stesso. Pero' come sarebbe stato vivere quel momento in pubblico? Umanamente non riesco nemmeno a immaginare come si possa sentire quel padre che in una circostanza simile si trova gli occhi di tutta l'opinione pubblica italiana puntati addosso, in un momento che non dovrebbe riguardare nessun altro, al di fuori di lui e dei suoi stretti familiari. E invece chi dice che fa bene, chi dice che fa male, chi fa ipotesi rivoltanti sull'agonia o ancora peggio su una possibile gravidanza della figlia in coma da 17 anni. A cosa servono i tribunali a questo punto? Siamo ancora noi i padroni del nostro corpo e della nostra vita o piuttosto lo stato o magari la Chiesa? E' tutto troppo. Disgustoso, senza senso, sbagliato. Ci sono certe cose che in un paese civile e democratico non si possono fare e basta. C'e' una costituzione, c'e' un iter burocratico da rispettare, o almeno per quanto ne so queste cose c'erano prima dell'avvento di Silvio Berlusconi. Leggo su Repubblica:
"...Berlusconi che ha contestato le prerogative del Presidente della Repubblica, annunciando la volontà di governare a colpi di decreti legge senza il controllo del Quirinale. Pronto in caso contrario a "rivolgersi al popolo" per cambiare la Costituzione"
"Rivolgersi al popolo per cambiare la Cosituzione"? Ma stiamo scherzando?
E poi come dice Ubi: se la vita umana e' cosi' importante per il nostro governo da voler a tutti i costi quasi resuscitare la povera Eluana Englaro, allora perche' di quella dei clandestini non si e' mai preoccupato nessuno? Non e' vita anche quella?

giovedì 5 febbraio 2009

dell'audiolibro

Se vi e' capitato di farvi un giro in qualche libreria americana, avrete notato che la sezione degli audiolibri e' sempre molto corposa. Io non ci ho mai badato molto fino a quando, un paio di settimane, fa mi e' capitata in mano la versione audio di Dreams from My Father, il libro di memorie di Barak Obama pubblicato per la prima volta nel 1995. Mi sono detta perche' no? In fondo, ho talmente tanti altri libri da leggere che non troverei il tempo anche per questo qui. Pero' mi incuriosiva molto approfondire il percorso di Obama e cosi' ecco fatto, in pochi giorni andando avanti e indietro dal lavoro ho ascoltato tutti e sei i cd. Una bella esperienza e magari prima o poi se trovero' l'argomento adatto la ripetero' anche.
Nella prefazione Obama spiega come questo libro rispecchi il momento preciso in cui e' stato scritto e quanto abbia fatto il gioco dei suoi avversari politici in seguito.
Essendo scritto prima della sua entrata in politica, da' l'impressione di essere sincero, e' questa la sua dote piu' grande a mio avviso. La piu' grande sorpresa invece, per me e' stata che tutto il libro e' letto da Barak Obama in persona e cosi' ho potuto rallegrarmi del fatto che oltre al solito carisma che tutti conosciamo quest'uomo ha doti drammatiche non comuni. Usa in modo molto credibile accenti completamente diversi e non annoia mai, o quasi mai diciamo. La cosa piu' bizzarra e' sentirgli dire le parolacce, forse. Una vita straordinaria. Le Hawaii, il Kenia, l'Indonesia e poi gli esperimenti giovanili, gli anni dello sbandamento, fino alla scoperta del suo vero io e del senso che ha poi deciso di dare alla sua vita. La scrittura in se' mi sembra piatta, nulla di originale, ma e' un libro importante perche' aiuta a capire meglio questo paese e soprattutto le sue questioni razziali.
Oggi tornando a casa, ho sentito che mi mancava Obama, e' stupido, he? Pero' e' vero perche' sei li' che guidi per ore avanti e indietro e ascolti dalla sua viva voce, una voce calma e profonda, il suo cammino e davvero finisci per soffrire con lui e gioire con lui. Lo vedi in difficolta', lo vedi umano, ma poi sempre con quel guizzo in piu' che lo fa riemergere e diventare quello che e'. L'unica cosa che mi ha lasciato perplessa come donna e' stata che l'intero libro e' dedicato alla figura del padre assente e irresponsabile (oltre che tante altre belle cose, certo) e ben poche righe a quella della madre, che invece e' stata sempre li' al suo fianco, ma forse in un percorso giovanile e' fatale che i fantasmi del passato siano piu' potenti e incisivi di tutto quello che e' il quotidiano. Di sicuro avra' parlato della madre in qualche altra occasione. L'epilogo dedicato a Michelle l'ho trovato un po' stucchevole, forzato, ma probabilmente quella parte non poteva essere esclusa in nessun modo. Splendido invece poter ascoltare lo storico discorso del 2004, quello che fece alla convention democratica a favore di John Kerry e che segno' di fatto l'inizio dell'era Obama. Insomma, mi e' piaciuto questo audiolibro.
L'unica cosa e': se mi chiedono se ho letto questo libro cosa rispondo? Che l'ho audioletto? Oppure che si e' autoletto, nel senso che si e' letto lui da solo...he gia'.

mercoledì 4 febbraio 2009

friends with privilege

Guardando The office (che tra l'altro, vi straconsiglio), ho imparato una nuova espressione: friends with privilege.
Cosa sono di preciso due amici con il privilegio? Due amanti?
No, per quello si usa la parola lovers. Gli amici con il privilegio sono quelli che specificamente sono amici normali e poi ogni tanto, occasionalmente fanno sesso.
Correggetemi se sbaglio, ma qui stiamo parlando di un tipo di relazione che se ti capita nella vita non sai nemmeno da che' parte cominciare, paranoie su paranoie, sedute dall'analista e loro invece no.
Loro hanno perfino un'espressione preconfezionata per questa roba qui.
Basta mettere la crocetta nella casellina giusta.
Ma esiste una lingua piu' specifica?

martedì 3 febbraio 2009

del dente del giudizio e della scampata tossicodipendenza

Oggi sono andata dal dentista e c'e' stato un piccolo simpatico equivoco: mi faceva male un dente e lui me ne ha curato un altro, quello di fianco che secondo lui stava molto peggio. Dopo aver avuto una mezza crisi isterica (ma solo dopo che lui mancando in assoluto di eleganza ha insinuato velatamente che il misunderstanding fosse dovuto a una mia qualche presunta pecca linguistica), mi sono autoconvinta che in fondo non importava perche' tanto avrei dovuto curare anche quello li' lo stesso. Cosi', ho chiesto un appuntamento per il dente giusto e mi ha detto di no, perche' quello li' e' il wisdom tooth, il famigerato dente del giudizio, e devo andare dall'orthodontist, che il dizionario traduce con ortodentista in italiano, parola che confesso di non aver mai sentito, in pratica un chirurgo della bocca. Dice che probabilmente mi faranno l'anestesia totale e di non preoccuparmi che' mi daranno un sacco di robba buona per non sentire il dolore, cioe' quello che mi hanno detto tutti gli altri dottori per qualunque tipo di malessere.
Qui sorgono due questioni: la prima e' che a questo punto, sono davvero, ma davvero stufa del dolore, qualunque dolore fisico intendo, ho veramente bisogno di un momento per riprendermi mentalmente da tutto quello che ho avuto in questi mesi, la seconda sono le droghe che ti danno.
Anche oggi stesso per esempio, appena accennavo una smorfia di dolore, e dal dentista e' facile, fermava tutto e mi dava un'altra dose di anestesia. Il risultato e' che non ho sentito nulla, ma mi si e' addormentato perfino l'occhio. Insomma qui ti riempiono di antidolorifici per qualunque cosa. Dov'e' il problema allora visto che non voglio provare piu' dolore? La dipendenza.
Qualche tempo fa quando vi ho raccontato della mia esperienza con la sanita' americana ho scritto per scherzo che ho sfiorato la tossicodipendenza. Beh, un fondo di verita' c'era. Quando mi hanno mandato a casa dall'ospedale, mi hanno dato due cose: un semplicissimo antidolorifico da banco e un medicinale prescritto dal medico che funziona meglio, ma causa forte dipendenza. Inutile dire che stavo male, molto male, soprattutto i primi giorni, cosi' per una settimana tutte le sere per riposare prendevo il medicinale prescrittomi dal medico. Una sera stavo meglio e ho deciso di non prenderlo. La mattina dopo, ho aperto gli occhi e ho pensato solo una cosa: lo voglio. Una sensazione incredibile per una persona come me che non ha mai sofferto di nessun tipo di dipendenza. Mi sono spaventata talmente tanto che ne ho parlato con qualcuno e gli ho anche chiesto di nascondermi quelle medicine e darmele solo in caso di reale necessita'. Quella sera pero', prima di andare a dormire, ho avuto lo stesso pensiero, cosi' dal nulla: volevo quella droga. E l'ho chiesta e mi sono infuriata quando mi e' stato impedito di prenderla come io stessa avevo suggerito di fare in precedenza. Ho discusso a lungo, fino allo sfinimento. Il mio argomento era semplice e inattaccabile: me l'ha data il dottore, ha detto di prenderla se sto male, sto male, ergo la voglio. Peccato che nessuno all'ospedale mi avesse spiegato nulla di questo trascurabile effetto collaterale: la dipendenza.
Per fortuna la persona con cui ho parlato di questo strano impulso che stavo provando [non la nomino perche' non se ne puo' piu', ma voi lettori affezionati la conoscete bene], ha capito il pericolo. Dopo qualche giorno mi sono dimenticata di quella sensazione piacevole, pero' credo davvero di aver corso un grande rischio. Ho visto quanto e' potente quel piacere, quanto facilmente puo' arrivare a dominarti la mente. Ho scoperto anche che la maggior parte dei personaggi famosi che finiscono in clinica di disintossicazione ci finiscono in circostanze molto simili a questa e che la dipendenza da medicinali e' una specie di piaga della societa' americana che colpisce tutti, a qualunque livello e infatti diverse persone che conosco hanno avuto la mia stessa tentazione.
Insomma sarei in buona compagnia, ma...

lunedì 2 febbraio 2009

bill murray stropicciato vale un super bowl

Vi ricordate il discorso di sabato? Networking networking networking?
Ecco. Nemmeno a farlo apposta dopo aver scritto il post, arriva Mr. Johnson e mi dice che il suo capo organizza un altro di quegli eventi a cui per un motivo o per l'altro non siamo mai andati. Si tratta di grandi occasioni per fare i famosi contatti che a quanto pare mi servono tanto, travestite da feste fra persone semisconosciute che fanno finta di non essere li' per lavoro. Chissa' che divertimento. Pero' stavolta presentavano un filmato a cui anche Mr. Johnson ha lavorato, poteva essere una cosa un po' piu' interessante. Cosi' memore dell'articolo sui procrastinatori, ho accettato entusiasta, piu' entusiasta di lui a dire il vero. E per entrare ancora di piu' nell'atmosfera mondana sono anche andata a comprarmi un paio di scarpe stupende viste un mese fa, di quelle scarpe che ti fanno uscire di casa anche da sole per intenderci. [Ogni scusa e' buona per comprare un paio di scarpe nuove in realta']. Ma l'autoboicottaggio era in agguato. Alla cassa, mentre pagavo, ho guardato l'orologio: la proiezione era cominciata da cinque minuti e io ero ancora li'. Non so davvero come sia potuto succedere, pensavo davvero di andarci stavolta, ma... il tempo e' volato. Vale come scusa?
Il bello e' che il mio accompagnatore non si e' scomposto minimamente e siccome non aveva mai creduto che dicessi sul serio, aveva gia' un piano di riserva per le mie scarpe nuove.
Oggi, poi, di ritorno dal dog park, ho pensato anche di guardare il super bowl per una volta, tanto per farmi un'idea e verificare che non si trattasse di baseball. Cioe' veramente il mio piano era cercare di guardare il super bowl (le esibizioni, le pubblicita'...) senza guardare il super bowl (la partita), ma tutto ha giocato contro di me perche' ho girato un secondo e ho scoperto subito che sul canale successivo ridavano per l'ennesima volta Groundhog Day, uno dei miei film preferiti. Non c'era paragone, ha vinto il film, sempre geniale anche dopo averlo visto e rivisto all'infinito. Della partita sentiro' parlare ugualmente, ci scommetto.
Intanto questo fine settimana siamo tornati sui soliti 20 gradi o piu', fuori si stava benissimo. Sembra passato un secolo dalla tempesta di ghiaccio dell'altro giorno e io mi preparo per una nuova settimana pienissima da cui mi aspetto pero' grandi cose, almeno un paio.
Vediamo un po' cosa succede.